Suggerimenti per l’estate: osservare con curiosità almeno un’opera del maestro Édouard Manet (1832 – 1883). E questo per due semplici ragioni. La prima, più ovvia, è di natura squisitamente estetica: lasciarsi sedurre dalle tele del pittore francese è un’esperienza tanto gradevole quanto interessante. La seconda ragione, invece, supera la semplice contemplazione e invita il lettore a scoprire come nella vita si possano affermare idee nuove e rivoluzionarie, andando contro schemi e abitudini consolidate. Manet è un ribelle e, con coraggio, combatte una battaglia per affermare il proprio talento. Suo padre, un giudice, sogna per lui una carriera rispettabile, magari nella marina militare, e non tollera la possibilità che il figlio possa essere un artista. I due si scontrano: Manet decide di chiudere i rapporti con lui e si dedica alla pittura. Il suo talento lo designa ben presto precursore e maestro degli Impressionisti, movimento con il quale non ama essere accostato e con cui non condivide nessuna delle otto mostre che si susseguono dal 1874 al 1886. Manet vuole esporre al Salon, unica sede di cui riconosce l’autorità, pur non condividendone le idee così ferree. Il suo obiettivo è alto: essere riconosciuto un grande artista indipendente, sfidando i canoni classici. Manet non si piega alle regole dell’Accademia ed esplora nuove dimensioni, unendo una forte libertà espressiva all’arte della tradizione. Audace, non arretra neppure quando l’Accademia gli volta le spalle, esprimendo un chiaro disprezzo verso i suoi quadri. Occorre precisare che l’artista sceglie un approccio particolarmente pungente per presentare alla critica la propria arte e alle cromie tenui, ai soggetti idealizzati e ai riferimenti classici, Manet preferisce la rappresentazione della vita parigina di metà Ottocento.
Nel 1858, realizza Il bevitore di assenzio, ovvero il ritratto di un uomo ubriaco, emarginato dalla società moderna; un soggetto che l’Accademia non avrebbe mai approvato. Manet lo dipinge a figura intera, formato sempre riservato a soggetti rispettabili, e lo adorna con cappa e cilindro neri. Il bevitore ha lo sguardo annebbiato e si appoggia ad un muro per non cadere. Ai suoi piedi un bicchiere colmo di liquore e una bottiglia vuota. Per i critici del comitato del Salon è uno shock; il quadro viene rispedito al mittente e l’artista subisce la sua prima grande delusione. Tuttavia, Manet non demorde e decide di sottoporre altri lavori al giudizio dell’Accademia. Nel 1863 è la volta di uno dei lavori più celebri della modernità, Colazione sull’erba, un dipinto che, pensa l’artista, avrebbe potuto essere approvato per i suoi chiari riferimenti all’arte classica. La composizione e il soggetto, infatti, derivano da un’incisione di Marcantonio Raimondi tratta dal disegno di Raffaello Giudizio di Paride; per similitudine il tema del quadro è anche vicino al Concerto campestre e alla Tempesta attribuiti sia a Giorgione sia a Tiziano. Anche questa volta il rifiuto è categorico. Colazione sull’erba viene respinto.
Manet non è l’unico artista le cui opere sono state bocciate dal rigore della critica: vengono escluse oltre tremila opere, comprese quelle di artisti del calibro di Paul Cézanne e Camille Pizzarro. Napoleone III, per ragioni di opportunità politica, decide così di istituire un Salon des Refusés, il Salon dei rifiutati appunto, per consentire a tutti i pittori non ammessi al Salon ufficiale di poter comunque esporre i propri lavori. Manet non perde questa occasione e partecipa alla mostra: in molti osservano con curiosità la sua Colazione sull’erba e quasi tutti ne rimangono sgomenti: la tela mostra una donna completamente nuda al centro della scena che, seduta vicino a due rispettabili uomini vestiti, guarda con malizia lo spettatore. Non si tratta di un nudo classico: la donna non è una venere o un’allegoria, bensì è una ragazza contemporanea, musa del pittore, di cui tutti conoscono nome e cognome: Victorine Meurent. Come pure i suoi accompagnatori, il fratello di Manet, Auguste, e il cognato Ferdinand Karel Leenhoff.
L’opera scandalizza i borghesi, ferendoli nel pudore e nella sensibilità. Per alcuni si tratta di «una comune prostituta, completamente nuda […] fra quelli che sembrano due studenti in vacanza, che si comportano male per far vedere che sono uomini». L’eco delle critiche si fa talmente assordante che anche Napoleone III si reca al Salon des Refusés per capire di cosa si tratti. Manet diventa in poco tempo l’artista più chiacchierato e disapprovato del momento. I moralisti accademici sono disgustati, condannano soprattutto il modo in cui uno dei due uomini ammira la giovane donna nuda, che a sua volta guarda, con sfrontatezza, lo spettatore. Anche la tecnica pittorica non piace, è considerata inadeguata e sciatta. Uno dei pochi che apprezza l’opera è Claude Monet, che vede nel quadro una nuova modalità di rappresentazione.
In questo turbinio di critiche Manet non si scoraggia e comincia a lavorare ad un nuovo soggetto, Olympia, chiaramente ispirato all’Antica Grecia ma tanto sfrontato da far apparire la nudità di Colazione sull’erba decisamente tenera. Manet, rifacendosi alla famosa Venere di Urbino (1538) di Tiziano, raffigura una donna nuda, sdraiata che, con sguardo conturbante, osserva lo spettatore. L’artista non idealizza il nudo, ma lo mostra con estremo realismo, proponendo al pubblico una bella donna di facili costumi. E non solo. Manet riempie la scena con riferimenti erotici: il gatto nero, la pantofola caduta (simbolo della perduta innocenza), l’orchidea fra i capelli e il mazzo di fiori sono una chiara allusione all’atto sessuale. Con sorpresa dello stesso artista, l’opera viene accettata ed esposta al Salon del 1865, suscitando però non poche perplessità. «Gli insulti piovono come chicchi di grandine», scrive il pittore all’amico Charles Baudelaire. La Presse commenta lapidaria: «Quando l’arte scende ad un livello così basso non merita neanche il disprezzo». Olympia cattura l’attenzione di numerosi visitatori, curiosi di vedere la tela dello scandalo, e genera reazioni spesso violente: qualcuno tenta addirittura di distruggere l’opera che viene collocata in alto vicino al soffitto, in un punto difficilmente raggiungibile.
I due lavori più importanti degli anni sessanta dell’Ottocento di Manet, Colazione sull’erba e l’Olympia, sono oggi considerati capolavori dell’arte mondiale. Al loro tempo, come abbiamo visto, l’Accademia li critica tanto aspramente da creare non pochi turbamenti nel pittore che, tuttavia, non si tira indietro e, al contrario, procede secondo il suo giudizio. L’arte con lui si rinnova. Manet è il primo pittore della vita moderna, rivoluzionario e audace, caparbio e dalla personalità grandissima. Di lui Renoir dirà: «Manet è importante per noi quanto Cimabue e Giotto per gli italiani del Rinascimento». Ed è proprio così. Al pari dei grandi maestri, Manet compie una importante rivoluzione pittorica, che unisce tradizione e innovazione, la capacità di rappresentare finalmente il mondo per quello che è, raccontando la vita degli umili e della borghesia cittadina. L’artista ci lascia una grande eredità e ci dice di non essere troppo prudenti nella vita, di rinunciare alle abitudini e di lanciarsi in avventure, per disegnare la vita proprio assecondando i nostri desideri.
Francesca Gentili, critica d’arte
Pubblicato giovedì 20 Luglio 2017
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