Il 25 agosto 2019 ricorre il 75° della Liberazione di Parigi dal nazismo e dal vichysmo. Nel 2014, nel 70°, la video-mostra all’Hotel de Ville e l’altra al Musée Carnevalet con foto e altri materiali provenienti dall’esposizione realizzata subito dopo la Liberazione, grazie all’allora direttore del museo, che era stato partigiano, riservò un’amara sorpresa ai discendenti degli immigrati partigiani italiani, spagnoli, polacchi, tedeschi e armeni. Non c’era alcun ricordo delle migliaia e migliaia di immigrati che si batterono in prima fila per la Liberazione di Parigi e della Francia. Lo sciovinismo d’oltralpe (di destra e di sinistra) sembra infatti inossidabile. Con il massimo rispetto per i quasi 300mila (secondo alcuni 500mila) francesi che parteciparono alla Resistenza, sono i documenti d’archivio a dimostrare l’importanza, a volte decisiva, dell’impegno combattente di immigrati stranieri, italiani, spagnoli, ebrei, polacchi, belgi e di quasi tutte le nazionalità europee (spesso, nella competizione interna al Paese fra gaullisti e comunisti, i loro nomi furono anche francesizzati).
Purtroppo, è una pagina di storia alquanto ignorata anche nei Paesi di origine. Numerosi fra questi resistenti erano prima andati a combattere in Spagna contro il franchismo e dopo la sconfitta erano passati in Francia. L’arrivo al potere del fascismo in Italia aveva provocato la fuga in Francia di circa un milione di persone, fenomeno che continuò sino al 1939 e anche durante il secondo conflitto mondiale. La guerra antifascista era continuata dappertutto: i fascisti perseguitavano i fuorusciti, uccisero i fratelli Rosselli, trasformarono le missioni cattoliche bonomelliane in Francia, create per gli emigrati italiani, in case del fascio, sostenendo ovviamente i preti che inneggiavano ai “santi manganelli del ’22”. Ma la stragrande maggioranza degli italiani in Francia era antifascista e i militanti socialisti, comunisti, anarchici e popolari erano assai numerosi in particolare a Parigi, nella banlieue, oltre che a Marsiglia e in altre città.
Fino al 1939 la polizia francese aveva concesso loro un récépissé valido come documento d’identità e come permesso di soggiorno da rinnovare ogni mese (lasciando queste persone in balia delle minacce d’espulsione). Ma nell’aprile 1940, con la guerra, le misure si inasprirono ulteriormente: il ministro della Giustizia, il socialista Serol, firmava il decreto di condannava a morte di tutti i responsabili (anche solo sospetti) della ricostruzione delle organizzazioni comuniste e di sinistra sciolte già prima.
I Francs Tireurs et Partisan de la Main d’Oeuvre Immigrée (F.T.P.-M.O.I) fu l’organizzazione che già negli anni Trenta aveva cominciato a inquadrare gli immigrati militanti che poi, dal 1940, passarono alla lotta armata contro il nazismo e i vichysti collaborazionisti. È vero che in maggioranza erano comunisti, ma sono infondate le tesi di chi sostiene che fossero agli ordini del Partito comunista francese (che brillava per il suo stalinismo).
La maggioranza degli immigrati combattenti non risulta affatto fossero forgiati dalle “vie nazionali al socialismo” e all’obbedienza cieca all’Urss. Tanto è vero che, in diverse occasioni, combatterono al fianco di anarchici, socialisti, cattolici e “senza partito”. L’adesione ai FTP-MOI era dettata soprattutto dalle relazioni fra immigrati originari dello stesso Paese, spesso tenuti ai margini della società. Nella regione parigina, il gruppo FPT-MOI diventerà famoso sia per le sue azioni temerarie e particolarmente efficaci sia perché i nazisti ne fecero il principale bersaglio della loro controffensiva.
Il Manouchian
Il “Gruppo Manouchian” (dal cognome del capo, un armeno), creato nel 1942, fu l’unica squadra a rimanere attiva poiché le altre formazioni partigiane erano state sterminate dalla Gestapo grazie alla collaborazione di quasi tutta la polizia francese e dei “cittadini collaborazionisti”. Del gruppo facevano parte 65 combattenti, alcuni dei quali avevano acquisito la nazionalità francese prima dell’occupazione nazista e dell’arrivo al potere del Maresciallo Pétain (capo del governo di Vichy) o perché nati in Francia (figli di ebrei fuggiti da Polonia, da territori armeni, dalla Spagna).
