È stato l’evento culturale che ha colorato il panorama capitolino per mesi: la mostra dedicata all’artista olandese Vincent Van Gogh, ospitata nelle sale di Palazzo Bonaparte, ha chiuso i battenti, segnando un grande successo di pubblico. Oltre 580mila i visitatori provenienti da ogni parte del mondo che hanno apprezzato i lavori dell’artista, più di tremila al giorno. Non si ricordano, almeno negli ultimi trenta anni, esposizioni che abbiano raggiunto risultati simili. Fra le oltre cinquanta opere presentate, provenienti dal Kröller-Müller Museum di Otterlo, il pubblico ha potuto ammirare capolavori come Il Seminatore, realizzato ad Arles nel giugno 1888, Il giardino dell’ospedale a Saint-Rémy (1889) e Vecchio disperato (1890), immagine di uno strazio fatale. Esposto anche Autoritratto, a fondo azzurro con tocchi verdi, del 1887, visibile per la prima volta dopo il restauro, fulcro dell’evento perché espressione più intima dell’anima del pittore olandese.
Sulla parete dell’allestimento, una lettera dell’artista per suo fratello Theo, datata 21 luglio 1882, ha spiegato, con dolorosa tenerezza, la sensibilità di Van Gogh: “Cosa sono io agli occhi della gran parte della gente? Una nullità, un uomo eccentrico o sgradevole – qualcuno che non ha posizione sociale né potrà mai averne una; in breve l’infimo degli infimi. Ebbene anche se ciò fosse vero, vorrei sempre che le mie opere mostrassero cosa c’è nel cuore di questo eccentrico, di questo nessuno”.
Prosegue Van Gogh: “Bisogna lavorare a lungo e duramente per afferrare l’essenza dell’arte. Quello a cui miro è maledettamente difficile, eppure non penso di mirare troppo in alto. Voglio fare dei disegni che vadano al cuore della gente”. In effetti, l’artista è sempre rimasto ai margini della società, poco amato, scarsamente compreso e alla costante ricerca di amore. L’unica certezza è la propria vocazione artistica che, nonostante alcuni periodi di inattività e malattia, l’artista riesce a coltivare con grande passione e coerenza.
Van Gogh sembra essere posseduto da una frenesia creativa che lo spingerà a dipingere scene umili, che nessuno prima di lui aveva giudicato degne di essere raffigurate, come la sua piccola stanza da letto ad Arles. “Mi è venuta una nuova idea, questa volta si tratta semplicemente della mia camera da letto, solo che qui il colore deve fare tutto, e accentuando, così semplificato, lo stile degli oggetti, dovrà suggerire il riposo, o il sonno in generale. In una parola, guardare il quadro dovrebbe riposare la mente, o meglio la fantasia”.
Nato in Olanda nel marzo 1853, Van Gogh è figlio di un pastore protestante; è molto religioso e, per un periodo, fa il predicatore laico in Inghilterra e fra i minatori belgi: esperienza questa che rileva la sua vicinanza all’arte del francese Millet e al messaggio sociale che essa porta. Le pennellate di Van Gogh ci dicono molto sul suo stato d’animo.
“Van Gogh – scriverà lo storico Ernst Gombrich – amava dipingere oggetti e scene capaci di offrire ampia possibilità ai nuovi mezzi, motivi nei quali potesse disegnare oltre che colorare con il pennello, e stendere il colore a strati spessi come uno scrittore sottolinea le parole”. Sensibile, visionario, instabile, dotato di un talento unico, Vincent Van Gogh, nonostante una vita scandita da numerosi eventi traumatici, ha avuto sempre una sola certezza: l’amore per l’arte. Fin da piccolo si è dedicato alla pittura, dipingendo centinaia di tele. Anche nei momenti più bui – quando, per esempio, è rinchiuso nelle stanze di un manicomio – la dedizione verso l’arte lo guida con una tenacia straordinaria: “Le emozioni – scrive – sono talvolta così forti che si lavora senza sapere di lavorare… e le pennellate si susseguono con una progressione e una coerenza simili a quelle delle parole in un discorso o in una lettera”.
