Roma, 30 ottobre 2025. Flashmob di Forza Italia dopo il voto al Senato della Riforma della Giustizia (Imagoeconomica, Andrea Panegrossi)

Erano i primi anni 90 quando, a soli dieci anni dalla conclusione della stagione di produzione legislativa che dava attuazione alla Costituzione, si iniziò a iniettare nella società italiana il veleno della necessità, se non ancora dell’urgenza, di mettere le mani sulla Carta fondamentale, per cui a fronte di un impegno formale a non intervenire sulla prima parte, si iniziava a scardinarne l’impianto organico e coerente che solo rimanendo tale avrebbe potuto funzionare. La Costituzione iniziava così un cammino zoppicante, sempre più accidentato, in cui la guida non era più l’obiettivo della democrazia sociale.

In attuazione del referendum del 18 aprile 1993 si iniziava infatti a sacrificare il principio della rappresentanza in nome dell’alternanza (intesa come bipartitismo) e della governabilità, introducendo un sistema elettorale a base maggioritaria. Contemporaneamente, nella convinzione che il privato sarebbe produttivo e competitivo, mentre il pubblico è inefficiente ed esente dai rischi d’azienda, si sacrificava l’effettivo assolvimento delle funzioni con cui lo Stato risponde alle esigenze dei cittadini e ai diritti dei lavoratori, adottando per gli enti pubblici i principi, gli strumenti e le logiche di gestione aziendale tipici delle imprese private.

Dopo che, per trent’anni, governi di ogni colore politico si sono impegnati nella “modernizzazione”, quel processo sembra ora compiersi definitivamente senza più che ci si “limiti” alla destrutturazione della Costituzione, ma mirando esplicitamente alla demolizione dei principi fondanti di ogni democrazia costituzionale. È in questa direzione che vanno tutti gli interventi sulla Giustizia e sulla Sicurezza emanati a colpi di decreti legge e voti di fiducia nel giro di soli tre anni, mentre si è imposto il premierato di fatto e, anche senza l’attuazione definitiva della legge Calderoli, si aggrava la differenziazione nell’accesso ai servizi (Sanità, Istruzione, Trasporti sono già da tempo in mano ai “governatori” regionali) tra regioni ricche e povere, tra fasce sociali deboli e privilegiate.

Senato, 30 ottobre 2025. Votazione della Riforma della Giustizia (Imagoeconomica, Paola Onofri)

Già in vigore sono la legge n.114/2024, che ha riformato profondamente il Codice penale e quello di procedura penale, insieme all’Ordinamento giudiziario, e la legge n.80/2025, con la quale la maggioranza di governo ha convertito il cosiddetto Decreto Sicurezza, invocando l’urgenza della sua approvazione, a fronte di un generale calo dei reati documentato anche da fonti del ministero degli Interni. La tappa successiva è ora la riforma della Giustizia, spesso sbrigativamente definita come riforma per la separazione delle carriere. La riforma è stata approvata in Senato in quarta lettura, con un iter parlamentare senza alcuna possibilità di emendamenti, fatto che non ha precedenti nella storia delle riforme costituzionali, e ora la legge sarà al vaglio del referendum, previsto per la prossima primavera e che, essendo un referendum costituzionale, non prevede quorum.

(Imagoeconomica, Carlo Carino by IA MID)

I contenuti di questi provvedimenti legislativi, anche per il linguaggio tecnico con cui sono scritti, possono apparire astratti, oggetto solo delle analisi dei “professoroni” o della propaganda veicolata dai massmedia che tende a mettere in secondo piano il merito, il loro contenuto, mentre è quanto mai necessario condurre una analisi da cui emergano da una parte il rapporto di queste riforme con la Costituzione, e dall’altra le conseguenze che possono avere nella vita quotidiana di tutte/i noi.