Gli italiani erano la maggioranza degli immigrati rimasti con nazionalità straniera. Duecento poliziotti della Brigata speciale della Préfecture de Police di Parigi insieme alla Gestapo si misero a caccia di questi tenacissimi resistenti. Secondo alcuni il numero di combattenti e loro affiliati era maggiore e di molto se si includono quanti contribuivano con il trasporto di armi ed esplosivi, l’individuazione dei nascondigli, di chi provvedeva a tutte le necessità di cui abbisognava un gruppo armato che si spostava in una grande città e riusciva a compiere attentati persino nelle caserme dei nazisti, negli hotel dove stavano gli ufficiali, e anche a distribuire volantini un po’ ovunque.
Fra il 1942 e la fine del ’43, secondo i rapporti dei nazisti, il Manouchian compì 229 azioni (ma non tutte venivano denunciate, ancor meno quelle in cui i nazisti erano stati messi in ridicolo). Secondo alcune fonti, il gruppo riuscì a realizzare un’azione ogni due giorni, senza contare i piccoli sabotaggi, in realtà opera di semplici simpatizzanti. Fra le azioni più spettacolari si ricorda l’eliminazione fisica, in rue Pétrarque, XVI arrondissement di Parigi, del generale delle SS Julius Ritter, responsabile della deportazione in Germania di circa 500mila francesi, destinati al servizio di lavoro obbligatorio (di quest’azione furono accusati Celestino Alfonso, Spartaco Fontano, Léo Kneler e Marcel Rayman).
A inizio ’44 i nazisti, con la tortura, riuscirono a far parlare alcuni fermati e quindi arrestarono 23 esponenti del gruppo, fucilati il 21 febbraio al mont Valérien, alle porte di Parigi.
Volendo screditare tutta la Resistenza, in occasione dell’arresto e dell’esecuzione, i nazisti attaccarono in tutte le strade della città l’“affiche rouge”, “il manifesto rosso” (riferendosi al colore del sangue), con le loro facce, i loro nomi e alcune selezionate azioni. Una macabra propaganda per far leva sul nazionalismo razzista francese mostrando che i cosiddetti liberatori altro non erano che stranieri “disoccupati” (“parassiti”) e terroristi che mettevano a rischio la vita della pacifica e buona popolazione parigina: “un’armata del crimine contro la Francia”. Oltre all’affiche furono diffuse decine di migliaia di volantini con un testo che dettagliava l’accusa ai “criminali stranieri” e “non liberatori”. Questi, in ordine alfabetico, i nomi dei fucilati, in maggioranza giovanissimi: Joseph Boczov (ebreo ungherese, 38 anni, 20 attentati e deragliamenti di treni); Maurice Fingercwajg (ebreo polacco, 19 anni, 3 attentati e 5 deragliamenti); Szlama Grzywacz (ebreo polacco, 34 anni, accusato di 2 attentati), Missak Manouchian (il capo, armeno, 37 anni, accusato di 56 attentati, 150 morti, 600 feriti), Marcel Rayman (ebreo polacco, 21 anni, 13 attentati), Wolf Wajsbrot (ebreo polacco, 18 anni, 1 attentato e 3 deragliamenti), Robert Witchitz (ebreo polacco, 19 anni, accusato di 15 attentati).
Ed ecco i nomi degli altri condannati a morte: Celestino Alfonso (spagnolo, 27 anni), Olga Bancic (rumena, 32 anni, decapitata il 10 maggio 1944 a Stoccarda), Georges Cloarec, (francese, 20 anni), Rino Della Negra, (italiano, 19 anni), Spartaco Fontano (italiano, 22 anni), Jonas Geduldig (polacco, 26 anni), Emeric Glasz (ungherese, 42 anni), Léon Goldberg, (polacco, 19 anni), Stanislas Kubacki (polacco, 36 anni), Cesare Luccarini (italiano, 22 anni), Armenak Arpen Manoukian (armeno, 44 anni), Roger Rouxel, (francese, 18 anni), Antoine Salvadori (italiano, 24 anni), Willy Schapiro (polacco, 29 anni), Amedeo Usseglio (italiano, 32 anni).
Si noterà che sull’affiche sono elencati unicamente gli ebrei di origine straniera, nonostante molti avessero preso la nazionalità francese, e il capo del gruppo, Missak Manouchian, accusato di una quantità enorme di attentati.
Strophes pour se souvenir
Louis Aragon dedicò a quegli eroi la poesia “Strophes pour se souvenir”, pubblicata nella raccolta “Le Roman inachevé”, nel 1956. Nel 2005, Riccardo Venturi ne ha proposto una traduzione in italiano:
IL MANIFESTO ROSSO
Non avete reclamato né gloria né pianti
né l’organo, né la preghiera dei moribondi.
Son già undici anni. Come passan presto.
