I suoi contemporanei erano soliti pensare che dipingesse, oltre che con le mani, anche con gli occhi e con il naso. E, in effetti, la pittura di Joseph Mallord William Turner (1775 – 1851) suscita nella mente di chi la guarda memorie, immaginazioni, intuizioni. L’artista è l’artefice di un mondo tanto evanescente quanto concreto, capace di far viaggiare la mente e il cuore lontano nel tempo. Talento precoce, Turner nasce a Londra e da subito è incoraggiato dal padre a seguire la carriera di pittore, frequentando la Royal Academy, dove nel 1807 viene nominato professore di Prospettiva.
Agli insegnamenti accademici, il giovane artista affianca lo studio diretto di paesaggi, dipingendo spesso en plein air. Del resto Turner è un viaggiatore instancabile, convinto che la conoscenza arrivi dalle esperienze sensoriali.
E così, ogni estate Turner viaggia portando con sé colori e alcuni album da disegno; in inverno invece preferisce lavorare in studio. Con un bagaglio leggero e un fedele taccuino, Turner attraversa mezza Europa, esplora il sud e l’ovest dell’Inghilterra, il sud del Galles, le Alpi svizzere, il nord della Francia e, grazie al periodo di pace in Europa, nel 1817 Turner può visitare il Belgio, i Paesi Bassi e la Valle del Reno in Germania.
Come uno scienziato, osserva i fenomeni atmosferici, prende appunti, indaga l’universo e, con la tavolozza, sfida ogni certezza, costruendo, come ha suggerito il critico Giulio Carlo Argan, «un dinamismo cosmico che sfugge il controllo della ragione, ma che può rapire l’animo umano in estasi paradisiache o precipitarlo nello sgomento».
Ben presto Turner rivoluziona l’idea di pittura, anticipando tendenze estetiche come l’impressionismo e influenzando artisti contemporanei come Mark Rothko. L’artista è attratto in particolar modo dalla “Teoria dei colori” di Johann Wolfgang von Goethe e dalle ricerche di Isac Newton, arrivando a elaborare un diagramma per dimostrare come il colore sia indispensabile per creare illusioni di profondità e per generare forti emozioni. Come mai prima di lui, Turner sfrutta le trasparenze della luce, riuscendo a riprodurre un tempo irripetibile, rivelatore dell’arcano.
In questo senso, di particolare importanza sarà il suo rapporto con l’Italia che visitò più di una volta, soggiornando a Roma, a Venezia e a Napoli, approfondendo gli studi sul rapporto spazio-luce. Ne nasce una pittura nella quale le forme perdono consistenza e i colori diventano i protagonisti assoluti delle opere. Proprio per il suo modo così sublime di usare i colori, Turner verrà definito un «mago che ha il controllo sugli spiriti della terra, dell’aria, del fuoco e dell’acqua».
Al Chiostro del Bramante di Roma, fino al 26 agosto 2018, sarà possibile ammirare quasi cento lavori del grande pittore romantico, nella rassegna Turner. Opere dalla Tate, a cura di David Blayney Brown. Una grande occasione questa, perché il maestro della luce era assente da oltre cinquanta anni dalla programmazione dei musei della Capitale. In mostra 92 opere fra acquerelli, disegni, album, oltre ad una selezione di olii.
Le opere sono conservate nelle sale della Tate Britain di Londra, e sono conosciute come Lascito Turner: provengono infatti dal suo studio personale e sono state realizzate dall’artista per “il suo proprio diletto”. Lo spettatore quindi avrà modo di addentrarsi nella poetica dell’artista, osservandone i lavori più intimi e privati.
«Dell’immenso tesoro di acquerelli, disegni e album di schizzi che fanno parte del Lascito di Turner alla Tate Britain – precisa il curatore – nulla sarebbe giunto fino a noi se fosse dipeso dal pittore stesso. I suoi piani per la posterità escludevano infatti questi lavori, come pure i quadri incompiuti e gli schizzi a olio, quindi se fossero state eseguite le sue volontà testamentarie, la sua eredità comprenderebbe solo un centinaio di dipinti a olio finiti e nessuna opera su carta.
Se le cose sono andate altrimenti per questa straordinaria raccolta che attesta il suo genio per il disegno e soprattutto la sua assoluta padronanza della tecnica dell’acquerello, lo si deve all’autonomia di giudizio dei membri della Court of Chancery [Corte di Cancelleria], i quali nel 1856 stabilirono che l’intero contenuto del suo studio dovesse diventare proprietà della nazione».
Questo perché Turner avrebbe voluto che si creasse un galleria personale alla National Gallery, dove si conservavano però solamente i dipinti su tela. Tuttavia, i soli dipinti ad olio non avrebbero potuto rendere giustizia alla grandezza compositiva del maestro. Turner, infatti, non è stato unicamente un pittore, ma è stato anche un abile disegnatore, un preciso incisore e un acquarellista sopraffino, creatore di opere emozionali, indeterminate ma allo stesso tempo chiarissime, romantiche e moderne.
Fra le opere più belle esposte, quelle dedicate alla laguna veneziana e ai paesaggi di Roma, perché proprio in Italia, spiega il curatore «l’artista ha scoperto la luce, l’azzurro del cielo, il calore del sole. E ha scoperto che grazie a questa luce i colori erano diversi: erano colori che non esistevano nell’Europa del nord». Con un turbinio di luci e ombre, Turner ha realizzato dunque immagini ricche di pathos, in cui il dato oggettivo lascia il passo alla magia della memoria. Una mostra, quella capitolina, da vivere con gli occhi e con il cuore, lasciandosi trasportare nel privato di uno dei più grandi maestri della storia dell’arte.
Francesca Gentili, critica d’arte
Pubblicato lunedì 16 Aprile 2018
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