(Imagoeconomica, Clemente Marmorino)

È quindi necessario partire da una domanda: cosa significa Sicurezza? È davvero da intendersi solo come contrasto del crimine? Oppure è la certezza di poter fruire delle prestazioni sanitarie di cura e prevenzione, di avere un lavoro equamente retribuito e regolato secondo i diritti costituzionali, a partire, appunto, da quello della sicurezza nei luoghi di lavoro, di avere diritto a una casa, a una vita dignitosa al termine dell’attività lavorativa, a vivere e lavorare in un ambiente sano, non inquinato, ad accedere ad un sistema di istruzione di qualità fino ai livelli più alti?

(Imagoecomomica, Saverio De Giglio)

In nome della Sicurezza, dobbiamo forse rinunciare all’uguaglianza sostanziale (Art. 3 Cost.), per cedere allo stato penale e accettare e subire restrizioni dei diritti costituzionali per ciascuno/a di noi e per coloro che ormai sono riconosciuti come nemici della Sicurezza? Tra loro i poveri, i migranti, i giovani ritenuti spesso “soggetti pericolosi” solo in base all’età (vedi decreto antirave, ma anche didattica dell’umiliazione sostenuta e codificata dal ministro Valditara), persone che manifestano per reclamare diritti o per solidarietà con chi non li vede riconosciuti e garantiti (v. reato di solidarietà), i cosiddetti “antagonisti”, tra i quali ormai vengono identificati gli antifascisti (Trump e Orban insegnano), ma anche i magistrati e i giornalisti che vogliono continuare ad esercitare la loro professione in coerenza con principi costituzionali, o ancora gli insegnanti, bollati spesso come “cattivi maestri” e formalmente individuati da tempo come docenti contrastivi se criticano le disposizioni del Dirigente scolastico. Quando ormai a intimidire la critica e il dissenso, prima ancora dei provvedimenti legislativi, sono la delegittimazione (il marchio di antisemita, putiniano, intollerante e ora antifa) e la diffamazione, mentre contemporaneamente una sola forza politica controlla gli organi di formazione e di espressione dell’opinione pubblica e di rappresentanza, come i giornali e il Parlamento.

In nome della Sicurezza, dobbiamo rinunciare a un elemento fondamentale della democrazia costituzionale, la sua linfa vitale: il diritto-dovere al dissenso, che può e deve esprimersi perché essa non si tramuti in un regime autoritario dove domina il pensiero unico? Il progresso civile è il frutto non della repressione del conflitto ma della sua libera manifestazione: “tutte le leggi che si fanno in favore della libertà, nascano dalla disunione loro [degli “umori diversi, quello del popolo, e quello de’ grandi”] (N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, 1519, libro I, cap. IV).

Siamo davvero più sicuri se le università, le pubbliche amministrazioni, le società a partecipazione o controllo pubblici sono tenute a comunicare informazioni agli organi e alle agenzie per la sicurezza interna ed esterna, anche in deroga alle normative in materia di riservatezza?

La pistola Taser

E siamo davvero più sicuri se agli agenti segreti viene data copertura per l’infiltrazione in associazioni mafiose, terroristiche ed eversive, fino alla loro “direzione” e “organizzazione”, alla fabbricazione e detenzione di materiali esplosivi (come, pur con formule dissimulatorie, dietro ad “eccezioni” e “negazioni”, sembra confermare il quarto comma dell’art. 31 della legge n. 80/2025)? Siamo davvero più sicuri se le forze dell’ordine possono usare la pistola elettrica Taser, già inserita dall’Onu nella lista degli strumenti di tortura e riconosciuta potenzialmente letale, come hanno tragicamente confermato i numerosi casi di decesso anche in Italia (l’ultimo a Napoli il 17 ottobre) e se è consentito che gli agenti di pubblica sicurezza portino armi diverse dalla pistola d’ordinanza anche quando operano in borghese o quando sono fuori servizio? Domandandoci quindi quale significato dobbiamo dare alla Sicurezza, è chiaro che dobbiamo anche chiederci da chi e come viene amministrata la Giustizia, in base a quale codice che stabilisca quali atti costituiscono una minaccia per la Sicurezza e quindi cosa è reato e cosa non lo è?

Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio (Imagoeconomica, Alessandro Amoruso)

Quindi la Giustizia è davvero uguale per tutti? Al riguardo vale la pena ricordare quanto affermato dal ministro della Giustizia Nordio in un messaggio registrato e inviato alle Camere penali riunite a Ferrara nel 2023: “[…] paradossalmente le persone più potenti sono quelle più intimorite davanti al magistrato. Non è solo il diseredato, il povero e l’emarginato […] l’ho visto in quarant’anni di lavoro come pm: imputati di reati gravi con un certificato penale abbastanza ricco nemmeno si presentavano all’interrogatorio, mentre imputati ricchi e potenti tremavano come foglie e non dormivano da giorni perché avevano molto da perdere davanti al magistrato”, dove viene sottinteso che i poveracci non avendo nulla non hanno nulla da perdere e quindi non hanno paura.

Caivano, la cittadina in provincia di Napoli, dove accaddero i fatti che hanno dato il nome al decreto)

E intanto il “Decreto Caivano” sta riempiendo oltre misura gli Istituti di pena destinati ai minorenni, anche solo facendo ricorso alla custodia cautelare, e più in generale il carcere, da strumento costituzionale dove si opera per il recupero, diventa quella che con immagine forte ma efficace viene definita “discarica sociale”, e chi abbia già scontato la pena ne conserva lo stigma, divenendo bersaglio prioritario della legge sulla Sicurezza.

Meloni, Piantedosi e Nordio (Imagoeconomica, Sara Minelli)

Ora, la riforma della Giustizia, a parere di molti anche tra chi la sostiene, non modificherebbe nulla, ma allora non si capisce perché viene presentata come un intervento epocale che darebbe risposta alle esigenze dei cittadini. Se infatti la separazione delle carriere della Magistratura tra giudici requirenti e giudicanti si limiterebbe a formalizzare una separazione di fatto (sono meno dell’1% i magistrati che passano da una carriera all’altra), il pericolo in realtà si nasconde nei dettagli. E il pericolo è una rottura insanabile degli equilibri che stanno alla base di ogni vera democrazia, con la separazione e l’indipendenza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.

Un’assemblea plenaria del Csm per la nomina del Presidente della Corte suprema di Cassazione (Imagoeconomica, Francesco Ammendola)

Il primo “dettaglio” è la creazione di due diversi organi di autogoverno, uno per la Magistratura requirente e uno per la giudicante, privati entrambi della gestione delle questioni disciplinari, che verranno affidate all’Alta Corte Disciplinare, di fatto un nuovo organo dello Stato che sarà chiamato anche a decidere di eventuali impugnazioni, non più assegnate alla Corte di Cassazione. Affidare l’esercizio del potere disciplinare (potenzialmente intimidatorio, se non minaccioso) fuori dall’organo di autogoverno significa togliere al Csm una funzione fondamentale che attualmente garantisce l’indipendenza della Magistratura, presupposto irrinunciabile per garantire l’effettiva eguaglianza dei cittadini davanti alla legge e la tutela dei diritti di ognuno/a.

(Imagoeconomica, carlo carino by Mid Journey AI)

Il secondo “dettaglio” è la modalità del Sorteggio asimmetrico con cui verrebbero scelti i componenti dei due Consigli: per i togati si tratterebbe dell’esito di un sorteggio puro, mentre per i laici il sorteggio sarebbe pilotato, perché avverrebbe all’interno di una rosa scelta dal Parlamento, senza che sia nemmeno indicato il quorum necessario per la validità di tale elezione e dove la maggioranza eletta con l’attuale sistema elettorale potrebbe riuscire ad avere, se non l’esclusiva, l’indicazione della quasi totalità dei membri da sorteggiare.

