Questa non è una pipa

Sarebbe utile guardare il mondo con gli occhi dell’artista belga René Magritte (1898-1967). Almeno ogni tanto. E scoprire che la realtà non è sempre così come sembra e neppure come gli altri ce la descrivono o, peggio ancora, impongono. Questo esercizio non è semplice, richiede impegno e spirito critico; ma, se applicato con metodo e costanza, permette a ogni individuo di ottenere la forza per affrontare con determinazione il presente e progettare il proprio futuro. Magritte, durante la sua vita, mette in pratica questo proposito con la sua arte, proponendo al pubblico immagini enigmatiche e misteriose, mai rassicuranti e, per questo, ricche di interrogativi. L’artista è consapevole di vivere in un mondo incoerente ed è convinto che il Surrealismo offra «all’umanità un metodo e un orientamento dello spirito appropriati a svolgere investigazioni nei campi che si sono voluti finora ignorare o disprezzare, e che concernono direttamente l’uomo». A tal fine, l’artista fotografa il mondo che lo circonda e lo rappresenta in ogni dettaglio; alberi, cieli, pietre e persone sono riprodotte fedelmente, in modo quasi banale. Il suo orizzonte ordinario, però, nasconde qualcosa d’inquieto e mai rassicurante che lo trasforma in qualcosa di straordinario. Potremmo definire l’artista, il maestro della paranoia capace di sovvertire l’ordine prestabilito con una pittura che più che rappresentare la realtà ne mostra il lato nascosto.

Magritte With Hat

Magritte, che in gioventù ha lavorato come pubblicitario, conosce tutti i segreti per rendere le immagini persuasive, per catturare l’attenzione e per dimostrare come la vita sia una illusione e nessuna figurazione sia reale. Si oppone all’omologazione della società borghese e utilizza l’arte come strumento di difesa: «Noi – afferma ad Anversa nel 1938 – siamo i soggetti di questo mondo incoerente e assurdo in cui si producono armi per impedire la guerra, in cui la scienza si applica a distruggere (…); viviamo in un mondo in cui ci si sposa per denaro, in cui si costruiscono palazzi che marciscono abbandonati dinanzi al mare. Sembrerà ingenuo e inutile ripetere queste cose evidenti per coloro che non se ne lasciano turbare e che approfittano tranquillamente di questo stato di cose. Coloro che vivono di questo disordine aspirano a consolidarlo, e poiché i soli mezzi che siano compatibili con esso sono nuovi disordini, essi concorrono, rabberciando il vecchio edificio alla loro maniera detta “realistica”, ad affrettarne, senza saperlo, l’ormai prossima caduta».

L’assassino minacciato

Magritte sollecita i tanti che al contrario vogliono turbarsi e reagire a questo stato di cose, si rivolge a coloro che, al contrario, vogliono difendersi da questa «realtà mediocre plasmata da secoli di idolatria per il denaro, per le razze, per le patrie, per gli dei e anche per l’arte». «Altri, ai quali sono fiero di appartenere – continua – nonostante le idee utopistiche di cui sono accusati, vogliono coscientemente la rivoluzione proletaria che trasformerà il mondo; e noi agiamo in vista di questo fine, ciascuno secondo i mezzi di cui dispone». Per questo, sostiene l’artista, occorre introdurre nelle nostre abitudini l’arte di osservare al di là del reale. Magritte ci riesce aderendo, alla metà degli anni Venti del secolo scorso, al movimento surrealista. La sua, dunque, è una scelta di libertà. Fra i surrealisti, Magritte è il più indipendente, interessato non tanto al mondo onirico quanto alla problematica insita nella visione del reale. Smascherare la realtà proponendo misteriose immagini è il suo scopo. Magritte non vuole rassicurare lo spettatore, bensì lo vuole scioccare, dipingendo una realtà carica di controsensi.

L’impero della luce

Ci riesce indagando il tema dell’ambiguità alogica dell’immagine, anche nel suo rapporto con le parole. Dipinge, nel 1929, il suo quadro più conosciuto, Il tradimento delle immagini: una pipa, riconoscibilissima, con su scritto “ceci n’est pas une pipe”, questa non è una pipa. Nel 1952, sempre più convinto, propone la stessa immagine con la didascalia “ceci continue de ne pas étre une pipe”. È chiaro il disaccordo fra il segno linguistico e il segno artistico: la realtà è vanificata e l’osservatore non può più collocare la pipa in un sistema mentale codificato e sereno. Le opere di Magritte, quindi, non hanno la finalità di produrre dei valori assodati, ma vogliono arrivare alla psicologia del fruitore. Per questo l’artista adotta una tecnica pittorica quasi scolastica, dove tutto è riconoscibile ma che, allo stesso tempo, trae l’occhio in inganno.

Magritte sovverte i rapporti di posizione, d’illuminazione e di relazione; l’immagine non coincide con ciò che ci si aspetterebbe: la logica va in crisi e lascia spazio allo sconcerto. Come nel dipinto L’impero della luce, dove Magritte disegna un paesaggio notturno, in cui si trovano una casa ed un albero, illuminate da un lampione e sovrastate da un cielo diurno e luminoso, ricco di nuvole. Sembra notte ma forse è giorno. O viceversa. «Questa mia esperienza pittorica – scrive l’artista nel 1938 – conferma la mia fede nelle possibilità ignorate dalla vita. Tutte queste cose ignorate che pervengono alla luce mi fanno credere che la nostra felicità dipenda anch’essa da un enigma associato all’uomo e che il nostro solo dovere sia quello di sforzarci di conoscerlo».

Riconoscere dunque l’enigma della vita, celato nelle immagini della realtà, per sovvertire le regole e combattere la fredda omologazione.

Fantȏmas-Magritte

Trasgressivo, ironico, intelligente Magritte ci spinge ad andare oltre i confini del logico e indagare quello che non ci rassicura. L’artista ama giocare con la psicologia umana e come lo spietato criminale Fantȏmas, il personaggio letterario creato dalla fantasia dei francesi Marcel Allain e Pierre Souvestre, organizza sulla tela intrighi e conflitti. Proprio Fantȏmas diventa una specie di alter ego dell’artista, protagonista fra l’altro de L’assassino minacciato, tela macabra, dall’atmosfera inquietante, la cui immagine è allo stesso tempo chiara e minacciosa.

Golconda

Nel 1953 Magritte dipinge Golconda, la tela in cui il protagonista è il famoso personaggio vestito con bombetta e cappotto, moltiplicato all’infinito. Gli omini sembrano piovere dal cielo. Oppure paiono volare verso l’alto ma, in effetti, potrebbero essere costretti nei loro vestiti borghesi a rimanere bloccati a mezz’aria. Ogni personaggio è identico all’altro, con la propria ombra che si proietta, paradossalmente, anche sul cielo.

Un dubbio, però, permane nella mente di chi osserva e suggerisce piccoli interrogativi: dove stanno andando gli omini di Magritte? Quali sono le loro aspirazioni? E quali le nostre? La dimensione incerta del quadro abbraccia la nostra esistenza, invitandoci a chiederci “Che fare?”. Possiamo considerare come possibile la realizzazione dei nostri desideri o vogliamo essere omini omologati con la bombetta, succubi di una realtà imposta?

Scoprendo gli enigmi della vita Magritte ci dice che possiamo rivoluzionare la nostra storia, volando in alto insieme alle nostre idee di cambiamento.

Francesca Gentili, critica d’arte