Da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/1/12/ Annuncio_scomparsa_Majorana.jpg

Non ci possono essere dubbi sul fatto che la posizione di indiscussa eccellenza della fisica italiana nel panorama scientifico mondiale – che ancora permane dopo decenni di politiche universitarie sbagliate e controproducenti e di tagli selvaggi ai finanziamenti ed al personale – costituisca un’onda lunga di quello straordinario fiorire di personalità di grandissimo valore scientifico che avvenne in Italia nei primi decenni del XX secolo, e in particolare tra il 1922 ed il 1939, a opera del gruppo di giovanissimi fisici guidato da Enrico Fermi, i “Ragazzi di via Panisperna”, che seppero costruire una scuola che ancora oggi sta dando i suoi frutti.

Uno dei più geniali tra loro fu il catanese Ettore Majorana.

Nato nel 1905, era uno dei più giovani membri del gruppo di Fermi e apparteneva a una famiglia di studiosi: il nonno era stato senatore per la Sinistra storica e due volte Ministro per l’Agricoltura, il padre ordinario di Ingegneria e Fisica, uno zio fisico di fama; tra i suoi fratelli vi erano giuristi, fisici, ingegneri, statisti tutti di grande valore.

Ettore, che fin da bambino aveva dimostrato straordinarie capacità matematiche, dopo avere frequentato brevemente la facoltà di Ingegneria, nel 1927 passò al corso di laurea in Fisica e al gruppo di Fermi. Si laureò, con 110 e lode in soli due anni, il 6 luglio 1929, presentando una tesi sul decadimento dei nuclei radioattivi, con Enrico Fermi come relatore.

Nel gruppo di via Panisperna, prima e dopo la laurea, Majorana lavorò su numerosi temi di meccanica quantistica, ma trovò il tempo di pubblicare articoli sugli argomenti più disparati, dalla fisica terrestre all’ingegneria elettrotecnica. Il maggior contributo scientifico di Ettore Majorana è tuttavia rappresentato dalle sue ultime ricerche, riguardanti le forze nucleari oggi dette alla Majorana, le particelle di momento intrinseco arbitrario e la simmetria dell’elettrone e del positrone. Famosa è anche l’equazione di Majorana, l’equazione a infinite componenti, la base teorica dei “Sistemi quantistici aperti”, utilizzata, tra l’altro, per la moderna crittografia quantistica. Queste ricerche, pilastri fondamentali per lo sviluppo della fisica moderna, furono svolte quasi tutte dopo il ritorno da un viaggio di studio a Lipsia e a Copenaghen, con una borsa del CNR, che durò dal gennaio al giugno del 1933, periodo durante il quale ebbe modo di lavorare con alcuni dei più famosi fisici dell’epoca: Heisenberg, Bohr, Möller, Rosenfeld e altri.

Appunti manoscritti preparatori all’equazione a infinite componenti
(Da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/4a/Majorana_Equazinfcomp.jpg)

Il 1933 segna un punto di svolta nella vita di Majorana. Già prima della partenza, il suo rapporto con il gruppo di via Panisperna era notevolmente diverso da quello degli altri componenti: egli era essenzialmente un teorico e partecipava poco all’attività sperimentale, dando il suo contributo con lo sviluppo di modelli matematici e con la sua capacità di affrontare i più complicati sviluppi analitici, dandone inevitabilmente la soluzione esatta. Lavorava quindi prevalentemente da solo, spesso a casa, recandosi poi in istituto per presentare i suoi risultati direttamente a Fermi o a Rasetti, e non faceva parte dei circuiti sociali che accomunavano gli altri suoi colleghi.

Dopo il ritorno dalla Germania però il suo carattere poco socievole si accentuò fino agli estremi: si recava sempre più di rado all’università, restando chiuso in casa, rifiutando di vedere chiunque, trascurando il suo aspetto fisico e persino respingendo la posta, scrivendo di suo pugno sulle lettere “si respinge per morte del destinatario”.

Di questo suo periodo, scrive Laura Fermi, moglie di Enrico, nel suo bel libro Atomi in famiglia: “Majorana aveva continuato a frequentare l’Istituto di Roma e a lavorarvi saltuariamente, nel suo modo peculiare, finché nel 1933 era andato per qualche mese in Germania. Al ritorno non riprese il suo posto nella vita dell’Istituto; anzi, non volle più farsi vedere nemmeno dai vecchi compagni. Sul turbamento del suo carattere dovette certamente influire un fatto tragico che aveva colpito la famiglia Majorana. Un bimbo in fasce, cugino di Ettore, era morto bruciato nella culla, che aveva preso fuoco inspiegabilmente. Si parlò di delitto. Fu accusato uno zio del piccino e di Ettore. Quest’ultimo si assunse la responsabilità di provare l’innocenza dello zio. Con grande risolutezza si occupò personalmente del processo, trattò con gli avvocati, curò i particolari. Lo zio fu assolto; ma lo sforzo, la preoccupazione continua, le emozioni del processo non potevano non lasciare effetti duraturi in una persona sensibile quale era Ettore”.