(Imagoeconomica, Saverio De Giglio)

La finalità dichiarata sarebbe quella di sottrarre il Csm dal “correntismo”, mentre finora il suo pluralismo interno, con il ruolo politico delle associazioni inteso come confronto anche ideale sulla giustizia e sul rapporto tra giustizia e società, si è quasi sempre rivelato fonte di ricchezza, portando di norma, come sta accadendo anche ora, a una positiva ricomposizione delle diverse valutazioni. A essere maliziosi, si potrebbe pensare che la politicizzazione della Magistratura non è quello che il governo teme ma quello che vuole, per liberarsi dai vincoli e dal controllo di legalità sul piano interno e su quello internazionale, come dimostrano le recenti e non sopite polemiche con la Corte Penale Internazionale sulla vicenda Almasri.

Il sottosegretario Andrea Delmastro (Imagoeconomica, Alessandro Amoruso)

È stato Ciro Maschio, presidente della Commissione Giustizia della Camera, a riconoscere che il “nucleo rivoluzionario della riforma” sta nell’Alta Corte Disciplinare e nel sorteggio secco per la composizione del Csm, così come il sottosegretario al Ministero della Giustizia Delmastro, in un fuori onda pubblicato dal Fatto, ha ammesso che della riforma “unica cosa buona è il sorteggio”, svilendo così il ruolo della Magistratura.

Il ministro dell’Interno, Piantedosi (Imagoecomomica, Alessia Mastropietro)

Infine il terzo “dettaglio” potrà essere la riforma dell’articolo 112 della Costituzione, con l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, per cui il giudice requirente – la figura che, a capo della polizia giudiziaria, sarà la più legata all’esecutivo – avrà il potere di scegliere chi perseguire e chi no, minando il principio di uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, mentre Nordio è pronto a definire i cosiddetti “criteri di priorità” che i giudici dovranno rispettare nel programmare la loro attività. E il governo attuale ha già creato 48 nuovi reati e 9 aggravanti che colpiscono la persona più che la sua condotta, per cui, ad esempio, l’occupazione di alloggi abusiva sarà perseguita prioritariamente se compiuta da soggetti “socialmente pericolosi”, gli stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza italiana la vedranno revocata in caso di reato e, se ancora privi di cittadinanza, non potranno avere la Sim. Dovrebbe essere chiaro quindi che il cittadino, a vantaggio del quale – si dice – verrà approvata la riforma, non troverà più un magistrato terzo e indipendente dal potere politico, che indaga sia a carico sia a discarico dell’imputato, perché la sua attività investigativa verrà indirizzarla in base a ciò che il governo di turno codificherà come reato.

(Imagoeconomica, Clemente Marmorino)

Ma oltre che nei “dettagli” il pericolo della legge sulla Sicurezza e della Riforma della Giustizia diventa più chiaro se lo sguardo si allarga a una visione organica, dalla quale emergano le fortissime pressioni, le limitazioni all’azione della Magistratura, a seguito dell’approvazione della legge n. 114/2024, che, prima di una verifica degli effetti prodotti dalle modifiche precedenti, ha comunque riformato profondamente il Codice penale e di procedura penale, insieme all’Ordinamento giudiziario, per renderli, secondo Nordio, più “sistematici” e meno “corrotti”.

(Imagoeconomica, Marco Cremonesi)

Tra i provvedimenti che vanno in quella direzione: l’abrogazione del reato d’abuso d’ufficio (per cui l’Italia è l’unico Paese dell’Unione Europea a non avere tale fattispecie di reato), la riparazione pecuniaria come unica pena per il reato di traffico d’influenze, le ulteriori limitazioni riguardo le intercettazioni, le nuove norme sulla custodia cautelare, la cui procedura (che sembra verrà ancora una volta modificata!) diventa particolarmente complessa e prevede l’estensione dell’obbligatorietà dell’interrogatorio preventivo per evitare l’effetto “sorpresa”. Di fatto – ma anche formalmente, con l’annunciato ulteriore intervento sul codice di procedura penale – si abolisce la custodia cautelare per tutti i reati non violenti, come quelli contro la pubblica amministrazione o in materia di droga, anche se le indagini dimostrassero il pagamento di tangenti milionarie o la gestione di un traffico internazionale di cocaina.

