Durante il governo di Unidad popular guidato dal presidente Salvador Allende la cultura popolare aveva rivestito un ruolo rilevante nei programmi educativi delle aree rurali, nelle forme della comunicazione pubblica con i “murales alfabetizzatori”, nel recupero della tradizione musicale folklorica e nella diffusione della Nueva canción chilena.

Salvator Allende, presidente del Cile dal novembre 1970 al settembre 1973

Per Allende la cultura rappresentava una tappa fondamentale del processo di “liberazione” del popolo cileno: «Creare una nuova società capace di continui progressi in campo tecnico e scientifico. E capace anche di assicurare ai suoi intellettuali e artisti le condizioni per esprimere nelle loro opere un vero rinascimento culturale. Creare una nuova società capace di convivere con tutti i popoli: di convivere con nazioni avanzate, la cui esperienza può essere molto utile nel nostro sforzo di migliorarci. Creare, infine, una nuova società capace di convivere con nazioni dipendenti di ogni latitudine, verso le quali vogliamo rivolgere la nostra fraterna solidarietà».

Nella primavera del 1971, durante i giorni della cosiddetta “Operación Verdad”, con la quale il governo intendeva «demolire l’immagine torbida con cui ci hanno voluto presentare all’estero e, come il Cile nella sua lotta, è e continua ad essere una democrazia formale», Santiago del Cile ospitò diverse personalità internazionali (intellettuali, giornalisti e artisti) per far conoscere loro le specificità della “via cilena al socialismo”.

Lo scrittore Carlo Levi in un ritratto fotografico di Paolo Monti, 1955

Fu allora che José María Moreno Galván, presidente dei critici d’arte del Circolo dei giornalisti di Spagna, l’esule brasiliano Mario Pedrosa, vicepresidente dell’Associazione internazionale di critici d’arte e lo scrittore e senatore comunista Cario Levi, lanciarono un’iniziativa per promuovere una mobilitazione internazionale per donare al Cile un insieme di opere rappresentative che sarebbero servite come base per la creazione di un Museo di Arte Moderna e Sperimentale, il Museo della Solidarietà.

Un’opera di Joan Miró. Il pittore catalano, tra i più grandi esponenti del surrealismo, ha avuto un rapporto lungo e unico con il Cile. A Parigi, negli della guerra civile spagnola era divenuto amico dello scrittore cileno Pablo Neruda. Entrambi operarono per creare il Museo della Solidarietà a Santiago, a sostegno del governo socialista di Salvador Allende

L’idea originale di Galván e Levi di costruire un museo con opere d’arte contemporanea donate al popolo cileno venne subito accolta con favore dal presidente Allende. Il Comitato internazionale era composto, tra gli altri, dal poeta Louis Aragon (direttore di Lettres Française), Jean Leymaire (direttore del Museo d’Arte Moderna di Parigi), Giulio Carlo Argan (già presidente dell’Associazione internazionale di Critica d’Arte), Eduard De Wilde (direttore del Museo di Amsterdam), dal poeta Rafael Alberti, dal critico d’arte argentino Aldo Pellegrini.

Quadro di Victor Vasarely

Nella lettera che descriveva il progetto, Mario Pedrosa sottolineò quel sentimento di solidarietà che era legato al socialismo in generale come «bandiera naturale delle classi proletarie, degli artisti, degli scienziati e degli intellettuali», nonché alla lotta del Terzo mondo contro l’imperialismo e l’emarginazione culturale in particolare. La Dichiarazione rivendicava alcuni dei principi enunciati nella Dichiarazione dell’Avana affermando che gli artisti soffrivano che la monopolizzazione e la mercantilizzazione del loro lavoro che ne violava il significato, e che in realtà auspicavano che le loro opere raggiungessero persone e luoghi che erano “svantaggiati”, oltre i grandi centri metropolitani dell’emisfero nord-occidentale.

Nella lettera che indicava il progetto si faceva riferimento anche alla Seconda dichiarazione dell’Avana. Nel 1962 l’assemblea generale del popolo cubano aveva approvato la Seconda Dichiarazione dell’Avana, un documento che esprimeva la vocazione latinoamericana e antimperialista della nascente rivoluzione. Il testo, letto da Castro, denunciava anche l’interferenza del governo USA Uniti negli affari interni di Cuba e il pericolo della dominazione statunitense sul resto delle nazioni del continente

Nelle sue comunicazioni agli altri artisti, il critico brasiliano descriveva costantemente il Cile come un Paese piccolo e povero, un Davide «perennemente minacciato dal gigante imperialista Golia» che rappresentava una speranza non solo per l’America Latina ma per il mondo intero nonostante le difficoltà che doveva affrontare.

