Irene Barichello
Irene Barichello

A ottant’anni dall’Alzamiento militare del 18 luglio 1936 che avviò la guerra civile spagnola, ci si interroga sul ruolo svolto dall’antifascismo internazionale e, in particolare, su quello degli antifascisti italiani. Chi erano?

La repubblica era stata proclamata il 14 aprile 1931. Nel 1933 alle elezioni politiche vinse la coalizione di centrodestra. Seguirono tensioni e moti, fino a quando, alle nuove elezioni del 16 febbraio 1936 prevalse il Fronte popolare. Pochi mesi dopo, il colpo di stato di Francisco Franco e l’inizio della sanguinosa guerra civile.

 

Tra il 1936 e il 1939 decine di migliaia di volontari accorsero in Spagna, specialmente da Francia, Italia e Germania, per combattere contro il fascismo che vedevano incarnato nel generale Francisco Franco e nella Falange fondata da José Antonio Primo de Rivera, figlio del dittatore Miguel, che aveva tradotto in Spagna alcune suggestioni del fascismo italiano.

La dimensione di questa guerra civile divenne immediatamente internazionale, poiché l’Italia fascista e la Germania nazista appoggiavano i ribelli nazionalisti con uomini, armi e mezzi, trasgredendo così gli accordi del “patto di non intervento” col quale le maggiori potenze europee, specie Francia e Gran Bretagna, avevano di fatto tolto l’appoggio al Frente popular.

Anche l’URSS, che aveva aderito a questo accordo, finì con l’aiutare i repubblicani spagnoli, ma iniziò molto in ritardo, solo nell’ottobre del ’36, senza riuscire mai peraltro a bilanciare gli aiuti nazifascisti ai franchisti.

Un anno dopo la stipula di tale accordo di non ingerenza (agosto ’36), il presidente della Repubblica Azaña ne denuncia la valenza a solo danno della Spagna repubblicana: il controllo navale che avrebbe dovuto impedire l’approvvigionamento di uomini, armi e viveri a entrambe le fazioni spagnole, infatti, era entrato in vigore con molto ritardo, quando ormai Hitler e Mussolini avevano fatto pervenire a Franco i loro aiuti e, inoltre, la vigilanza sulla costa spagnola era stata affidata proprio a Italia e Germania, che violavano così impunemente gli accordi stretti.

I volontari a favore della repubblica furono per la maggior parte comunisti, arruolati soprattutto nelle Brigate Internazionali, ma vi erano anche il movimento anarchico, ricco di aderenti ma poco sviluppato a livello internazionale; il movimento trockista e l’Internazionale Socialista. Le Brigate Internazionali, inoltre, si costituirono soltanto tra settembre e ottobre del ’36 e divennero attive nel novembre, mentre la maggior parte dei volontari italiani accorse seguendo uno slancio emotivo soprattutto nell’agosto-settembre di quello stesso anno.

Tuttavia la maggior parte dello sforzo organizzativo e militare del volontariato internazionale fu sostenuto dalle Brigate Internazionali, forti di circa 30.000 volontari e presenti a tutti i principali fatti d’armi: la difesa di Madrid, la battaglia di Guadalajara e quella dell’Ebro.

Il Comintern sosteneva che i fascismi si dovessero combattere con la creazione di fronti popolari nei singoli Paesi e con l’alleanza tra URSS e potenze democratiche a livello internazionale. Così si leggeva ne La correspondance internationale del 14 novembre 1936:

«Il popolo spagnolo mostra oggi, con la sua lotta eroica, come bisogna difendere la democrazia contro il fascismo. Hanno interesse alla sua vittoria tutti coloro che vogliono preservare il loro Paese dall’arbitrio e dalle barbarie fasciste. La vittoria del popolo spagnolo è la vittoria di tutta la democrazia internazionale».

Lo sforzo del Comintern non fu volto soltanto alla costituzione delle Brigate Internazionali, ma avviò anche una intensa ed efficace propaganda nei Paesi democratici per conquistare l’opinione pubblica alla causa repubblicana, per esempio attraverso la raccolta di medicinali, denaro e viveri o la nascita del Soccorso Rosso Internazionale.

