A cento anni dal viaggio in Italia di Pablo Picasso (1881–1973), la Capitale organizza una grande mostra: quasi duecento i lavori esposti fra dipinti, disegni, gouache, acquerelli, bozzetti, abiti di scena e documenti. Fino al 22 gennaio 2018, le sale delle Scuderie del Quirinale ospitano la rassegna Picasso. Tra Cubismo e Classicismo 1915–1925, a cura di Olivier Berggruen, membro del comitato scientifico del Musée Picasso di Parigi e Anunciata von Liechtenstein, studiosa del periodo romano dell’artista. In particolare, l’esposizione racconta gli esperimenti artistici condotti da Picasso all’indomani dello scoppio della prima guerra mondiale e durati oltre un decennio. Un periodo significativo perché, dopo aver stravolto le regole della rappresentazione mimetica con il cubismo, – emblematico in questo senso è il celebre Les demoiselles d’Avignon del 1097 – Picasso torna alle figurazioni classiche. Un cambiamento di rotta nato anche dall’influenza che il Belpaese ebbe sull’artista.
È il 1917 quando Picasso arriva in Italia. A convincerlo è il suo amico Jean Cocteau. Lo scrittore è impegnato nell’ideazione di un progetto d’avanguardia e spera che l’artista spagnolo ne possa far parte. Picasso, con entusiasmo, accetta la proposta e parte per l’Italia. Nasce Parade, il celebre balletto teatrale frutto della collaborazione fra l’impresario dei Ballets russes Sergej Djagilev, il musicista Erik Satie, il coreografo Léonide Massine e, ovviamente, Picasso.
È proprio a Roma che l’artista elabora il famoso sipario: lungo diciassette metri e alto undici, è concepito come un grande quadro, dove sfilano un acrobata in equilibrio su una cavalla bianca con le ali come Pegaso, il destriero delle muse, Arlecchino, un torero, una coppia di innamorati e un marinaio, tutti personaggi già cari al repertorio di Picasso. La composizione è una sintesi delle consolidate esperienze artistiche cubiste e della figurazione classicista, il cui punto focale è sempre la figura umana. Questo grande sipario, in concomitanza con la mostra alle Scuderie del Quirinale, è esposto nel salone affrescato da Pietro da Cortona a Palazzo Barberini.
Picasso, in questi anni, scopre un nuovo modo di creare, arrivando a immaginare composizioni artistiche fortemente influenzate dai soggiorni in Italia, dove può vedere dal vivo i più significativi capolavori dell’antichità. «Delle statue antiche – racconta Berggruen – lo avevano colpito la monumentalità e la sensualità nascosta, più che le forme e le proporzioni, preferendo all’Antica Roma e al Rinascimento gli Etruschi, gli affreschi erotici di Pompei, le maschere della Commedia dell’arte, la vita frenetica della via Margutta del 1917 o quella dei vicoli di Napoli».
Nella Capitale Picasso rinasce: la città è ricca di stimoli, conosce i futuristi e i pittori della secessione, entra in contatto con l’arte rinascimentale classica. E non solo. Picasso viaggia molto: Milano, Firenze, Pompei e Napoli, dove scopre le tradizioni iconografiche italiane e, in particolare, il presepe e le maschere, prima fra tutte quella di Pulcinella.
Il viaggio in Italia è poi per l’artista anche l’occasione per innamorarsi: a Roma, mentre lavora per i costumi di Parade, conosce la danzatrice russa Olga Khokhlova, che sposerà dopo pochi mesi e dalla quale avrà un figlio Paulo.
L’artista ritrae la donna numerose volte: in mostra sono presenti più lavori a lei dedicati. Fra i più noti l’incompiuto Ritratto di Olga in poltrona, chiaro esempio del nuovo stile adottato da Picasso: il disegno è puro, addolcito dal realismo decorativo dei particolari, che richiamano la pittura neoclassica del francese Jean-Auguste-Dominique Ingres.
Alla figurazione classica Picasso giunge anche grazie al mezzo della fotografia. L’artista è un bravo fotografo, e già in passato ha immortalato amici e colleghi nel suo atelier. È proprio con la fotografia che realizza alcuni ritratti di Olga e del figlio.
La svolta classicista di Picasso, all’epoca, è accolta con sospetto da una parte della critica, in particolare il tedesco Wilhelm Uhde, collezionista e mercante d’arte d’avanguardia francese, ne rimane sbalordito. L’uomo ipotizza che il classicismo di Picasso possa far parte di quel processo chiamato “ritorno all’ordine”, cioè una reazione diffusa nel dopoguerra a tutto ciò che era ritenuto promozione dei mezzi artistici d’avanguardia, a favore del classicismo degno della tradizione francese, o mediterranea. Una tesi però smentita dal fatto che l’artista, anche prima della guerra, si era dedicato alla figurazione classicista, iniziando un nuovo percorso sublimato poi dal soggiorno in Italia. Un percorso rivolto soprattutto all’interazione fra i codici, che dal Cubismo arriva appunto al Classicismo, e dove le soluzioni astratte diventano funzionali a composizioni dalle fattezze spesso monumentali. A Roma, nel 1917, quando il direttore svizzero Ernest Ansermet gli chiede come mai dipingesse contemporaneamente in due stili opposti, cubista e neoclassico, Picasso semplicemente risponde: «Non vede? I risultati sono uguali».
Fra i temi ricorrenti Arlecchini, Pierrot, scene circensi e bellissimi ritratti di popolane romane.
Molte le chicche esposte: il costume di scena di Parade del Prestigiatore Cinese, unico esemplare rimasto, il ritratto di Paulo vestito da Arlecchino, quello del saltimbanco seduto e quelli dedicate al compositore Igor Stravinskij, e ancora le opere Due donne che corrono sulla spiaggia del 1922, Il flauto di Pan del 1923. Fra l’altro i lavori della rassegna arrivano da tutto il mondo, dal Musée Picasso e Centre Pompidou di Parigi alla Tate di Londra, dal MoMa e dal Metropolitan Museum di New York al Museum Berggruen di Berlino, dalla Fundació Museu Picasso di Barcellona al Guggenheim di New York.
Francesca Gentili, critica d’arte
Pubblicato martedì 3 Ottobre 2017
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