Il presidente argentino Javier Milei

“Iniziamo a sbloccare questo quadro giuridico istituzionale oppressivo che ha distrutto il nostro Paese”, ha affermato Javier Milei dalla Sala Bianca della Casa Rosada a reti unificate, lo scorso 20 dicembre. Lontano dall’entusiasmo della vittoria presidenziale, le strade di Buenos Aires hanno accolto le misure economiche con colpi di clacson e pentole in segna di protesta. Il discorso del neopresidente della Repubblica Argentina è durato appena quindici minuti, senza entrare nei dettagli del Decreto di necessità e urgenza (Dnu) che dichiara “l’emergenza pubblica in materia economica, finanziaria, fiscale, amministrativa, pensionistica, tariffaria, sanitaria e sociale”. Nella sua breve presentazione, Milei ha giustificato il suo decreto affermando che negli ultimi decenni sono state applicate “ricette fallimentari”, che “alcuni chiamano di sinistra, socialista, fascista, comunista”.

Il palazzo del Congresso Nazionale argentino

È la prima volta che un governo costituzionale tenta di legiferare tramite decreto su centinaia di leggi. Si tratta di uno strumento legislativo emanato dal Presidente quando sussistono circostanze eccezionali che impediscono di seguire la procedura di emanazione delle leggi stabilita nella Costituzione. In questo modo Milei tenta di governare da subito per decreti legge, cercando di sottrarsi al dibattito e alla verifica del voto illustrato tanto alla Camera dei deputati quanto al Senato. Ovvero di scavalcare le verifiche fondamentali del sistema parlamentare democratico. Non accade attualmente in nessun altro dei grandi paesi latinoamericani. Nell’attiguo Brasile, dopo cinquantotto anni di contrasti paralizzanti, il presidente Lula ha ottenuto di far passare nei giorni scorsi una storica ed equilibrata riforma fiscale, che introduce per la prima volta l’imposta sul valore aggiunto (Iva), grazie a un difficile ma sapiente negoziato con l’opposizione.

L’elefantiaco megadecreto 70/2023, “Basi per la ricostruzione dell’economia argentina”, preparato dalla squadra guidata dall’ex capo della Banca centrale argentina Federico Sturzenegger, conta 366 articoli, tra cui spiccano l’eliminazione delle elezioni primarie, la dichiarazione dello stato di emergenza pubblica ed economica fino al 31 dicembre 2025 e la privatizzazione delle aziende pubbliche. Un unicum anche rispetto alle più avventurose iniziative di legge che si ricordino a Buenos Aires. Secondo il governo, i cambiamenti elimineranno gli ostacoli burocratici che rendono la vita più difficile agli argentini e contribuiranno a rilanciare i settori economici attualmente trascurati, modernizzando lo Stato. Secondo i critici, la deregolamentazione dell’economia andrà a vantaggio degli imprenditori e lascerà impotenti coloro che non potranno più godere della protezione delle normative statali.

L’istrionico Milei, di fronte alla crisi provocata dalla stagnazione economica, dai bilanci pubblici deficitari, da certo clientelismo peronista, dall’indebitamento che aumenta e deflagra nell’inflazione a tre cifre, spinge all’attacco dello stato sociale, indicato come fonte prima d’ogni spesa e presentato in quanto tale come motore di sperpero. Da eliminare quanto prima possibile, quindi, in via di fatto e in via di principio. Obiettivo che inevitabilmente implica anche la restrizione, quando non apertamente la negazione di diritti civili.

Le linee aeree argentine vanno privatizzate, insieme alle banche e ai media

“Tutte le aziende statali devono essere chiuse. Tutte le aziende statali sono in perdita. Perché devo sostenere la televisione e pagare stipendi scandalosi, quando ci sono bambini che hanno fame? Lo Stato non ha motivo di partecipare all’economia”. Adducendo questi motivi il presidente argentino ha invitato il Congresso a tenere sessioni straordinarie per discutere le sue riforme controverse. A questo proposito, ha ribadito la necessità di aggiustamenti fiscali e ha ribadito il principio-guida del Decreto: “L’obiettivo di questo Dnu è quello di provocare uno shock per gli investimenti e porre fine agli affari della casta”. Poi sul suo account X, Milei ha respinto le critiche dell’opposizione, definendo alcuni dei suoi membri “sadici” e “corrotti”. Questa affermazione di potere unilaterale viola la divisione dei poteri e accentua i poteri esecutivi in capo al presidente della Repubblica federale, tanto che secondo qualche osservatore il Dnu sarebbe incostituzionale, poiché non soddisferebbe i requisiti che ne consentono l’emanazione.

La sede della Banca nazionale argentina

Ma quali sono alcune delle conseguenze del “decretazo”? Anzitutto la nuova proposta di legge dichiara soggette a privatizzazione quarantuno aziende e società di proprietà totale o maggioritaria dello Stato, tra cui Aerolíneas Argentinas, Aysa, Banco Nación, Ypf e i media pubblici Channel 7, Radio Nacional e Telam. Inoltre, il governo argentino non rinnoverà circa 5.000 contratti pubblici il prossimo anno e rivedrà più di un milione di piani sociali. L’obiettivo del governo argentino è quello di “rendere trasparente il sistema, in modo che chi ha bisogno possa essere pagato e che (i piani sociali) smettano di funzionare come un business per gli intermediari e le organizzazioni sociali”.