Da un lato riuscirono ad unificare gli aiuti dei militanti antifascisti di tutta Europa, dall’altro informarono e risvegliarono le masse disinformate e politicamente non impegnate. A questo proposito non si può dimenticare l’effetto della propaganda del Comintern sugli intellettuali borghesi, invitati e infine convinti in buona parte ad abbandonare il proprio isolamento e a prendere posizione. Quasi tutti gli intellettuali mossi e turbati da questo appello si schiereranno nella compagine antifascista.

E gli intellettuali italiani?

Il giovane studioso Enrico Acciai sostiene che la base dei volontari che rispose alla chiamata della repubblica spagnola fu composta dalle donne e dagli uomini che, nell’Europa del 1936, si trovavano in gran numero nella condizione di esiliati e rifugiati politici; furono loro che – grazie alla sensibilità sviluppata nelle loro difficili esperienze politiche e lavorative – per primi compresero la portata ideologica del confitto, avevano ben chiaro, come sottolinea lo storico J. Casanova (citato da Acciai), «che il fascismo costituiva una minaccia internazionale e che la Spagna era il luogo appropriato dove combatterlo».

Già a fine agosto ’36, un mese prima della costituzione delle Brigate Internazionali, i volontari accorsi sono numerosissimi.

Tra questi anche moltissimi antifascisti italiani.

Gran parte degli italiani vennero inquadrati nella Sezione Italiana della “Colonna Ascaso”, nata per iniziativa dell’anarchico Camillo Berneri e di Carlo Rosselli (fondatore di Giustizia e Libertà), che raccolse soprattutto anarchici. Alla fine dell’anno 1936, però, perse l’appoggio di Rosselli; nel marzo del ’37 i suoi membri – quasi tutti anarchici – decisero di sciogliere la Sezione italiana pur di non farla militarizzare dalle autorità repubblicane, molti dei suoi reduci infine presero parte agli scontri del mayo sangriento di Barcellona.

Nelle settimane seguenti cominciò lentamente a delinearsi anche il progetto delle Brigate Internazionali, ma esse avrebbero agito sui campi di battaglia soltanto nei primi giorni di novembre. La brigata prevalentemente italiana fu la XII Brigata Garibaldi, al suo interno le appartenenze politiche furono svariate, non unicamente comunista: l’intitolazione stessa della brigata all’eroe dei due mondi ci dice della volontà di trovare il consenso più ampio possibile tra gli antifascisti. Essa venne poi articolata in quattro compagnie: Sozzi, De Rosa, Angeloni, Gramsci.

Ma nella “foto di gruppo” scattata ai volontari italiani nella guerra di Spagna, Acciai individua – dati alla mano – pochissimi intellettuali, come invece vorrebbe qualche vulgata.

Proprio perché la loro condizione sociale rispecchia quella dell’emigrazione antifascista, essi sono – stando alle dichiarazioni rilasciate al momento dell’arruolamento: muratore (17%), operaio (10%), contadino/bracciante (8,5%), minatore (7,6%) e meccanico (6,3%).

Solo lo 0,49% era costituito da studenti. Di 643 membri del Battaglione Garibaldi di cui si è trovato anche il livello d’istruzione, l’8,2% aveva la licenza media, il 3,1% era diplomato e solo l’1,3% era laureato; l’86,9% aveva frequentato le elementari. Davvero non dei combattenti intellettuali!

Avevano, inoltre una media di età di 35 anni (più alta di quella di inglesi e francesi), ossia erano uomini maturi, nati nei primi del ’900: avevano conosciuto le violenze degli anni Venti dello squadrismo e l’ascesa del fascismo; la maggior parte di loro, poi, proveniva dalle zone agricole delle regioni del centro-nord (Veneto, Lombardia, Emilia, Toscana) dove maggiore era stata la politicizzazione delle masse contadine e operaie e dove, quindi, più dure furono le aggressioni squadriste.

