Andrea Liparoto
Andrea Liparoto

Cercare Pier Paolo, lo chiamo per nome – ché è una quotidiana puntura di sguardo – non smette. Non smette immaginare di andarsene per le sue strade “pazze”, al riparo da comode letterature. Cercarlo, oggi. Dopo 40 anni dal suo sangue sparso su un piccolo deserto di periferia. Ma chi è Pier Paolo? Decisamente un “classico”. Uno di quegli autori che si continuano a leggere per l’emersione dalle pagine di un punto di sollecitazione umana e civile unico. E quale, dal nostro? La consapevolezza di essere, sempre e da sempre, dannatamente impigliati nel dirigere la vita. Toccarla, arrangiando mosse di pienezza, per poi cadere, ritrovarsi quindi in un gesto che rigoglia di forza, sorriso, magari fino alla fine della giornata, di quell’illusione. Pier Paolo, trovarlo fratello di ansia e tentativi di felicità, al netto di un sole difficile da corteggiare e conquistare. “Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro te, con te nel cuore, / in luce, contro te nelle buie viscere; / del mio paterno stato traditore / – nel pensiero, in un’ombra di azione – / mi so ad esso attaccato nel calore / degli istinti, dell’estetica passione; / attratto da una vita proletaria/ a te anteriore, è per me religione / la sua allegria, non la millenaria / sua lotta: la sua natura, non la sua / coscienza (…)”. Ecco uno stralcio di un dialogo poetico serrato con un genio dello sguardo e di una bella, e stretta con gli altri, organizzazione del futuro: Antonio Gramsci.

Pier Paolo Pasolini scandalizzava. Sì. Scandalizzava il suo coraggio di scendere all’origine dell’esistere, il bisogno combattente di averlo nelle vene, dirlo tutto a tutti. La felicità agognata, incastonata in plurime forme d’espressione e incomparabili ritmi di lavoro, poteva sorgere per lui solo da una rivoluzionaria rimozione di un processo criminale. L’involuzione profondamente e seriamente “fascista” del tempo. Che ingoiava istinti, il rincorrere un pallone, l’ignoranza di corse all’oro. Il neocapitalismo. Contro i suoi ragazzi. Volto “millenario” di una terra annaffiata di occhi autentici, di assoluta lontananza dall’immaginarsi potere. “Io sono una forza del passato, solo nella tradizione è il mio amore”, così dichiarava nella sua “Poesia in forma di rosa”, malamente e furbescamente tirata verso apparentamenti partiticamente reazionari. La felicità di Pier Paolo era, allora, semplicemente – e oltre le sue accelerate sociologiche, violentemente definitive (divoriamo gli insegnanti e la televisione) – respirarsi e donare respiri.

Dalla sua recensione a “Il prato in fondo al mare” di Stanislao Nievo del 10 gennaio 1975 (contenuta nello splendido e ancora trascurato “Descrizioni di Descrizioni” ed. Einaudi): «Spesse volte sogno di essere dentro il mare, nelle profondità che si dicono “abissali”: il mio nuotare, lì dentro, è un lento e capriccioso volare senza ali, proprio come quello dei pesci: e il paesaggio, per così dire, che mi vedo intorno, cioè le distese fluttuanti di acqua, ora filtrate da luci saettanti, ora riempite da luminosità diffuse e continue, mi dà un profondo senso di felicità. Quanto respirare, poi, lì in fondo al mare, respiro magnificamente: anzi la leggerezza del mio respirare è uno degli elementi del grande piacere che provo a stare lì dentro. Non c’è sogno più chiaro e assoluto di questo: si tratta di un regresso all’utero e alle sue acque, alla meravigliosa condizione prenatale marina (…)». Un tuffo nella sanità del primo esserci. Un chiamare tutti a sé, alla condizione anti e preideologica del riconoscersi. Pier Paolo era una rincorsa a una “patria” materna. Volenterosa di aria sentimentalmente e civilmente formativa, di mettere i figli nella migliore condizione di un confronto, di un contrariarsi genuino, di un arrivo a parlarsi negli occhi, figli come ostacoli permanenti all’inganno. Alla fine, prim’ancora di ogni marxismo sognato, antiabortismo, antidivorzismo, borghesia infernale, mani tese ai giovani fascisti e schiaffeggianti gli agiati sessantottini, Pier Paolo Pasolini resta un grido d’amore e bellezza. Unico. E limpido.