“Se anche uno dei due generali vincesse, il Sudan perderebbe”
Volker Perthes, Rappresentante Speciale del Segretario delle Nazioni Unite per il Sudan

“La velocità con cui il Sudan sta scivolando verso morte e distruzione è senza precedenti” è l’allarme appena rilanciato dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.

Da sinistra, è guerra tra il generale Abd al Fattah Burhan e il generale Mohammad Hamdan Dagalo

A Khartoum, capitale del Sudan, il 15 aprile 2023 scoppia la «guerra dei generali». Il 25 ottobre 2021 il generale Abd al Fattah Burhan, presidente del Paese, e il suo vice, il generale Mohammad Hamdan Dagalo (detto Hemetti), avevano risposto con un golpe alla partecipazione dei civili al governo di transizione. Da allora, la degenerazione della loro rivalità politica in conflitto militare aperto era solo una questione di tempo.

Burhan, capo delle forze armate, è l’esponente di spicco di un potere centrale corrotto e a corto di risorse, da quando la secessione del Sudan del Sud (2011) lo ha privato delle lucrose rendite provenienti dai giacimenti petroliferi. Dagalo, originario del Darfour, si presenta come il difensore delle periferie neglette, pur essendo a capo delle Forze di Supporto Rapido, milizie eredi dei Janjaweed che eseguirono, ai suoi ordini, la feroce repressione nel Darfour (2003-2008). Dagalo si è costruito un impero personale grazie all’esportazione illegale dell’oro del Darfur verso gli Emirati Arabi Uniti, il controllo dei migranti in direzione dell’Europa e il contrabbando con il Ciad [1].

Centro di Emergency in Sudan (imagoeconomica, Davide Preti)

Il governo di transizione civile-militare, formato il 20 agosto 2019, avrebbe dovuto portare il Paese a un governo civile e democratico. Esso fu il vulnerabile compromesso ottenuto dalla rivoluzione popolare pacifica del 2018-2019 [2] che chiedeva «libertà», «pace» e «giustizia sociale». Il suo primo ministro, Abdalla Hamdok, accettò la sfida: risollevare un’economia in ginocchio compromessa da decenni di corruzione, un’inflazione al 225,7% del Pil [3], le casse dello Stato prive di riserve, un debito di 56 miliardi nei confronti del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e numerosi conflitti regionali irrisolti in Darfur, Kordofan e nel Nilo Azzurro.

Abdalla Hamdok

Economista con una carriera alle spalle in seno alla Commissione Economica per l’Africa dell’Onu, Hamdok si è prodigato per riavvicinare il Sudan al blocco occidentale, non solo a livello politico e diplomatico, ma anche economico, sostenendo la transizione verso un’agricoltura competitiva di mercato e accettando le politiche di austerità imposte dal Fmi in cambio di una riduzione del debito.

Il Mar Rosso

Situato nell’Africa nord-orientale, il Sudan è un Paese cerniera fra il mondo arabo e l’Africa nera, possiede terre coltivabili, acque superficiali (il Nilo) e sotterranee, una popolazione di circa 47 milioni di abitanti che potrebbe raggiungere i 142 milioni nel 2100 [4], frontiere con sette Paesi africani (Egitto, Libia, Ciad, Repubblica Centrafricana, Sudan del Sud, Etiopia e Eritrea) e 700 km di costa sul mar Rosso, rotta marittima cruciale che collega Asia, Africa ed Europa [5]. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti guardano al Sudan con cupidigia. Essi temono inoltre l’effetto destabilizzante che un vicino democratico potrebbe avere sulle loro autarchie.

Cina, il porto di Qingdao

Dal 1997, quando l’amministrazione Bush impose sanzioni al Sudan accusato di essere «sponsor del terrorismo» [6], il Paese ha intensificato i rapporti con l’Asia. Gli investimenti cinesi sono stati rilanciati nel 2022 con l’apertura della prima linea marittima diretta fra Port Sudan e il porto cinese di Qingdao.

I rapporti commerciali con la Russia sono in crescita, pur non raggiungendo i livelli di quelli con la Cina, gli Emirati Arabi, l’Arabia Saudita, l’Egitto e l’India. Un accordo fra Khartoum e Mosca che concede alla Russia un punto di rifornimento e manutenzione sul mar Rosso è in via di ratificazione [7]. Gli Stati Uniti guardano con inquietudine a questi sviluppi. Il 6 maggio scorso si aprivano nella città saudita di Gedda dei colloqui «prenegoziali» fra «i generali» Burhan e Dagalo sotto gli auspici americani e sauditi.

Sudan (Imagoeconomica, Davide Preti)

La «guerra dei generali» infuria principalmente nella capitale e nel Darfur. Mentre l’Onu evoca il rischio di un’escalation «militare e tribale» [8] e il devastante impatto che un Sudan sempre più frammentato avrebbe sulla regione [9], è evidente che entrambe le parti in conflitto commettono crimini di guerra: bombardamenti di ospedali, di serbatoi di acqua potabile, occupazione delle sedi delle organizzazioni umanitarie, utilizzo di civili come scudi umani [10]. Il corollario sono i profughi, perché chi può scappa con un biglietto verso l’ovunque, andando incontro ad altre sofferenze.

La resistenza, che si considera rappresentante del popolo sudanese, si oppone a entrambi i contendenti e si organizza pacificamente soprattutto in seno ai sindacati nella capitale e nella diaspora, in un contesto di repressione estrema. Pur accogliendo con favore un necessario accordo di pace proveniente dai colloqui di Gedda, la resistenza esige il ritiro dei miitari dalla scena politica e la formazione di un governo civile e democratico.

Giovanna Lelli, arabista, collaboratrice scientifica Université Libre de Bruxelles, ULB


[1] Marc Lavergne, « Hemetti, Bourhane et l’Etat profond ‘islamiste’: quel avenir pour le Soudan ? », in Jeune Afrique (22 avril 2023);
[2] Giovanna Lelli, “Sudan, il silenzio sulla protesta”, Patria Indipendente, 28 marzo 2019;
[3] 235% del Pil nel 2023, dati della Banca Mondiale;
[4] World Population Prospects 2019 Data Booklet, Dipartimento degli Affari Economici e Sociali dell’Organizzazione delle Nazioni Unite;
[5] Cinzia Bianco, “La vera posta in gioco della guera in Yemen è il bottino marittimo», in Limes, 8, 2021;
[6] Le sanzioni furono leva nel 2017, in ricompensa per la partecipazione del Sudan alla guerra in Yemen accanto all’Arabia Saudita;
[7] Conferenza stampa del ministro degli esteri russo Sergey Lavrov, Khartoum, 9 febbraio 2023;
[8] Seduta del Consiglio di Sicurezza 9326, 22 maggio 2023;
[9] Osservazioni di Volker Perthes al Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 25 aprile 2023;
[10] «Crimini di guerra probabilmente commessi dall’esercito sudanese e dalle forze di supporto rapido», inchiesta della BBC Arabic, 27 maggio 2023.