Se, dunque, i volontari italiani risposero immediatamente all’appello del Frente popular (molti ingressi si registrarono nel settembre del ’36, quando le Brigate Internazionali erano di là da venire e la Sezione Italiana era appena nata), non fu per ardore giovanile, bensì per la forte coscienza politica maturata in precedenza che li indusse a partire non appena fu possibile e che così utile tornerà loro nella guerra di Liberazione italiana («Oggi in Spagna domani in Italia» amava ripetere Carlo Rosselli).

E tuttavia se non mancarono, come ricorda Aldo Garosci in Gli intellettuali e la guerra di Spagna, gli intellettuali militanti come appunto Carlo Rosselli, Luigi Longo o Pietro Nenni, pochissimi furono «i rappresentanti di una vera e propria élite letteraria […] non troviamo nell’antifascismo italiano […] nessuna delle grandi opere di letteratura oratoria, poetica o storica […]. Le opere che ci hanno lasciato sono opere politiche».

Vogliamo però qui riportare un passo significativo del Diario di Spagna (in Scritti dall’esilio, vol. II) di Rosselli, che dà conto della composita provenienza politica e sociale dei volontari italiani:

«Partiamo dopo la estenuante attesa. Non solo i fucili ci hanno dato, ma quattro mitragliatrici che dobbiamo guardare a vista. La sezione italiana parte per prima, con diciotto muli e una cucina da campo. Siamo di tutti i partiti. Anarchici, giellisti, comunisti. Due ali di popolo salutano lungo il percorso fino alla stazione i vecchi soldati che marciano al passo e cantano. Il treno tradotta fa fatica a partire. […] Scomparse le luci della metropoli, la notte meridionale ci avvolge mentre il treno sale lentissimo e ansimante. I corpi si rilassano, le teste penzolano e il sonno lega in pose strane e tra respiri grevi i dieci compagni del compartimento. Magrini, con le cosce larghe e il viso paffuto professorale, dorme sul piccolo Tulli, rincantucciato. Sino a pochi giorni fa Magrini coltivava amorosamente Cézanne, tra riproduzioni e libri. È goffo nella sua tuta grigio polvere. Ma è bella la sua decisione di partire, miope e impacciato com’è. Sfuggirà così al destino filisteo, che sembrava designarlo professore. Anche Ernesto, comunista livornese emigrato a Marsiglia, inesauribile conversatore, pronto alla celia e alla risposta, si è appisolato per mancanza di vittime».

Pochi, dunque, gli intellettuali italiani in Spagna, ma in armi, quasi a rispondere all’appello che nel luglio del ’37 Brecht lanciò agli uomini di cultura dal II Congresso degli Scrittori Antifascisti che si chiudeva a Parigi:

«Quando al popolo tedesco e a quello italiano vennero strappate le loro posizioni politiche ed economiche, essi furono privati di ogni possibilità di produrre cultura – persino il signor Goebbels si annoia nei suoi teatri –, mentre il popolo spagnolo, difendendo con le armi la sua terra e la sua democrazia, sta conquistando e difendendo la possibilità di produrre cultura: per ogni ettaro di terra un centimetro quadrato delle tele del Prado […].

La cultura che a lungo, troppo a lungo, è stata difesa solo con armi spirituali, ma attaccata con armi materiali, questa cultura che è essa stessa una faccenda non solo spirituale ma anche, e anzi prima di tutto, una faccenda materiale, deve essere difesa con armi materiali».

 

L’inno della repubblica spagnola, Himno de Riego, nell’esecuzione di Ernst Busch

Bibliografia e sitografia

  1. Ranzato, Rivoluzione e guerra civile in Spagna, 1931-1939, Leoscher, Torino 1975.
  2. Ranzato, L’eclissi della democrazia. La guerra civile spagnola e le sue origini (1931-1939), Bollati Boringhieri, Milano 2012.
  3. Garosci, Gli intellettuali e la guerra di Spagna, Einaudi, Torino 1959.
  4. Acciai, Guerra civile spagnola e volontariato internazionale: il caso italiano in prospettiva comparata, 2012

https://www.academia.edu/4775333/Guerra_civile_spagnola_e_volontariato_internazionale_il_caso_italiano_in_prospettiva_comparata.