Contro queste misure si è scagliata la Confederación generale del trabajo (Cgt), la potente federazione sindacale argentina a maggioranza peronista, che ha tenuto una oceanica manifestazione a Buenos Aires lo scorso 27 dicembre. Diametralmente opposta è, ovviamente, la posizione dell’Associazione degli imprenditori (Aea). I proprietari delle grandi aziende raggruppate nell’Aea hanno affermano che l’inizio del nuovo governo “genera speranza che il nostro Paese possa invertire un lungo periodo caratterizzato dalla stagnazione economica, tassi di inflazione molto elevati e un aumento molto significativo della povertà”. Come se nulla fosse accaduto a livello istituzionale, appoggiano il governo Milei che “si è concentrato su due punti centrali che spiegano il pessimo rendimento del paese: la dimensione eccessiva dello Stato rispetto al Pil e le conseguenze molto negative che ha avuto il deficit nei conti pubblici per lunghi decenni”. Del Dnu apprezzano particolarmente che il governo sia disposto ad adottare misure che consentano il massimo sviluppo del settore privato, a loro giudizio sottoposto da anni a indebite ingerenze statali, a controlli dei prezzi, a una pressione fiscale estremamente elevata e a restrizioni arbitrarie al commercio estero. Come dire che con il governo Milei ci sono i presupposti per passare dai privilegi della casta a tutelare gli affari delle corporazioni.

Una foto storica delle cariche della polizia argentina contro un corteo di lavoratori che festeggiavamento il Primo Maggio del 1909

Inoltre il decreto colpisce il diritto allo sciopero, poiché propone di estendere il concetto di “servizi essenziali” praticamente a tutte le attività economiche. Non solo i trasporti e la sanità, che erano già contemplati, ma anche l’istruzione, l’industria alimentare, la metallurgia, i media, gli impianti di lavorazione della carne, le telecomunicazioni e così via. Quando i lavoratori di questi comparti vorranno presentare reclamo, dovranno garantire “il settantacinque per cento (75%) della normale prestazione del servizio”. E ancora. Oggi la legge sui contratti di lavoro assicura che “la partecipazione del lavoratore a uno sciopero non può in nessun caso costituire causa di licenziamento”. Milei ne modifica l’articolo 24 che fa riferimento alla “giusta causa”, e con il Dnu i datori di lavoro potranno “non proseguire il rapporto di lavoro” se riterranno di aver subito un “grave danno”.

Una manifestazione delle Madri di Piazza di Maggio

Il decreto prevede nuovi divieti a danno dei diritti positivi, e in virtù di questa modifica uno sciopero viene considerato sempre un “danno”, e di conseguenza gli organizzatori della manifestazione “saranno soggetti all’applicazione di sanzioni”, tra le quali spicca il protocollo “anti-picchettaggio” che prevede l’adozione di misure repressive da parte delle forze dell’ordine. Quindi viene da chiedersi se queste regole repressive varranno anche per le storiche marce delle Abuelas e Madres de Plaza de Mayo?

In sostanza, il Dnu Milei si avvia, in modo piuttosto caotico, nel compito di legiferare in aperta violazione dell’articolo 99 della Costituzione nazionale, che sancisce espressamente: “L’Esecutivo non può in nessun caso, a pena di nullità assoluta e irreparabile, emanare disposizioni di natura legislativa”. In questo senso c’è accordo tra quasi tutti i costituzionalisti di diversa provenienza ideologica. Di fronte alla possibilità di un veto parlamentare, il presidente ha subito minacciato di sottoporre il “decretazo” a una consultazione popolare: “Se il Congresso lo respinge, chiedo un plebiscito”.

Jues Eugenio Raul Zaffaroni, giurista e politico. Ha criticato il decreto Milei

Nel frattempo, il 3 gennaio, la Camera Nazionale del Lavoro ha sospeso la riforma del mercato del lavoro nella parte in cui prevede l’estensione del periodo di prova da tre a otto mesi, la limitazione del diritto di sciopero e le libertà per i datori di lavoro di licenziare chi partecipa alle manifestazioni. Inoltre anche il noto giurista argentino Raúl Zaffaroni, ex giudice della Corte Suprema e della Corte Interamericana dei Diritti umani, ha presentato ricorso alla Corte Suprema per chiedere l’annullamento totale del “megaDnu”.

Cosa accadrà è ancora presto per dirlo. La Costituzione, paradossalmente per il presidente Milei, prevede che esclusivamente il Congresso possa indire una consultazione popolare vincolante; l’Esecutivo, invece, può solo chiedere una consultazione non vincolante, e in caso di vittoria non si tradurrebbe automaticamente in norme concrete.

La copertina del libro del filosofo Norberto Bobbio sulle differenza tra destra e sinistra

Sta di fatto che le prime espressioni del liberismo modernizzatore di destra stanno minando il regime democratico argentino e permettono di misurare la distanza tra i (veri) conservatori e i progressisti, proprio a trent’anni dalla pubblicazione dell’opera più nota e popolare del filosofo Norberto Bobbio, Destra e sinistra. Ancora oggi la lezione bobbiana, a prescindere dalle latitudini, rivendica tutta la sua attualità, ovvero la distinzione tra destra e sinistra riguarda fondamentalmente l’atteggiamento verso il concetto di eguaglianza, per non parlare dell’insofferenza per le regole, l’antiparlamentarismo e la tendenza a riconoscersi in leader carismatici. Temi tanti cari alle destre ed estreme destre, in Europa come in Italia.

Andrea Mulas, storico Fondazione Basso