Un’istallazione dell’artista americano Frank Stella, tra quanti donarono al Cile di Allende le loro opere

La nota del costituendo Museo recitava: «Considerando il significato di tale gesto, trascendentale per il Cile e il suo governo, un gruppo di intellettuali ha deciso di formare il Comitato destinato a studiare il modo di realizzare e realizzare questo atto di solidarietà. Dato il momento storico che sta vivendo il Cile, in cui è in atto una trasformazione organica, graduale e profonda verso una società socialista, in cui la democrazia deve essere perfezionata, stimolando contemporaneamente la libertà di creazione e di espressione, che sono i tratti più tipici di questo processo, un Museo di Arte Moderna in Cile deve essere esemplare nei suoi metodi museografici e nelle sue finalità culturali ed educative».

Il Comitato era stato creato per svolgere questo compito e decidere il modo migliore per stabilire un contatto con gli artisti, i quali, mossi dalla simpatia per l’esperienza rivoluzionaria del Governo Popolare, erano disposti a collaborare con le loro creazioni alla formazione di un collezione di capolavori del XX secolo, pensata per consentire ai Paesi in via di sviluppo di partecipare al patrimonio artistico internazionale.

“El primer gol del pueblo chileno”, murale dipinto nel 1971 da Robert Matta in collaborazione con la Brigata Ramona Parra (nella foto, il logo) per una piscina pubblica aperta in un sobborgo di Santiago, è lungo 24 metri e largo circa 5. I militari golpisti cercheranno di cancellarlo, senza riuscirci, con 14 strati di vernice

Il Cile dell’Unidad popular fu presentato da questi artisti come il fulcro dell’emancipazione mondiale: «Gli artisti non possono guardare con indifferenza che i loro quadri, le loro sculture, le loro creazioni siano monopolizzati per il godimento estetico di collezionisti privilegiati che possono acquistarli; al contrario, aspirano ad essere lì dove l’accesso del pubblico è più ampio e le condizioni di fruizione sono le più facili. Auspicano inoltre che le loro opere non rimangano confinate nell’area metropolitana dei Paesi ricchi e avanzati dell’emisfero nord-occidentale, ma che raggiungano a profusione le grandi aree disagiate del Terzo Mondo. Il Cile è rappresentativo di tutto il mondo sottosviluppato e, nella sua sacra rivoluzione contro la sottomissione, intende offrire le migliori condizioni per diventare un autentico centro culturale al servizio del suo popolo e delle nazioni sorelle dell’America Latina».

In pochi mesi furono inviate in Cile quasi 700 opere di pittori e scultori particolarmente rappresentativi dell’arte contemporanea. Questa raccolta costituì la prima collezione del Museo della Solidarietà che venne inaugurato nel maggio 1972, con la presenza del presidente Salvador Allende, e temporaneamente installato nel Museo di Arte Contemporanea (MAC) della Quinta Normal a Santiago.

Istallazione dell’artista brasiliana Lygia Clark

Il direttore Pedrosa, parlando a nome di tutti i partecipanti sottolineò che: «I donatori vogliono che le loro opere siano destinate alla gente, che siano permanentemente accessibili a loro. E ancora di più, che gli operai delle fabbriche e delle miniere, delle città e dei campi vengano a contatto con loro, che li considerino parte del loro patrimonio […]. Ciò che unisce indissolubilmente queste donazioni è proprio questo sentimento di fratellanza, affinché non si disperdano mai in direzioni e destinazioni diverse. Gli artisti le donano per un Museo che non si sgretola nel tempo, che rimane attraverso gli eventi ciò per cui è stato creato: un monumento di solidarietà culturale al popolo cileno in un momento eccezionale della sua storia».

Rispondendo a questa sollecitazione, Allende dichiarò: «[…] questo è l’unico museo al mondo che abbia un’origine e un contenuto così profondi. È l’espressione solidale di uomini di popoli e razze diverse che, nonostante la distanza, danno la loro capacità creativa, senza riluttanza, al popolo cileno, in questa fase creativa della loro lotta».

Il palazzo destinato a raccogliere le opere, l’Unctad, III era stato il risultato di una sfida: migliaia di volontari lo realizzarono in 275 giorni

Le donazioni continuarono ad arrivare. Una seconda e una terza mostra ebbero luogo quasi contemporaneamente nell’aprile 1973 al MAC e all’edificio della sede dell’UNCTAD III che nelle intenzioni di Allende sarebbe dovuto divenire la sede del Museo.

Nella composizione grafica, la giunta militare guidata da Pinochet e il palazzo della Moneda bombardato

Poi sopravvenne il colpo di stato dell’11 settembre 1973 e l’edificio dell’UNCTAD divenne la sede della Giunta di governo. Le opere si dispersero. Alcune rimasero nei piani interrati nel Museo d’Arte Contemporanea, altre vergognosamente adornarono gli uffici ministeriali. Alcune di queste opere si trovano oggi in altri musei, frutto della confusione creata dalla dittatura, ma appartengono al Museo della Solidarietà.

L’importanza delle opere raccolte dà la misura di come quella comunità culturale percepì l’esperienza democratica di Salvador Allende, come un’“utopia concreta”. In questo senso Allende è una delle personalità emblematiche più significative del Novecento, e il suo Museo è un monumento, un memoriale, destinato a ricordare quei principi.

Andrea Mulas, storico, Fondazione Basso