Avevate usato solo le vostre armi,
la morte non annebbia gli occhi dei partigiani.
Avete i vostri ritratti sui muri delle città
con le barbe nere e, di notte, irsuti, minacciosi.
L’avviso che sembrava una macchia di sangue
perché i vostri nomi si pronuncian difficilmente
e si cercava di fare paura ai passanti
Preferibilmente non vi si voleva ritenere francesi,
la gente, di giorno, camminava senza vedervi.
Ma all’ora del coprifuoco, delle dita vaganti
scrissero sulle vostre foto: MORTI PER LA FRANCIA
E le cupe mattine ne sortivano differenti.
Tutto aveva il colore uniforme della brina
a fine febbraio, per i vostri ultimi momenti.
Ed è allora che uno di voi disse tranquillamente
“Gioia per tutti, Gioia per chi sopravvive,
muoio senz’odio in me per il popolo tedesco.
Addio alla pena ed al piacere, addio alle rose,
addio alla vita, addio alla luce e al vento.
Spòsati, sii felice e pensami sovente
tu, che resterai nella bellezza delle cose
quando tutto sarà finito, dopo, a Erevan.
Un gran sole d’inverno rischiara la collina,
che bella è la natura, come mi si spezza il cuore.
E verrà la giustizia ai nostri passi trionfanti,
o mia Melina, amore mio, mia orfana,
io ti dico di vivere e di avere un bambino.”
Erano ventitré quando sbocciarono i fucili,
ventitré che donavano il loro cuore anzitempo.
Ventitré stranieri, ma eran nostri fratelli
ventitré innamorati della vita da morirne,
ventitré che gridaron la Francia nel cadere.
Sei mesi dopo l’esecuzione del mont Valérien, il 18 agosto, mentre gli Alleati avanzano in territorio francese, Parigi insorge contro gli occupanti e i collaborazionisti. Il 25 agosto il generale Dietrich Hugo Hermann von Choltitz firma la resa.
L’appello all’insurrezione ricolto agli immigrati
Ecco l’appello agli immigrati per la partecipazione all’insurrezione e alla liberazione di Parigi, firmato da Centre d’Action et de Défense des Immigrés (C.A.D.I.), Comité Italien de la Libération Nationale, Comité Polonais de la Libération Nationale, Unité Nationale Espagnole, Comité National Tchécoslovaque, Comité d’Unité et de Défense Juive, Union des Patriotes Russes, Front National Ukrainien, Mouvement pour l’Indépendance Hongroise, Front National Arménien, Front National Roumain.
“Immigrati! Il gran giorno è arrivato. Il nemico battuto all’Est e a Ovest dalle valenti armate dei nostri alleati indietreggia in disordine su tutti i fronti. La liberazione del territorio francese continua a passi da gigante. Fra qualche giorno Parigi, il cuore della Francia e la capitale della libertà, sarà definitivamente liberata dal giogo hitleriano. Parigi libera è il simbolo della liberazione di tutti i popoli oppressi, è la vittoria della libertà, della fraternità e dell’uguaglianza sulla barbarie fascista.
Immigrati, per lunghi anni, avete combattuto a fianco dell’eroico popolo di Francia contro l’occupante; avete condotto una lotta incessante in tutte le forme per arrivare al più presto alla liberazione comune. Avete provato con i vostri sacrifici e le vostre azioni armate, con le vostre sofferenze e la vostra dedizione che la vostra sorte è indissolubilmente legata a quella del grande popolo francese. Avete forgiato nei combattimenti comuni i legami di fraternità con la nazione francese.
Oggi, alla vigilia della vittoria definitiva, un ultimo sforzo vi è chiesto. All’avvicinarsi delle armate alleate, il nobile popolo di Francia, degno successore dei suoi antenati della Rivoluzione del 1789, si alza per il combattimento finale. Parigi intera erige le barricate. Anche voi, immigrati, farete il vostro dovere; vi metterete ai primi ranghi dei combattenti della libertà, aiuterete a scacciare il nemico dal suolo sul quale voi vivete e lavorate. Tutti alle barricate! Immigrati alle armi!
Partecipate in massa alle azioni delle Forces Françaises de l’Intérieur FFI), conformemente agli ordini del governo provvisorio della Repubblica, del Consiglio della Resistenza e delle sue autorità locali!
Partecipate allo sciopero generale; aderite alle milizie patriottiche. Attaccate i militari tedeschi dappertutto ovunque si trovino e recuperate con ogni mezzo le loro armi. Nelle regioni d’aggregazione degli immigrati, formate e rafforzate i distaccamenti nazionali delle F.F.I. Arrestate i traditori e agenti del nemico e impedite loro di fuggire; rioccupate le sedi delle vostre organizzazioni invase dal nemico o dai suoi servi.
