Il video integrale della presentazione del volume “La partecipazione del Mezzogiorno alla Liberazione d’Italia”

 

Approfondire lo studio della Resistenza italiana, allo scopo di definirne meglio i perimetri cronologici, territoriali e socio-politici: è stato questo l’argomento al centro del dibattito svoltosi il 28 febbraio presso la sala Zuccari del Senato della Repubblica, in occasione della presentazione del volume “La partecipazione del Mezzogiorno alla Liberazione d’Italia” (Le Monnier, 2016) che raccoglie i risultati di una ricerca promossa dall’ANPI in occasione del 70° anniversario della Liberazione e realizzata grazie al contributo della Presidenza del Consiglio. Una ricerca, come ha precisato nell’intervento introduttivo il Presidente nazionale Carlo Smuraglia, che si è proposta in primo luogo di sollecitare una riflessione sull’evoluzione del discorso pubblico con cui la Resistenza è stata narrata e ricordata nel corso del settantennio repubblicano, e, in questo ambito, anche sugli impacci di una retorica celebrativa che sovente ha ostacolato una visione più articolata delle vicende della guerra di Liberazione, in grado di dare conto non solo dell’epica resistenziale, ma anche degli insuccessi e degli errori commessi, nel presupposto che l’approfondimento della conoscenza storica non può di certo costituire un fattore di ridimensionamento dell’eccezionale rilevanza di quegli eventi, sintetizzata da Claudio Pavone nell’idea di moralità della Resistenza, quale elemento fondante della democrazia repubblicana.

A partire dall’esigenza di riscoprire quella che Enzo Fimiani, lo storico che ha coordinato l’intera ricerca e che ha moderato la discussione, ha definito la “pluralità” del movimento di Liberazione, tutti i relatori hanno, a vario titolo, affrontato i diversi nessi e le diverse angolature attraverso cui guardare agli eventi del biennio 1943-45, per ricollocare al loro giusto posto fatti e protagonisti a lungo trascurati, e richiamati nei singoli interventi: il clima diffuso di effervescenza sociale – per usare le parole del Presidente dell’Istituto campano della storia della Resistenza, dell’antifascismo e dell’età contemporanea, professor Guido D’Agostino – manifestatasi su tutto il territorio nazionale, sia pure in forma differenziata tra Nord e Sud, dove peraltro non mancarono esperienze di territori liberati, come la Repubblica di Maschito in Basilicata (15 settembre- 4 ottobre 1943); la dimensione civile della Resistenza, a fianco di quella militare, concretizzatasi in numerosi atti di autodifesa, di sostegno e aiuto ai fuggiaschi e ai prigionieri di guerra alleati, di opposizione attiva e passiva alle vessazioni dell’occupante (il senatore Paolo Corsini, vice presidente della Commissione affari esteri e storico, nel suo intervento ha sottolineato il fondamentale ruolo svolto in questo senso dai contadini); il rifiuto da parte dei militari internati in Germania della libertà promessa dai nazifascisti in cambio della sottomissione; la Resistenza delle donne, protagoniste di una eccezionale stagione di emancipazione troppo a lungo negletta da una storiografia ancora troppo al maschile.

Sviluppando questo approccio, tutti i relatori hanno convenuto che la riscoperta della dimensione ampia e complessa della partecipazione del Mezzogiorno alla liberazione del Paese è parte integrante di una narrazione della Resistenza dotata di maggior respiro, secondo una prospettiva che, come ha ricordato Paolo Corsini, le restituisce una dimensione più pienamente e coerentemente nazionale. Nei loro interventi sia Carlo Smuraglia sia Enzo Fimiani hanno ricordato che nel titolo definitivo della ricerca l’espressione “partecipazione alla lotta di liberazione” ha sostituito l’originaria intitolazione del progetto al “contributo del Mezzogiorno alla Liberazione italiana”: in questo modo si è inteso sottolineare, anche sul piano terminologico, uno dei risultati più significativi del lavoro svolto, sul quale si è soffermato nella prima parte della sua relazione il professor D’Agostino, che ha parlato dell’esigenza di superare finalmente il luogo comune di un Mezzogiorno d’Italia estraneo alla Resistenza, così come assente ai grandi appuntamenti della storia nazionale pregressa. A tale proposito, occorre ricordare in primo luogo che tutti gli interventi hanno richiamato l’attenzione sul consistente numero di combattenti delle formazioni partigiane di origine meridionale: su questo punto, le ricerche condotte sul fondo dell’Ufficio per il servizio riconoscimento qualifiche ricompense ai partigiani (RICOMPART), recentemente versato all’Archivio centrale dello Stato dal Ministero della difesa, hanno consentito una più precisa ricognizione sui combattenti, per fasce di età, genere (mettendo ancor più in evidenza la rilevanza della presenza femminile) e provenienza geografica. Si tratta di un tema ampiamente studiato, nel volume, dai contributi di Isabella Insolvibile, Toni Rovatti, Chiara Donati e Carlo M. Fiorentino.

