L’Arte povera compie cinquanta anni. Era il 1967 quanto sulla rivista Flash Art viene pubblicato il saggio “Arte Povera. Appunti per una Guerriglia”, scritto dal critico d’arte Germano Celant, allora ventisettenne. Il testo teorizzava la nascita di un nuovo movimento capace di rinnovare esteticamente e concettualmente il panorama dell’Arte moderna. Il movimento, nato come reazione al collasso dell’economia italiana e del fugace boom del dopoguerra, criticava numerosi aspetti della vita moderna, come l’ignoranza e il consumismo fine a se stesso. Alighiero Boetti, Jannis Kounellis, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto, Giulio Paolini, Giovanni Anselmo, Giuseppe Penone, Mario Merz, solo per citarne alcuni, con le loro opere volevano annullare il confine fra arte e vita e per farlo usavano la multimedialità artistica, ovvero la capacità di eliminare ogni barriera fra i vari generi, passando con facilità da una tecnica all’altra. Seguendo la lezione di Lucio Fontana su come ottenere il massimo effetto con il minimo dei materiali, questi artisti utilizzavano materiali poveri come giornali vecchi, rami e stracci. Il termine Arte povera, però, non deve trarre in inganno. Gli artisti non realizzavano opere povere, ambivano invece ad un’arte pura da concretizzare con materiali basici.
L’artista, scrive Celant nel manifesto, «rifiuta ogni etichetta e si identifica solo con se stesso»; esso propone «un’arte povera, impegnata con la contingenza, con l’evento, con l’astorico, col presente, con la concezione antropologica, con l’uomo “reale” (Marx). […] L’artista da sfruttato diventa guerrigliero, vuole scegliere il luogo del combattimento, possedere i vantaggi della mobilità, sorprendere e colpire, non l’opposto».
Alla formulazione dell’estetica dell’Arte povera ha contribuito il pensiero di Pier Paolo Pasolini. Lo scrittore nel 1962 aveva dichiarato che per i suoi lavori, sia testi sia film, faceva riferimento al sottoproletariato dell’Italia meridionale e ai riti della mitologia greca, perché entrambi si discostavano dal razionalismo dei tempi moderni. Dal canto suo, legandosi a un pensiero politico di sinistra, l’Arte povera rifiutava quella cultura Pop troppo legata al consumismo contemporaneo. Questa resistenza assumeva un’importanza sociale perché l’Arte povera non solo «sosteneva la necessità di ripristinare l’opera d’arte all’interno degli spazi socialmente condivisi dell’attivismo politico» ma anche il bisogno «di un nuovo modo di rivolgersi al pubblico» (Hal Foster). Se Pasolini è stato il riferimento nel campo del cinema, gli artisti del movimento dell’Arte povera nel campo delle arti figurative guardavano a Alberto Burri, Fontana e Piero Manzoni, sia per l’utilizzo dei materiali industriali, sia per il processo di riduzione estrema dei materiali, sia per la volontà di ritornare alle origini dell’esperienza estetica.
Fra i lavori più emblematici dell’Arte povera, posto di spicco occupa l’installazione del 1969 Senza titolo. (12 cavalli) di Jannis Kounellis (1936–2017), greco di nascita ma vissuto nel Belpaese dalla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso. Kounellis realizza questo lavoro legando ai muri della galleria L’Attico di Roma dodici cavalli vivi e vegeti.
Gli animali, come quadri appesi alle pareti, resteranno così per alcuni giorni. Lo scopo dell’artista è quello di criticare il sistema dell’arte, proponendo un’opera d’arte effimera che non solo non si sarebbe mai potuta vendere ma che, nel tempo e nello spazio della sua durata, andava ad insozzare l’ambiente immacolato della galleria. Ma non solo. Kounellis seguendo il concetto del voler «aprire una cosa fuori da questi muri ossessivi della convenzione», porta alle estreme conseguenze il desiderio di eliminare la distanza che separa l’arte dalla realtà, sostituendo l’oggetto artistico con un cavallo, cioè con la vita stessa.
Fra i lavori più conosciuti, invece, troviamo la Venere degli stracci, del 1967, di Michelangelo Pistoletto, classe 1933. Si tratta di una scultura in cemento della dea dell’amore ai cui piedi è ammassata una grande quantità di stracci. In questo lavoro, l’armonia dell’arte classica stride a contatto con la sciatteria della contemporaneità.
Pistoletto critica la società dei consumi, la cui natura effimera distoglie l’uomo moderno dalla bellezza reale. «Con la Venere degli stracci – commenta l’artista – volevo rappresentare contemporaneamente la bellezza del passato e il disastro del presente». Pistoletto, inoltre, si pone il problema della libertà del linguaggio che non deve essere più legato al “sistema” e alle aspettative codificate. Pistoletto agisce liberamente, rimanendo sempre «al confine fra arte e vita». Uno degli obiettivi del maestro, infatti, è far uscire l’arte dal museo e portarla nella vita reale, fra la gente. Nella metà degli anni Sessanta, ad esempio, realizza con vecchi giornali pressati, una palla di un metro di diametro, la Sfera di giornali, che porterà a spasso per le strade di Torino.
Celebrata in tutto il mondo, l’Arte povera è uno dei fenomeni artistici più importanti del secondo dopoguerra. Per i suoi primi cinquanta anni, sono numerosi gli eventi organizzati: a New York, la galleria Levy Gorvy di Madison Avenue ospita una rassegna a cura di Celant che indaga i rapporti fra il movimento artistico e la gallerista Ileana Sonnabeng.
Grazie all’attività della donna, infatti, artisti come Anselmo, Pier Paolo Calzolari, Kounellis, Merz, Paolini, Pistoletto e Gilberto Zorio hanno avuto modo di conoscersi e farsi conoscere anche fuori dai confini nazionali. Sempre a New York la galleria di Daniella Luxembourg e Amalia Dayan ospita Contingencies: Arte Povera and After, mostrando capolavori del movimento e opere contemporanee ispirate allo stesso spirito rivoluzionario. A Roma, invece, la mostra dedicata al Sessantotto e allestita nelle sale della Galleria Nazionale, È solo un inizio. 1968, presenta al grande pubblico alcuni lavori realizzati in quegli anni anche dagli artisti dell’Arte povera.
Francesca Gentili, critica d’arte
Pubblicato giovedì 21 Dicembre 2017
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