Il governo Meloni in Aula (Imagoeconomica, Alessandro Amoruso)

In una intervista il Gip Fabrizio Filice ha dichiarato «se mi arriva una richiesta molto urgente di carcerazione stamattina, posso emettere l’ordine di cattura oggi stesso e domani va in esecuzione. Così (con la mini riforma) invece allunghiamo i tempi, può essere pericolosissimo, un rischio enorme per le vittime. Moltissimi atti di violenza vengono sventati dagli interventi cautelari. Misure che rappresentano il 70% del lavoro di un gip, solo a Milano arrivano 4-5 richieste al giorno […] la mia opinione, e non solo la mia, è che creerà un rallentamento generale di tutte le misure e che debba essere ripensata». Viene poi limitato il potere di appello del Pubblico Ministero e a breve, come è stato annunciato, saranno modificate le norme che regolano la prescrizione con la “estinzione sostanziale del reato” a sostituire la “estinzione dell’azione penale”, come affermato di recente da Nordio a Montecitorio.

Genova, il ponte Morandi dopo il crollo

Inoltre, nel caso di recidiva, per chiedere qualsiasi misura – dal carcere a un semplice obbligo di firma –il Pm deve motivare il rischio di reiterazione del reato con “comportamenti o atti concreti diversi rispetto al fatto per il quale si procede”, quindi diversi rispetto, ad esempio, a reati di violenza sulle donne come maltrattamenti e stalking, per i quali sarebbe quasi impossibile anche disporre un semplice divieto di avvicinamento alla vittima: un modo per proteggere ulteriormente gli incensurati, che diventerà molto più difficile sottoporre a misure cautelari, mentre non si proteggeranno le vittime che, per dirla con il ministro (16 maggio 2025), basterà che si rifugino in una chiesa o in farmacia. Come si vede, mentre di fatto si favoriscono i cosiddetti “colletti bianchi”, si finisce per negare protezione e giustizia alle vittime dei loro reati (es. disastri ambientali, incidenti sul lavoro, crolli come quello del ponte Morandi) e non si interviene su quella che sarebbe la vera priorità, cioè la garanzia del diritto a un processo equo e alla sua ragionevole durata.

Ora intervenire contro tutto questo trova molti ostacoli a partire proprio dalle leggi che limitano fortemente la libertà di esprimere dissenso e di manifestarlo. C’è forse qualche margine dovuto alla “qualità” con cui esse sono state scritte, disseminate di svarioni, contraddizioni, lacune, ma anche questi potenziali varchi interpretativi, proprio per la loro imprecisione, vanno guardati con prudenza, tenendo presente che potrebbero trasformarsi in trappole.

Totò e Peppino nella famosa scena della lettera nel film La malafemmina

La resistenza costituzionale va praticata allora innanzitutto provando a infrangere il muro di affermazioni che contraddicono la realtà, che spacciano come verità quelle che invece sono valutazioni chiaramente di parte. Bisogna mettere a nudo le contraddizioni che, in un Paese dove è sempre più diffuso l’analfabetismo funzionale, quindi la scarsa capacità di decodificare i messaggi, l’opinione pubblica non è in grado di riconoscere; bisogna creare consenso positivo senza inventare un nemico, pur sapendo che è compito ben più difficile da metter in atto, bisogna cioè portare la discussione sul merito dei problemi, sottraendosi alla fallimentare tattica del referendum pro o contro il governo, pro o contro la Magistratura, pro o contro l’investitura del capo, perché “democrazia autoritaria” è un ossimoro mostruoso.

Ma se nell’immediato si tratta di trovare gli strumenti più efficaci per restituire verità, l’impegno ormai non più rinviabile è quello della cura dei mali di cui è gravemente afflitta la nostra democrazia costituzionale. E questo iniziando a sgombrare il dibattito pubblico da parole d’ordine, a partire da “vocazione maggioritaria” o “tolleranza zero” (ma l’elenco sarebbe lungo) che ormai si sono dimostrate chiaramente fallimentari e pericolose, e ritrovando i “luoghi” non solo virtuali della circolazione e del confronto di informazioni e di idee.

Bianca Tognolo, sezione Anpi “Amleto Rama” di Este (PD)