Il paesaggio di De Chirico, ma senza metafisica. Mai avremmo immaginato di vivere come normalità a termine questa Roma. O questa Milano. O questa Napoli. E così percorrendo la nostra terra. Amara terra mia, dice la canzone. E dolce anche, per mille e una ragione. C’è un rumore sconosciuto e sacro, il rumore del silenzio. Solo la profanazione della sirena delle ambulanze.
Esco una volta ogni due/tre giorni, secondo le regole. Fin dall’inizio è tutto più difficile. E arcano, perché arcano è chi o cosa si nasconde. Come un virus, per esempio.
Mi vesto. Il soprabito e una sciarpa, ma non per il freddo. Poi i guanti di lattice, la mascherina, il cappello. Infine gli occhiali da sole, anche se non c’è il sole.
Niente ascensore. Le scale e poi la città. Poche persone. Si evitano. Ci evitiamo. Tenere le distanze. Tutto rarefatto. Un’aria tersa e ossigenata, inopinatamente. Dai bidoni dell’immondizia non tracimano come sempre rifiuti di ogni genere e miasmi maleodoranti.
Intravedo la lunga e segmentata coda per il supermercato. Distanti e distinti. Si armeggia sullo smartphone. Rimossa la socialità reale, cresce la creazione sociale virtuale. Siamo persone, ma senza volto, letteralmente, perché con la mascherina non ci si riconosce.
In fondo, tutti ci mascheriamo perché siamo liberi di decidere come apparire. Ma oggi il potere della decisione è fuori di noi. Sono obbligato a mascherarmi non per l’azione cogente della legge, ma per la violenza che mi/ci impone il virus.
Coperto il volto, si dissolve qualsiasi possibilità di vedere o manifestare il sorriso. Una perdita. Un’amputazione. Senza sorrisi, senza abbracci, è un trionfo di faccine e cuoricini che traboccano dallo smartphone.
Nel supermercato acquisto qualcosa. Alla cassa osservo con riconoscenza la ragazza al banco, chissà cosa pensa, come vive, quanta ansia conserva e nasconde dietro la mascherina. Ovviamente niente amuchina, alcol o disinfettanti equivalenti.
Curiosamente, sono aperti i ferramenta e gli accessori elettrici. Mi serve un cavo che effettivamente trovo. In bella vista, fra gli accessori elettrici, i flaconi di amuchina. Ne acquisto uno, 4.90 euro. 100 milligrammi, cioè mezzo bicchiere, cioè un decimo di litro, cioè 49 euro al litro. Siamo nella stessa barca. Ma alcuni stanno nello stesso yacht.
In edicola pago su di una sorta di paletta, tutto fa brodo – giustamente – per tenere le distanze.
Così intabarrato ho molto caldo e sudo. La mascherina mi impedisce di respirare bene. Seguo con lo sguardo le saracinesche dei negozi, “e sarà festa tutto l’anno”, cantava Dalla, ma questa non è una bella festa.
Qualche anziano getta nel bidone il sacchetto dei rifiuti. Nessuna mascherina per lui. Siamo tutti in modalità provvisoria. Il punto è che non sappiamo quale sarà la modalità definitiva.
Torno a casa. C’è la lunga svestizione e la sommaria disinfezione. Ore 18, primo canale. Ancora troppi morti, ma meno contagi, molti meno. E più guarigioni, molte più. La terapia è giusta.
Prima o poi De Chirico tornerà nella cornice. Prima o poi noi torneremo ad abbracciarci.
Pubblicato martedì 31 Marzo 2020
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