Ormai però la fama scientifica di Majorana era nota in tutto il mondo, tanto da fargli avere offerte, che egli rifiutò, da Cambridge, Yale e dalla Carnegie Foundation, sicché nel 1937 Fermi riuscì a fargli assegnare, “per chiara fama”, la cattedra di professore di Fisica teorica all’Università di Napoli. Qui, Majorana viveva in albergo e praticamente non aveva contatti con nessuno, ad esclusione del collega Antonio Carrelli, professore di Fisica sperimentale nello stesso ateneo.

L’insegnamento a Napoli però durò solo un anno: invitato da tutti coloro che ancora riuscivano a comunicare con lui a prendersi un periodo di riposo, si imbarcò su un piroscafo per Palermo la sera del 25 marzo 1938, ma si fermò in Sicilia solo due giorni e poi si imbarcò di nuovo per Napoli. Da quel momento, non si hanno più notizie sicure di Ettore Majorana.

La sua scomparsa fece un enorme scalpore: la prima ipotesi fu che si fosse suicidato in mare, ma le ricerche del suo corpo non diedero alcun risultato e anzi la compagnia di navigazione dichiarò alle autorità, pur non fornendone prove materiali, che il suo biglietto risultava tra quelli dei passeggeri sbarcati a Napoli. Diversi testimoni dichiararono anche di averlo visto a Napoli dopo lo sbarco.

Prima di partire da Palermo, Majorana aveva inviato lettere notevolmente ambigue a Carrelli e alla famiglia, scusandosi per la sua decisione di “scomparire per sempre” che lasciavano spazio sia all’ipotesi del suicidio sia a quella di scomparire per farsi una nuova vita. Certo è che, prima di partire per Palermo, Majorana aveva ritirato dal suo conto un’ingente cifra in contanti, derivante dagli arretrati di un anno del suo contratto di professore, e né questi soldi né il suo passaporto furono ritrovati tra i suoi effetti personali.

I colleghi dell’Istituto di Fisica di via Panisperna a Roma. Da sinistra: D’Agostino, Segré, Amaldi, Rasetti ed Enrico Fermi. (da http://www.focus.it/site_stored/imgs/0003/037/olycom03-00011720h_preview.jpg)

Chiusa senza conclusioni la prima inchiesta, della scomparsa di Majorana si è continuato a parlare, indagare e scrivere per quasi 80 anni, tanto che sul “caso Majorana” sono stati stampati innumerevoli articoli e 18 libri, prodotti due documentari e una trasmissione televisiva della serie Chi l’ha visto.

Oltre all’ipotesi del suicidio, ormai quasi generalmente scartata sia per i risultati della prima indagine sia per il fatto che chi si suicida difficilmente porta con se una grossa somma e il passaporto, sono state avanzate svariate ipotesi, alcune suffragate da alcune prove, altre pure supposizioni.

Già da subito dopo la scomparsa, la famiglia considerò la possibilità che si fosse ritirato in un convento: ne cercò tracce presso monasteri napoletani, senza ottenere conferme né smentite precise, e arrivò anche a cercare di interessare alla ricerca lo stesso Pontefice Pio XII, assicurando di non volere in alcun modo interferire con le scelte di Ettore ma solo avere sue notizie: non ebbe risposte. L’ipotesi è stata successivamente ripresa da Leonardo Sciascia nel suo libro La scomparsa di Majorana e viene ora ritenuta la più probabile dal Prof. Recami, storico della scienza che da decenni studia il caso. Effettivamente, in una lettera riservata spedita dal Rettore dell’Università di Napoli all’allora Ministero dell’Educazione nazionale a conclusione della prima inchiesta nel maggio 1938, si afferma testualmente che “lo scomparso si presentava al Convento di S. Pasquale in Portici per essere ammesso in quell’ordine religioso ma non essendo stata accolta la sua richiesta, si allontanò per ignota destinazione”. Non si può perciò escludere che Majorana sia successivamente entrato in un altro ordine monastico.

Un’altra ipotesi lo vede come geniale clochard a Trapani, pronto ad aiutare gli studenti nei compiti di matematica e a discutere di fisica con conoscenti occasionali. Su questa teoria, indagò anche Paolo Borsellino, che però smentì con certezza l’identificazione di Majorana con il vagabondo di Trapani.

Una terza ipotesi, suffragata dal maggior numero di testimonianze e anche da qualche esile prova oggettiva, vede Majorana emigrato in Venezuela. Questa è la conclusione di un’indagine della Procura di Roma promossa nel 2011 e chiusa nel 2015, sulla base di una perizia dei RIS dei Carabinieri su di una foto scattata a un italiano che si faceva chiamare Bini insieme a un altro emigrato italiano, Francesco Fasani. Una prova più concreta fu fornita alla magistratura da una cartolina inviata dallo zio di Ettore, Quirino Majorana, anch’egli fisico abbastanza famoso, a un collega americano, cartolina che lo stesso Fasani avrebbe trovato nell’auto del “Sig. Bini”. Grazie anche a diverse altre testimonianze, la Procura di Roma ha concluso che lo scomparso avrebbe vissuto in Venezuela almeno dal 1955 al 1959.

