Milano, studenti a scuola per i corsi di recupero (foto Imagoeconomica)

“Signorine, per favore, non vi affannate. O io mi sbaglio di grosso o non ci sarà esame di stato. La maturità classica vi verrà offerta su un piatto di piombo. Per gli dèi d’Omero, ragazze, smettetela di squittire. Il gentiluomo alle mie spalle, in alto a destra, si appresta a combinare uno scherzetto per effetto del quale dovremo tutti occuparci di cose ben più importanti dell’esame di stato”.

Descriveva così Fenoglio, nel suo Primavera di bellezza, l’agitazione delle maturande, concentrate più sui tagli al programma che sull’imminente entrata in guerra dell’Italia.

Era dalla Seconda guerra mondiale che il nostro Paese e gran parte d’Europa non ricorrevano alla chiusura delle scuole per fronteggiare un’emergenza.

L’infermiera Elena Pagliarini crolla sfinita dal lavoro. Una delle immagini simbolo della lotta alla pandemia

No, nessuna guerra oggi, nel 2020, e anzi alla larga da questa metafora che ci è andata subito di traverso, coi suoi eroi, le trincee e il nemico invisibile: un’immagine retorica troppo consolatoria e poco responsabile, a maggior ragione alla luce di quanto accaduto qualche mese dopo, quando – appena avuta la falsa percezione che tutto fosse passato – ci siamo dimenticati degli angeli in camice bianco e delle terapie intensive sature per rivendicare la nostra libertà di abbronzarci senza il segno della mascherina.

Eppure, dopo 70 anni, una parte consistente del mondo della scuola, che include oltre ai docenti anche gli studenti e le loro famiglie, si è prevalentemente preoccupata dei programmi tagliati e degli argomenti “alleggeriti” durante i mesi di didattica a distanza.

Didattica a distanza per l’emergenza Covid-19 (foto Imagoeconomica)

Sono anni che la scuola italiana tenta di sganciarsi dai programmi e dagli indici dei manuali: potrebbe essere questa la volta buona in cui fare di necessità virtù. Ma anche la virtù va studiata e coltivata, da insegnante quale sono avrei voluto (vorrei ancora, sebbene sia ormai tardi per l’anno scolastico 2020-21) che qualcuno – il Ministero? Gli uffici scolastici territoriali? I dirigenti scolastici? Qualcuno insomma – mi avesse obbligato a frequentare, gratis possibilmente, dei corsi di formazione su cosa significhi didattica a distanza, quali siano gli strumenti minimi che vanno conosciuti e usati per svolgerla adeguatamente, quali gli argomenti che si possono affrontare da remoto e quali necessariamente in classe (penso ai bambini della prima elementare, lasciate che la chiami ancora così, che devono imparare a scrivere e contare), se e come debba essere valutata, eccetera eccetera.

Solo in questo modo, erogando una formazione obbligatoria seria e “centralizzata” a tutti, si può sperare di offrire un servizio uniforme ed equo agli studenti di tutto il Paese. Invece mi pare che ci si sia presi il lusso di liquidare la faccenda un po’ all’ultimo collegio docenti dell’anno 2019-20 e un po’ al primo del 2020-21. Vero, il Ministero ha emanato le linee guida sulla DDI (didattica digitale integrata) ma sono molto teoriche e generiche: spetterà a ogni singolo istituto a redigere un regolamento per la DDI. Ecco in che cosa si traduce spesso la nostra autonomia scolastica: arrangiarci.

Maestre elementari provano la distanza sui cui posizionare i banchi monoposto (foto Imagoeconomica)

Come se non bastasse, subito dopo, e molto più potente dell’autonomia scolastica, emerge l’inviolabile libertà di insegnamento di ciascun docente, sacrosanta, certo, ma ormai divenuta impermeabile e intollerante a qualunque critica. E così, nel guscio dell’autonomia scolastica e della libertà di insegnamento allignano allo stesso modo i docenti più coscienziosi e volenterosi, che si prodigano per mettere in atto strategie didattiche efficaci, e quelli più indolenti, che replicano meccanicamente e rigidamente lezioni superatissime.

A tutto questo si aggiunge, ormai a ridosso del rientro (speriamo il più a lungo possibile) degli studenti nelle aule, l’ancora grande incognita di come riprenderemo la scuola. Sull’argomento la bulimia della disinformazione, che prolifera soprattutto via web, ci ha fatto leggere di tutto e di più: dai box di plexiglass, ai banchi su ruote, dalle distanze minime tra rime buccali, alla tipologia di mascherine consentite per gli studenti. Temo che non si sia fatto abbastanza, anzi proprio nulla, in relazione al numero massimo di studenti per classe, questione annosa che, se risolta, andrebbe a beneficio non solo della salute ma dell’apprendimento in generale.

Foto Imagoeconomica

Il punto è che non esiste una soluzione giusta a priori, una formula che garantisca che tutto andrà come desideriamo. In questo caso occorre provare, fare dei tentativi, vedere se gli esiti sono quelli sperati oppure, se no, essere subito pronti con un piano B. In Italia possiamo anche dirci fortunati perché molti altri Paesi europei hanno provato prima di noi, in vari modi con diverse misure e norme di sicurezza. È così riprovevole copiare le realtà che hanno funzionato meglio? È evidente però che questo nostro vantaggio, ossia poter osservare quanto hanno messo in pratica altri sistemi scolastici prima di noi, comporta anche una maggiore responsabilità: le nostre scuole sono chiuse ormai da febbraio, non abbiamo dovuto far fronte al problema della didattica in presenza al colmo della furia del coronavirus, ma abbiamo avuto mesi di tempo per prepararci al rientro, per studiare vari casi, possibilità e alternative: arrivare impreparati o clamorosamente confusi a settembre è il segno di una incapacità politico-amministrativa, a tutti i livelli, difficile da perdonare.

Nell’istituto comprensivo sia del comune in cui insegno che di quello in cui vivo (entrambi in provincia di Padova) i seggi elettorali per le elezioni regionali verranno insediati in alcuni plessi scolastici. Ecco, questo è inammissibile. E ancora più inammissibili sono, a mio avviso, due aspetti della questione “scuola-covid19”: la sfacciataggine e l’egoismo con cui le singole e diverse istituzioni si scaricano il barile l’una con l’altra, quasi sempre col solo scopo – osceno ed evidente – di fare propaganda elettorale contro l’avversario ma sulla pelle dei suoi più giovani, e perciò preziosi, cittadini; la disinvoltura pericolosa e irresponsabile con cui di diffondono a mezzo stampa, tv o social decisioni destinate ad essere ritrattate di lì a poche ore, fomentando caos e polemiche in una situazione inedita e d’emergenza, quella della pandemia appunto, che necessità dell’esatto contrario: chiarezza e collaborazione.

Di tutto questo ne faranno le spese, come sempre, per primi i più fragili, gli studenti e le famiglie già in difficoltà. Dovremo tenere d’occhio altri numeri, oltre a quelli relativi ai contagi e ai nuovi disoccupati: i numeri della dispersione scolastica che rischia di verificarsi nell’anno scolastico che sta per iniziare.