Ma il dato quantitativo, di per sé significativo, non è che la premessa per lo sviluppo di un ragionamento sulle diverse implicazioni e sui molti aspetti della Resistenza meridionale e quindi nazionale. Un ragionamento che consente di riconsiderare e ricontestualizzare gli eventi più noti della lotta antifascista nel Sud, dalla storia della Brigata Maiella alle Quattro giornate di Napoli. Il professor D’Agostino in particolare ha segnalato l’esigenza di superare una visione dell’insurrezione antifascista nel capoluogo campano come una “scossa tellurica”, simile, per il suo carattere di sommovimento profondo e improvviso, a una sorta di jacquerie novecentesca, e di ricollocarlo invece nel contesto di un’opposizione popolare all’occupazione nazifascista diffusa su tutto il territorio campano e meridionale, ed espressa in forme differenziate, dalla resistenza passiva, alla contestazione spontanea, alla lotta organizzata. Partendo dal tema della ricontestualizzazione territoriale, D’Agostino ha prospettato una suggestiva riperimetrazione anche sul piano cronologico della lotta di Liberazione, da riconsiderare, a suo avviso, oltre il confine del biennio 1943-45 e da ricondurre nell’ambito di quello che ha definito il decennio cruciale della storia d’Italia 1938-1948, dall’approvazione delle leggi razziali alle elezioni del 18 aprile. Un arco temporale più ampio – ha affermato lo studioso – consente di pervenire a una ricostruzione “più lunga, più larga e più profonda”, per usare le sue parole, che arricchisce l’interpretazione del biennio 1943-45 non solo nel suo svolgimento, ma anche nelle sue premesse come nei sui esiti e apre nuovi campi alla ricerca storica, a partire dalla ricostruzione delle biografie dei combattenti, tanto più interessanti nei casi in cui la fine della guerra coincise con il ritorno a casa, nel Sud Italia e, in alcuni casi, con la prosecuzione in varie forme del proprio impegno civile, nelle istituzioni o nelle formazioni politiche o sindacali.

Stalingrado. La foto della fontana Barmaley, nota come Bambini di Khorovod, di Emmanuil Evzerikhin. La città brucia sullo sfondo dell’immagine dei bambini che giocano

Proprio il tema delle interpretazioni della Resistenza è stato al centro dell’intervento del professor Claudio Dellavalle, presidente dell’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, che ha sottolineato come la desertificazione culturale a cui si assiste da alcuni decenni a questa parte in Italia – e della quale fa parte integrante il declino dell’insegnamento della storia nelle scuole – abbia alimentato, a partire dalla metà degli anni 90 del secolo scorso, un revisionismo basato su un’interpretazione della Resistenza come conflitto tra due minoranze estremiste, svoltosi nell’indifferenza della maggioranza della popolazione, la “zona grigia”, sopraffatta dalle necessità della sopravvivenza giorno per giorno. Un’interpretazione, quest’ultima, che smarrisce del tutto il senso della tragicità della Seconda guerra mondiale come guerra totale, diversa da tutte quelle del passato e, in quanto tale, suscettibile di dare luogo a una pluralità inedita di reazioni e comportamenti individuali e collettivi, conseguenti a fatti drammatici ed eccezionali come fu, dopo l’8 settembre 1943, la dissoluzione di un esercito in guerra e dislocato anche fuori del territorio nazionale. Anche per questa ragione, ha sottolineato il relatore, l’invito del professor D’Agostino ad ampliare il raggio d’azione della ricerca storica nella sua dimensione cronologica e territoriale sollecita un approccio fortemente innovativo, il cui profilo è emerso anche dal lavoro di creazione di una banca dati del partigianato piemontese da parte dell’Istituto: un lavoro che ha fornito dati quantitativi e qualitativi di grande interesse, che consentono di fare luce non solo sulla composizione delle formazioni (circa 8mila schede riguardano combattenti di origine meridionale), ma anche, ad esempio, sul carattere differenziato delle motivazioni che hanno condotto ciascuno alla partecipazione alla Resistenza, o sulle difficoltà del ritorno alla vita civile, spesso testimoniati nelle storie di vita che integrano i dati raccolti.

Al di là dei suoi fini immediatamente politici, ha ricordato Dellavalle, il revisionismo storico ha prodotto una perdita di memoria che si è tradotta in un declino di consapevolezza circa il significato e le implicazioni della cittadinanza democratica, declino aggravato da una politica che, sprofondata nell’attualità, appare più propensa all’oblio che al ricordo. In questa conclusione, il relatore si è riallacciato alle osservazioni svolte in apertura dal Presidente nazionale dell’ANPI circa la necessità di intendere la memoria non solo come repertorio di ricordi individuali che, in quanto tali, sono inevitabilmente parziali, ma come un percorso attivo di acquisizione e anche di recupero di un passato collettivo, che, in quanto tale, è in grado di restituire alla collettività una più forte consapevolezza storica e civile delle radici della democrazia repubblicana. Un tema, questo, affrontato anche nel messaggio inviato dal Presidente del Senato Pietro Grasso, di cui ha dato lettura la senatrice Silvana Amati, che ha presieduto la manifestazione e introdotto un dibattito che, nello svolgimento e nelle conclusioni, ha mostrato come ancora molto ci sia da fare per approfondire i complessi scenari che sono all’origine della nostra Repubblica, ed ha offerto, al tempo stesso, importanti indicazioni sui percorsi di ricerca da esplorare.