Missak Manouchian (1906-1944), poeta, giornalista, sindacalista e partigiano
Parigi, il Pantheon

Il Panthéon di Parigi accoglierà le spoglie di Missak e Mélinée Manouchian, l’annuncio è di pochi giorni fa, il 18 giugno, da parte del Presidente Macron.
L’ingresso si farà il 21 febbraio 2024, a tre anni di distanza dall’ultima volta che era stato accordato un tale onore, in quell’occasione a Josephine Baker.

Missak e Mélinée, marito e moglie, entrambi partigiani durante l’occupazione nazista della Francia. È però Missak, fucilato appunto il 21 febbraio 1944 al forte del Mont-Valérien poco fuori la capitale, il nome che porta con sé la memoria di alcune delle azioni più coraggiose della Resistenza francese.

Manouchian all’orfanotrofio

Missak Manouchian sfugge, orfano, al massacro degli Armeni in Turchia, passa parte dell’infanzia in un orfanotrofio e poi riesce ad arrivare, da immigrato clandestino, a Marsiglia nel 1935.
Appassionato di letteratura francese, lavora come operaio e al contempo diventa dirigente del Partito comunista francese. La sua attività politica diviene clandestina nel 1940 e viene arrestato nel 1941. A febbraio 1943 entra nei FTP-MOI (Francs-tireurs et partisans – Main-d’œuvre immigrée), simili per concezione ai GAP italiani.

Combattimenti in Francia (archivio fotografico Anpi nazionale)

Nel 1924 il sindacato CGTU (Confédération générale du travail unitaire, collegato al Partito comunista francese, fuoriuscito dal più grande CGT ma poi riunitosi a esso nel 1936) crea una sezione “Manodopera Immigrata” (MOI), per favorire l’integrazione degli stranieri tramite strutture associative, sportive e culturali. Durante l’occupazione nazista della Francia, il MOI diviene una fucina di resistenti.

L’azione terribilmente efficace dei servizi tedeschi distrugge in poco tempo la rete dei partigiani di Parigi e dintorni: nell’estate ’43, in pratica il FTP-MOI, con i suoi 65 attivisti divisi in tre distaccamenti, tutti stranieri o di origine straniera, era rimasto l’unico gruppo operativo nella capitale. Ad agosto Missak Manouchian viene promosso commissario militare del gruppo. L’intensità delle azioni diventa parossistica, elevandosi a una media di un’azione ogni due giorni, spesso con modalità spettacolari. Il 28 settembre 1943 uccidono il generale delle SS Julius Ritter, responsabile delle deportazioni per il lavoro coatto, che avevano condotto mezzo milione di francesi in Germania.

Il 16 novembre successivo viene arrestato mentre con un altro dirigente partigiano discute se disperdere i propri uomini, oramai decimati e continuamente sotto scacco.

Dopo le torture e un processo farsa, Manouchian e altri 22 uomini del FTP-MOI sono fucilati. Fra questi vi sono ben quattro italiani. La sola donna arrestata in quei frangenti, Olga Bancic, viene invece decapitata dopo essere stata trasferita in Germania, nel maggio 1944.

Quello che però rimane di altamente simbolico di questa vicenda, già rilevante sul piano operativo, è il Manifesto Rosso.

La propaganda tedesca decide di usare la vicenda per dimostrare come i francesi in realtà siano ben felici dell’occupazione. I “terroristi” appena fucilati erano del resto tutti stranieri, in gran parte comunisti o comunque “rossi” e con molti ebrei fra loro. Insomma: i partigiani sono parte di una congiura internazionale comunista e giudea che vuole imporre il terrore. Realizzano quindi un manifesto, noto poi come Affiche Rouge, che viene stampato in almeno 15.000 copie ed esposto a Parigi, Lione e Nantes.

La tomba di Missak e Mélinée Manouchian che a breve dimoreranno al Pantheon di Parigi

L’effetto è l’opposto di quello sperato. Quei manifesti, dove campeggiavano le foto di 10 dei fucilati al Mont-Valérien, danno speranza. Quei volti ripresi prima dell’esecuzione suscitano compassione. Nei rapporti di polizia dell’epoca si lamenta che le persone portano fiori ai muri dove era il Manifesto Rosso. Biglietti con su scritto “Morti per la Francia” o “Martiri” vengono lasciati insieme ai fiori.