Unitevi alle manifestazioni calorose d’amicizia e di riconoscenza che accoglieranno le armate alleate vittoriose. In queste ore solenni e indimenticabili, condividerete con il popolo di Francia la gioia della liberazione, voi che avete sofferto e combattuto con lui nelle ore tragiche. Addobbate le vostre case con le bandiere francese e alleate, americane, inglesi, sovietiche.
Immigrati,
Avanti per l’assalto finale che darà alla Francia libertà, indipendenza e democrazia.
Viva la Francia!
Viva i nostri Alleati!”
La testimonianza di uno dei membri del gruppo FTP-MOI, Martino Martini, è stata raccolta dalla nipote Francesca.
“Martino Martini era nato nel 1915 a Cozzile (Massa); era schedato come sospetto antifascista ancor prima di fare il servizio militare. Per sfuggire a questo che l’avrebbe costretto sicuramente ad andare soldato alla “conquista coloniale fascista dell’Abissinia”, nel 1936 fuggì in Francia. A Parigi cominciò subito l’attività antifascista come responsabile di una sezione dell’Associazione Giovani Antifascisti Italiani della quale diventò dirigente della regione parigina. Successivamente fu nominato anche segretario del Consiglio Nazionale dell’Unione Popolare Italiana (che riuniva tutti gli antifascisti italiani e che, fra altri obiettivi, prevedeva l’aggregazione degli italiani in Francia nella «lotta per il pane, la pace e la libertà, per la democrazia», quindi un associazione di immigrati che si interessava anche all’impegno politico in Francia).
Dopo che fu tolto il permesso di soggiorno a tutti gli antifascisti rifugiati, Martino, cominciò la Resistenza con le F.T.P.-M.O.I ). Visto il suo coraggio, la forza, l’abilità e le sue capacità, fu scelto come membro del gruppo Manouchian con il compito di responsabile dei rifornimenti alimentari e del reperimento di armi ed esplosivi necessari per gli attentati. Organizzò tre depositi d’armi, il principale, le Génie, nel XII arrondissement. L’8 febbraio del 1941 fu arrestato dalla polizia francese insieme ad altri compagni fra le quali la sua compagna (francese) di lotta e di vita: Louise Grandjean. Furono consegnati alle autorità naziste e sottoposti a interminabili interrogatori. Louise fu arrestata perché colpevole di diffusione di stampa e volantini clandestini. Condannata a sei mesi a Fresnes, venne scarcerata il 19 luglio 1941 e reclutata dal M.O.I. operò in clandestinità sino alla Liberazione. La sua principale occupazione era la distribuzione di volantini, armi e munizioni ai diversi gruppi FTP-MOI.
Martino fu rimesso in libertà nel maggio 1941 perché nessuno aveva parlato e la polizia e i nazisti preferivano rilasciare per poi pedinare. Da allora visse in clandestinità. Martino faceva parte del più importante gruppo di fuoco italiano che nel 1942 realizzò 71 attacchi contro i nazisti. Fu grazie alla compagna di Ernesto Ferrari (già combattente in Spagna con le Brigate internazionali, ndr), che Martino riuscì a sfuggire agli arresti dei 23 del gruppo Manouchian.
“Mai orgoglioso del suo passato ma fiero”, è così che voleva essere ricordato:
Martino Martini 2.7.1915 – 13.01.2011
Lieutenant Partisan FAFTPF MOI, Exilé en France depuis 1936. Il participa à l’insurrection de Paris, en Aout 1944, en tant que membre du Groupe Manouchian. “Amoureux de vivre a en mourir” Louis Aragon (iscrizione sulla sua tomba nel cimitero di Cozzile)”.
La storia si ripete
Il figlio di Martino, nato in Francia e di nazionalità francese, quando fu chiamato al servizio militare francese (alla fine degli anni Cinquanta) non esitò a scegliere come aveva fatto il padre: non avrebbe mai potuto andare in Algeria a sparare sugli algerini! Perciò, renitente alla leva francese, fuggì in Italia. E qui scoprì che suo padre era ancora considerato renitente e a rischio di essere processato e mandato a Gaeta! Martino Martini scriverà a Sandro Pertini e all’Anpi; così gli è stata restituita la piena cittadinanza e gli onori di ex-combattente antifascista.
Oggi la nipote di Martino, Francesca, è una delle più impegnate e competenti nell’assistenza ai rifugiati e nella lotta antifascista.
Salvatore Palidda, già professore di sociologia generale e di sociologia delle migrazioni all’Università di Genova
Pubblicato mercoledì 18 Settembre 2019
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