A destra nella foto scattata il Venezuela, il signor Bini, che alcuni riconoscono in Ettore Majorana

Ma, se questo è vero, che ci faceva Majorana in Venezuela? Se accettiamo le conclusioni della Procura di Roma, dobbiamo necessariamente escludere l’ipotesi del ritiro in convento, perché nessuno dei testimoni ha mai affermato che il Sig. Bini fosse un missionario o un monaco.

Qui entra in gioco un’ulteriore ipotesi: Majorana si sarebbe allontanato dall’Italia nel 1938 per collaborare alle ricerche sull’energia nucleare del Terzo Reich e, alla fine della guerra, sarebbe fuggito in Venezuela. Questa congettura si basa sul fatto che effettivamente, durante il suo soggiorno in Germania nel 1933, Ettore scrisse alla madre una lettera nella quale elogiava il regime nazista e approvava quella che non esita a chiamare la “persecuzione degli ebrei”, dichiarando testualmente che con l’allontanamento di questi dagli uffici pubblici e dalle università, “l’opera del governo risponde a una necessità storica: far posto alla nuova generazione che rischia di essere soffocata dalla stasi economica”.

Recami, in un’intervista concessa a Rino Di Stefano, respinge totalmente questa ipotesi, portando esempi che dimostrano la bontà d’animo di Majorana, oltre alla testimonianza di un collega che lo definisce un sincero antifascista, e giustificando la lettera alla madre, assolutamente esplicita nel suo elogio del nazismo, come una risposta al rapporto troppo possessivo che questa aveva con il figlio. Ci pare una spiegazione assai debole, anche perché, sempre durante il suo soggiorno in Germania, Majorana aveva spedito una lettera di contenuto simile anche a Emilio Segré, facendo ovviamente infuriare il collega ebreo.

Però, indipendentemente dal fatto che Majorana abbia o meno avuto, almeno per un certo periodo, simpatie per il nazismo, l’ipotesi che abbia lavorato dalla sua scomparsa sino alla fine della guerra con i fisici tedeschi dell’Uranverein è storicamente impossibile: i rapporti segreti di questa organizzazione all’Ufficio Armi della Wermacht dal quale dipendeva, furono sequestrati dagli Alleati, sono stati recentemente pubblicati. In essi sono riportati tutti gli esperimenti e gli studi teorici eseguiti, con i nomi di chi li stava portando avanti e in nessuno di essi compare il nome di Majorana. È semplicemente impossibile che chi stendeva questi documenti (prima di tutti lo stesso Heisenberg), in un rapporto della massima segretezza ad un’autorità superiore sempre più affamata di risultati, evitasse di vantarsi della partecipazione al gruppo di uno scienziato famoso come Ettore Majorana.

Così, se effettivamente Majorana è vissuto il Venezuela almeno fino al 1959, non abbiamo la minima indicazione sul perché fosse là o cosa ci facesse.

Evitiamo di parlare di altre congetture stravaganti sulla scomparsa di Majorana, come quella che lo vede assassinato dai servizi segreti americani, suicida perché gay o fuggito dalla vita accademica perché inventore di una straordinaria macchina capace di estrarre energia dal vuoto, il cui funzionamento avrebbe poi rivelato dal convento a un allievo, che ne avrebbe tenuto il segreto temendone un uso militare.

Edoardo Amaldi, nel suo ricordo di Ettore Majorana disse che egli “aveva saputo trovare in modo mirabile una risposta ad alcuni quesiti della natura, ma che aveva cercato invano una giustificazione alla vita, alla sua vita”.

In realtà, Majorana trovò una giustificazione anche a questa con la sua sparizione, anche se non sappiamo quale sia stata. Possiamo dire soltanto che, considerato il genio di Ettore Majorana, se stabilì che nessuno avrebbe mai dovuto sapere quale soluzione aveva trovato per la sua vita, nessuno la scoprirà mai.

Vito Francesco Polcaro, scienziato dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia spaziale (Istituto Nazionale di Astrofisica), e membro del Centro per l’astronomia e l’eredità culturale dell’Università di Ferrara

Per saperne di più

  • Edoardo Amaldi, La Vita e l’Opera di E. Majorana. Roma, Accademia dei Lincei, 1966
  • Rino Di Stefano, Un’assurdità ritenere Majorana un nazista, intervista al professor Erasmo Recami, RinoDiStefano.com, 25 novembre 2010
  • Laura Fermi, Atomi in famiglia, Mondadori, 1954
  • Roberto Finzi, Ettore Majorana. Un’indagine storica. Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2002
  • Erasmo Recami, Il Caso Majorana. Di Renzo Editore, 1987 (ripubblicato numerose volte)