I quattro italiani del FTP-MOI fucilati con Manouchian. Da sinistra in alto: Spartaco Fontanot, Amedeo Usseglio, Cesare Luccarini e Rino Della Negra

Gli italiani del gruppo Manouchian

Spartaco Fontanot
Nato a Monfalcone (GO) nel 1922, segue i genitori – perseguitati dal fascismo – in Francia due anni più tardi. Consegue un diploma professionale e inizia a lavorare come operaio, ma al contempo continua a studiare per diventare ingegnere. Nel 1942 deve però cambia bruscamente vita: passa ai partigiani contro l’occupante nazista. La Gestapo arresta il padre e la sorella, antifascisti come lui, anche Spartaco è ricercato. Tiratore di elite e poi ufficiale partigiano partecipa ad alcune delle più importanti azioni del gruppo Manouchian.
È l’unico della compagine italiana a comparire sul Manifesto Rosso, indicato come “Fontanot, comunista italiano, 12 attentati”.
A Nanterre, dove aveva vissuto, una via è intitolata ai “tre Fontanot”, perché i suoi cugini Jacques e Nerone sono come lui morti combattendo contro il nazismo.

Il memoriale al Forte del Mont-Valérien dove vennero fucilati i 23 partigiani del Gruppo Manouchian

Rino Della Negra
Nato in Francia nel 1923 da genitori originari di Udine era un talentuoso calciatore che militava nel Red Star di Saint-Ouen-sur-Seine.
Operaio in una fabbrica di pezzi per automobili nel 1942 viene selezionato per il lavoro obbligatorio e destinato al trasferimento forzoso in Germania. Rino però si sottrae e passa in clandestinità unendosi a febbraio 1943 a un gruppo di partigiani di Argenteuil. Poco dopo è operativo nel gruppo di Missak Manouchian.
Ad Argenteuil c’è una via che gli è dedicata, oltre a una sala del Municipio. Ma è allo stadio Bauer di Saint-Ouen che la memoria di Rino è più sentita: i tifosi del Red Star hanno installato una lapide commemorativa per lui e la Tribuna Rino Della Negra è quella tradizionalmente più animata.

Una cerimonia in omaggio del Gruppo Manouchian

Amedeo Usseglio
Nato a Giaveno (TO) nel 1911, arriva in Francia nel 1930, anche lui, come Della Negra, passa in clandestinità per sfuggire al lavoro coatto e alla deportazione in Germania. Ha partecipato a numerosi sabotaggi, divenendo protagonista di quelli alle strutture ferroviarie.
A Plessis-Robinson, dove abitava, una strada ne porta il nome.

Cesare Luccarini
Nato nel 1922 a Castiglione dei Pepoli (BO), arriva in Francia nel 1930 a seguito della famiglia, vessata dal fascismo. Politicamente attivo fin da giovane nel partito comunista, passa nelle file della resistenza già nei primissimi tempi dell’occupazione nazista. Arrestato e incarcerato nel 1942 riesce a evadere l’anno successivo. Attivamente ricercato, lascia il precedente gruppo partigiano e si sposta a Parigi, unendosi a Manouchian.
Due cittadine nell’estremo nord della Francia lo ricordano con una via.

Un messaggio chiaro, anche per l’Italia

Il Panthéon accoglie i «grandi uomini che hanno meritato la riconoscenza nazionale», un criterio particolarmente ampio che non viene ulteriormente dettagliato. C’è però almeno un criterio implicito, ovvero che la personalità in questione incarni appieno i valori repubblicani. Difatti alcuni uomini indubbiamente meritevoli non hanno mai avuto questo privilegio, per esempio Hector Berlioz, grande compositore ma anche noto monarchico, è stato proposto per tre volte senza – per adesso – alcun successo.

