Ennio Calabria

Sono passati sessanta anni da quando, nelle sale della Galleria romana La Feluca, Ennio Calabria, appena ventenne, esponeva i suoi primi lavori, divenendo ben presto una delle personalità artistiche più significative del secondo Novecento. Dagli anni degli esordi a oggi, la sua opera si è sempre distinta per la capacità di farsi testimone del proprio tempo, con una pittura allo stesso tempo figurativa e visionaria.

In realtà, Calabria inizia a dipingere molto prima, quando a otto anni era solito andare al Giardino zoologico per ritrarre su cartone gli animali. In particolare, l’artista si era affezionato a una tigre siberiana di nome Stellina che, instancabilmente, raffigurava per giornate intere con l’obiettivo di catturarne la vera essenza. Una volta soddisfatto del lavoro, il piccolo Calabria aveva posizionato il cartone davanti alle gabbie degli altri animali, per vedere l’effetto che il suo disegno suscitava. Erano reazioni inaspettate: dalle pantere nere alle giraffe, ai leoni, tutti gli animali si allertavano alla vista della tigre disegnata. Un fatto inatteso ma determinante con il quale Calabria scopre nell’arte un potente alleato, uno strumento per creare relazioni con il mondo e per combattere. Combattere anche contro le proprie paure. A quel tempo, infatti, il Calabria bambino non riuscendo a dormire per una terribile paura dei fantasmi aveva deciso di mettere vicino al suo letto il cartone della tigre, che dopo aver fatto sobbalzare gli animali dello zoo sarebbe riuscita anche a scacciare i fantasmi dalla sua stanza. «Ho sempre pensato – racconta l’artista – che la pittura sia una necessità profonda nell’evoluzione individuale di chi dipinge, e che debba entrare in rapporto con i processi anche inconsapevoli di chi guarda, questa è la caratteristica che la rende del tutto diversa da qualsiasi disciplina».

Ennio Calabria, La giuria, 1959

Negli anni Calabria affina l’esigenza di studiare i processi di mutamento della nostra società, preannunciando le possibili metamorfosi dell’uomo. La sua è una indagine a tutto campo sulla condizione esistenziale dell’individuo contemporaneo in perenne evoluzione. Il lavoro dell’artista acquista in questo senso un grande valore sociale, strumento conoscitivo delle trasformazioni, testimone sensibile di un mondo in divenire: «Non ho mai dipinto – afferma – un paesaggio, un fiore, una natura morta, se non come brani di una composizione pittorica più ampia. Ho dipinto sempre la figura umana come prigione iconica che custodisce le più grandi imprevedibili libertà».

Calabria, fra l’altro, è fra gli artisti italiani che si sono dedicati alla creazione di manifesti sulle tematiche culturali e sociali e per quasi tutti gli anni Settanta è stato segretario generale della Federazione nazionale lavoratori arti visive Cgil.

Un manifesto realizzato da Calabria nel 1984 per un’iniziativa di Anpi, Fivl, Fiap e Aned sulla pace

Con i suoi manifesti presenta alla collettività la propria visione sulle questioni sociali, e partecipa attivamente al dialogo fra committente e cittadini, in una visione democratica e laica della società. «Un artista – afferma Calabria – che perde il rapporto con la società diventa di fatto sterile, perde la ragione d’essere».

E negli anni Novanta raccontava: «Il rapporto con le organizzazioni dei lavoratori – ha costituito una prova molto importante: sono state committenti reali, partecipi. Voglio ripetere un concetto importante: mentre gli operai di fronte all’opera d’arte si comportavano da estranei, delegando quasi il giudizio ad altri soggetti più competenti, nel momento in cui si trovavano di fronte un’immagine prodotta da un artista per un loro manifesto, che doveva esprimere la loro identità verso l’esterno, si trasformavano in sottili critici d’arte. Quella situazione contrasta con la solitudine nella quale oggi mi trovo, con la sensazione di portare avanti una ricerca, un lavoro, e avere di fronte degli interlocutori completamente assenti».

Con questa consapevolezza, Calabria ha sempre indagato i grandi mutamenti del contemporaneo. Al centro della sua ricerca c’è l’uomo e il suo tempo, l’uomo nella società. Una società sofferente, sempre più spenta, dove le ideologie e i punti di riferimento sono sbiaditi e all’essere umano non rimane che ricominciare da se stesso. E così il “cogito ergo sum” di Cartesio (penso quindi sono) in Calabria si trasforma in “sum ergo cogito” dove «il mio pensiero è derivato dalla mia vita», e dove l’uomo si fa misura di tutte le cose in un processo inarrestabile non sempre positivo.

Ennio Calabria, Traghetto per Palermo, 1984

Calabria ama definirsi un “pittore sociale”, interessato alla complessità della dimensione umana, compromessa dentro le vicissitudini della storia. Consapevole dello spaesamento in cui viviamo, l’artista con il suo figurativismo visionario indaga la condizione umana, offrendo al pubblico una pittura che va oltre l’estetica e diventa un documento antropologico. Calabria vive sulla propria pelle l’evoluzione della storia, passando dal sentimento combattente degli anni Sessanta e Settanta ad una propensione più intimista, dove la collettività organizzata lascia spazio all’individuo nel proprio tempo, consapevole della crisi ideologica in cui viviamo. «Ci troviamo di fronte a contraddizioni che ci divorano – riflette Calabria –. Viviamo la presunzione dei nostri livelli culturali e, allo stesso tempo viviamo in una società che esilia tutto ciò che è complesso. Con la mia pittura vorrei cogliere la sostanza di alcune trasformazioni che stanno attraversando la società contemporanea. Questo è lo scopo della mia pittura». Trasformazioni che hanno coinvolto molti aspetti della vita umana, prima fra tutti la politica: «Prima c’era un amore per la politica, perché questa aveva necessità di entrare in relazione con la cultura della società. Il rapporto con la politica era un rapporto con se stessi. Era anche un rapporto con la nostra diversità, con il nostro riconoscersi in alcuni ideali, motivo per cui mi sono avvicinato al Partito comunista, lavorando anche al Sindacato artistico. Oggi invece lo stato attuale della politica si è traslata in una sorta di spazio pragmatico, non ha più capacità di previsione perché è parte integrante di un modello di sviluppo che ha delle sue leggi. La strada che ci si propone è la solitudine o la totale identità dentro il conformismo».

Ennio Calabria, Garrula morte, 2012

Chi volesse ammirare la poetica del maestro, fino al 27 gennaio 2019, può far visita a Palazzo Cipolla a Roma, dove è in corso Ennio Calabria. Verso il tempo dell’essere. Opere 1958-2018: una mostra antologica a cura di Gabriele Simongini che ripercorre le tappe più significative della sua carriera.

Esposte circa ottanta opere, fra quadri (cinque realizzati per l’occasione), pastelli e alcuni manifesti politici. Fra le opere più rilevanti, La città che scende del 1963; Funerali di Togliatti del 1965, Il Traghetto per Palermo del 1984, Scoglio del 2018 e i ritratti, fra cui Stalin del 1964, Mao Pianeta del 1968 e quelli dedicati a Papa Giovanni Paolo II.

Per conoscere la poetica dell’artista, inoltre, una lettura importante è rappresentata da Ennio Calabria. Nella pittura la vita di Ida Mitrano (Bordeaux edizioni), un libro che ricostruisce il percorso artistico di Calabria dove “vita, pensiero e arte appaiono inscindibili e mai traditi”.

Francesca Gentili, critica d’arte