Grazie al sostegno economico e affettivo del fratello minore Théo, l’artista inizia la sua incessante produzione artistica e, dopo i primi anni di difficoltà, si augura che il suo lavoro possa essere apprezzato dal grande pubblico, magari con la vendita di qualche opera. “Sento in me – scrive al fratello nel 1882 – una tal forza creativa, che sono sicuro verrà il giorno in cui sarò in grado di produrre regolarmente ogni giorno buone cose”. Tuttavia, così non è: il suo lavoro non viene apprezzato a dovere e l’artista non riesce a inserirsi nella società in cui vive. Nel 1888, ha un collasso, viene ricoverato in una casa di cura dove, nei momenti di lucidità, continua a dipingere incessantemente. Quattordici mesi dopo, nel luglio del 1890, all’età di trentasette anni, Van Gogh mette fine ai suoi giorni, suicidandosi con un colpo di pistola.
Il lascito artistico è straordinario, la sua parentesi artistica dura appena un decennio, e i suoi quadri migliori sono realizzati nei tre anni più cupi. Girasoli, notti stellate, sedie vuote e cipressi sono tutte immagini diventate popolari: l’artista “bramava un’arte scevra di cerebralismi, che non richiamasse soltanto l’attenzione dei ricchi intenditori, ma desse gioia e consolazione a ogni creatura umana”, spiega Gombrich.
Un solo quadro venduto (La Vigna rossa) su una produzione di oltre 860 lavori: la fama per l’artista è arrivata tuttavia dopo la sua morte, con opere che oggigiorno arrivano ad essere stimate decine e decine di milioni di euro.
Poco fortunato in vita, Van Gogh con i suoi lavori è diventato nel tempo uno degli artisti più conosciuti, quotato nelle gallerie e nei musei più prestigiosi. Definito da alcuni, il precursore dell’arte contemporanea, Van Gogh non ricerca l’esatta rappresentazione della realtà ma, attraverso forme e colori, ha voluto esprimere i propri sentimenti: abbandona cioè il proposito di imitare la natura per rappresentare i sentimenti.
Forzando le figure, l’artista ha scelto di comunicare ciò che sente: “Voglio – ripeteva – raggiungere il punto in cui la gente dirà, osservando il mio lavoro: quell’uomo aveva sentimenti davvero profondi. (…) Se le mie figure fossero realistiche sarei disperato. Desidero produrre queste distorsioni, queste deviazioni, questi rimodellamenti e cambiamenti della realtà, così che possano diventare più veri della precisa verità”. Forme e colori con Van Gogh mutano l’aspetto delle cose per esprimere il vero senso dei sentimenti del pittore, capace di sguardi unici e meditati sulla realtà.
Van Gogh è stato un maestro unico e conoscerlo significa immergersi in un clima poetico di colori e passione, di umanità e dignità. Del resto, la pittura è stata per l’artista una scelta sociale, capace di mostrare al mondo anche la condizione umana più povera, come quella dei poveri lavoratori o dei contadini nelle campagne. L’artista non li ritrae per il gusto della rappresentazione estetica, bensì con la voglia di mostrare tutta la dignità degli ultimi della società. Una scelta a dir poco rivoluzionaria, in un periodo storico in cui la maggior parte degli artisti sceglie di raffigurare paesaggi urbani o ritratti in posa. Van Gogh, invece, deciderà di far vedere alla società benestante che esistono anche gli sfruttati, gli operai, i contadini, persone cioè che vivono in miseria, verso le quali non si può più essere indifferenti. Con lui lo spettatore, di allora come di oggi, dovrà andare oltre il puro fattore estetico e considerare, finalmente, l’arte come qualcosa capace di far riflettere sul vero senso delle cose, offrendo la possibilità di compiere un viaggio nei sentimenti, anche quelli più cupi.
Francesca Gentili, critica d’arte
Pubblicato sabato 20 Maggio 2023
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