Infine la scelta di un trasferimento al Panthéon ha, inevitabilmente, delle letture politiche legate alle contingenze odierne. Vari osservatori concordano che Macron, con la scelta di Manouchian, voglia affermare due idee, che sono lo specchio l’una dell’altra. Da una parte l’universalità dei valori di lotta per la libertà, valori appunto trasversali alla nazionalità di appartenenza: si può cioè essere pienamente “citoyen·ne·s” per scelta, indipendentemente dal luogo o dalla cultura di nascita. Dall’altra l’elevazione della Francia a patria universale, luogo dei valori e delle identità ampie.

Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron nell’incontro in Francia (Imagoeconomica)

Un messaggio chiaro a chi invece riesce a riconoscere la propria identità solo quando asserragliata fra confini e steccati.

Un messaggio verso l’interno, dove il partito di Le Pen continua a essere una forza notevole, ma un messaggio anche verso l’esterno: l’annuncio della “pantheonizzazione” di Missak e Mélinée arriva due giorni prima dall’incontro di Macron con Meloni, la quale – dopo i tanti attriti – cerca disperatamente di ricucire con la Francia, secondo partner commerciale a livello mondiale per il nostro Paese.

L’ultima lettera di Missak a Mélinée

Mia cara Mélinée, amata orfanella,
fra qualche ora non sarò più di questo mondo. Verremo fucilati questo pomeriggio alle 15. È una disgrazia, non riesco a crederci ma so che non ti vedrò mai più. Cosa posso scriverti? Tutto in me è confuso e chiarissimo allo stesso tempo.

Mi ero arruolato nell’Esercito di Liberazione come soldato volontario e muoio ad un passo dalla Vittoria e dall’obiettivo. Felicità a coloro che ci sopravviveranno, gusteranno la dolcezza della Libertà e della Pace di domani. Sono certo che il popolo francese e tutti i combattenti per la Libertà sapranno onorare degnamente la nostra memoria. Nell’ora della morte dichiaro di non avere alcun odio per il popolo tedesco o contro chicchessia, ognuno avrà ciò che merita come castigo e come ricompensa.

Il popolo tedesco e tutti gli altri popoli vivranno in pace e in fraternità dopo una guerra che non durerà ancora a lungo. Felicità a tutti… Ho un profondo rimpianto per non averti resa felice, avrei davvero voluto avere un bambino da te, come hai sempre voluto. Ti prego quindi di sposarti dopo la guerra, sul serio, e di avere un figlio, ne sarei contento ed è questa la mia ultima volontà, sposati con qualcuno che possa renderti felice. Tutti i miei beni e tutte le mie cose sono per te, per tua sorella e per i miei nipoti. Dopo la guerra potrai far valere il tuo diritto ad una pensione di guerra in quanto mia moglie, perché muoio come soldato regolare dell’esercito francese di liberazione.

Con l’aiuto degli amici che mi vorranno onorare farai pubblicare le mie poesie ed i miei scritti che valgono la pena di essere letti. Mi ricorderai per quanto possibile ai miei parenti in Armenia. Morirò assieme ai miei 23 compagni con il coraggio e la serenità di un uomo che ha la coscienza tranquilla, perché personalmente non ho fatto del male a nessuno e se l’ho fatto l’ho fatto senza odio.

Oggi è una giornata di sole. È con lo sguardo sul sole e sulla natura che ho così amato che dirò addio alla vita e tutti voi, carissima moglie mia e carissimi amici. Perdono a tutti coloro che mi hanno fatto del male o me ne hanno voluto fare, a parte a coloro che ci hanno traditi per salvarsi la pelle e a coloro che ci hanno venduto. Ti abbraccio fortissimo, abbraccio anche tua sorella e tutti gli amici vicini o lontani, vi tengo tutti nel mio cuore. Addio. Il tuo amico, il tuo compagno, tuo marito.

Manouchian Michel

P.S. Ho quindicimila franchi nella valigia in rue de Plaisance. Se puoi prenderli salda i miei debiti e dai il resto all’Armenia.

 


Sulla storia di Missak e del gruppo FTP-MOI, oltre al film “L’affiche rouge” di Frank Cassenti del 1976, esiste anche un bellissimo film di Robert Guédiguian intitolato “L’Armée du crime”, mai distribuito in Italia e che grazie a un dvd sottotitolato alcune Anpi, come quella di Voghera, hanno proiettato in occasione di alcune iniziative, realizzando anche una scheda storica che vi proponiamo