Quest’anno, tra i temi proposti nella prima prova dell’esame di Stato per le scuole secondarie di secondo grado, la traccia C (tema storico) proponeva una riflessione sulla Resistenza improntata sull’analisi del testamento morale del partigiano Dardano Fenulli fucilato dai nazifascisti alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del 1944. La percentuale dei ragazzi che ha optato per questo tema, solo il 2,5% – 3,1% (le variazioni dipendono dall’indirizzo di studi), non è certo confortante per chi si occupa, per lavoro o per passione, di storia della Resistenza. Sorge il dubbio che nella scuola italiana materie necessarie per la formazione del cittadino, come la Storia, siano ancora marginalizzate. Lo dimostra in maniera inequivocabile la riorganizzazione dei quadri orari che ha unito l’insegnamento della Storia e Geografia nei primi due anni (a discapito di entrambe le discipline) e ne ha penalizzato l’insegnamento anche nei tre anni successivi (ad eccezione del Liceo Classico), così nel Liceo Scientifico si è passati da tre ore a due in Quinta. La scarsità di ore influisce inevitabilmente sulla pianificazione educativa, obbligando gli insegnanti ad utilizzare prevalentemente il manuale e la lezione frontale come strumenti didattici a scapito di metodologie innovative.
L’approfondimento sulla Lotta di Liberazione nelle scuole secondarie di secondo grado si inserisce nel percorso formativo dell’ultimo anno che, come previsto dal decreto del Ministro Luigi Berlinguer del novembre 1996 ed anche dai nuovi programmi, dovrebbe essere integralmente dedicato allo studio del Novecento. È evidente tuttavia, che, a causa della vastità del programma e della riduzione delle ore, molte tematiche non possano essere approfondite come meriterebbero. I manuali propongono, ad esempio, una lettura della Seconda guerra mondiale che ne evidenzia gli aspetti ideologici, fornendo anche una panoramica delle contrapposte interpretazioni partendo da un’esplorazione di livello europeo per arrivare alla particolarità italiana. Un’attenzione specifica viene dedicata all’analisi del coinvolgimento delle popolazioni affrontando le tematiche della violenza, delle deportazioni, della lotta al nazifascismo che, nella maggior parte dei casi, accoglie l’interpretazione dello storico Claudio Pavone (guerra di liberazione, guerra civile e lotta di classe).
Viene tralasciato, però, il tema dei crimini di guerra commessi dagli italiani che aiuterebbe a comprendere questioni complesse come quelle del Confine orientale (ormai quasi tutti i manuali parlano delle foibe e dell’esodo dei Giuliano-Dalmati, senza però il necessario inquadramento sui crimini del fascismo). Per un approfondimento rimando al recente articolo di Francesco Monducci, pubblicato nella rivista on-line novecento.org (http://www.novecento.org/pensare-la-didattica/guerra-e-pace-nei-manuali-scolastici-italiani-1314/) , in cui viene presentata un’interessante ricerca sui manuali scolastici intrapresa da un gruppo di collaboratori dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione. Gli esempi di buone pratiche per l’utilizzo di una didattica partecipata sono molteplici e sono oggetto di una produzione scientifica ampia, pubblicata sia in cartaceo che in digitale.
Un dato certo è che con l’impiego del solo manuale non è possibile far comprendere ai giovani studenti l’importanza epocale della Resistenza; non rimane quindi che confidare nella professionalità dell’insegnante. Le proposte didattiche, avanzate anche in maniera sperimentale, non mancano di un’offerta educativa di qualità in grado di aumentare il livello di apprendimento degli studenti. Sulla storia della Resistenza ci sono esempi encomiabili di progetti curati dagli Istituti di Storia della Resistenza, da alcune Sezioni dell’Anpi, nonché da gruppi di specialisti della didattica. Un insegnamento efficace (orario permettendo) dovrebbe essere in grado di agire sulle diverse fasi del processo di apprendimento: esperienze concrete (pratica e coinvolgimento personale), osservazione riflessiva (ascolto e osservazione di diversi punti di vista), concettualizzazione astratta (pensiero e analisi sistematica dei problemi per giungere a solide teorie), sperimentazione attiva (azione, osservazione dei risultati). Un simile approccio didattico consente di ancorare le informazioni in un contesto dinamico, individuale e soprattutto critico, necessario per la formazione di cittadini preparati e pronti a districarsi in un mondo in cui il flusso di informazioni è dispersivo e difficilmente controllabile. Gli strumenti formativi sono fondamentali. Ma come abbiamo visto la mancanza di tempo, di personale e di risorse, non ne facilitano un utilizzo adeguato. Le fonti, che si possono utilizzare e da cui si può attingere, non si limitano ai documenti d’archivio e alla produzione letteraria e scientifica, ma comprendono anche le arti visive (fotografia, pittura, cartoline, fumetti…), l’architettura (edifici, monumenti…), i reperti, le testimonianze orali, gli audiovisivi (film, documentari, videoclip, musicografie…), gli strumenti multimediali, la discussione, lo studio di casi, i lavori di gruppo, i laboratori. Un elenco che propone solo alcune delle molte possibilità di creare lezioni originali e innovative, forse più efficaci rispetto alla lezione frontale. La proiezione cinematografica, ad esempio, dovrebbe essere utilizzata regolarmente in quanto offre l’opportunità di scatenare anche un forte coinvolgimento emotivo che aiuta a costruire un immaginario storico conseguente all’impatto visivo e fonico.
Ci auguriamo che il MIUR, invertendo la rotta, ponga in essere delle misure di valorizzazione e miglioramento dell’insegnamento della Storia il cui studio è fondamentale per il progresso civile e democratico nel nostro Paese, in linea con i valori sanciti dai padri costituenti.
[Ringrazio per la preziosa collaborazione Mauro De Agostini, Daniela Floriduz e Christian Spagnol, insegnanti di Storia nelle scuole secondarie di secondo grado]
Pubblicato giovedì 1 Ottobre 2015
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