Questa volta – sempre uno splendido romanzo, sempre un libro molto politico, che attraversa questi tempi densi di orrori ripescati dal passato e di contraddizioni – con la consueta grazia Shafak racconta una storia di ultimi e di emarginati, nella sua Istanbul che da un po’ non visita più a causa delle purghe erdoganiane che hanno investito giornalisti, attivisti, professori universitari, oppositori politici.
Dalla Londra in cui vive da anni, Shafak parla di Leila Tequila, il personaggio principale, un nome che è tutto un programma e parte dalla fine. Si tratta di una prostituta trovata cadavere dentro a un bidone dell’immondizia, da qualche parte alla periferia della megalopoli affacciata sul Bosforo. Attorno a Leila ruotano cinque personaggi, tutti con una storia molto forte, tutti “diversi” quindi emarginati che incarnano però l’essenza di una Istanbul accogliente che come una madre non li giudica, che ha dato loro una casa e possibilità di esprimersi liberamente: “la città dove vanno a finire i sognatori e gli infelici” scrive Shafak. Nonostante i divieti, nonostante la repressione, nonostante i pregiudizi, i personaggi del libro costituiscono quel sottobosco cittadino che sopravvive al terrore, alle ingiustizie, alla marginalità creando legami con altre anime in pena.
Stiamo parlando di un cadavere, l’involucro che custodisce gli ultimi istanti di vita di Leila, eppure in questo romanzo c’è molta ironia e altrettanta empatia per gli ultimi e per la bellezza dei legami umani. Questo libro è anche un atto d’amore per una città stratificata come Istanbul, affascinante e complessa che contiene storia ad ogni angolo e la scrittura di Shafak la descrive magistralmente.
L’infanzia di Leila appare in fotogrammi, quello che ha dovuto vivere, il contesto sociale e quanto pesa ancora nascere uomini oppure donne. L’Anatolia profonda e poi la città sfavillante, le lotte tra fascisti e comunisti degli anni 70, Leila e il suo grande amore “guardavano Istanbul con occhi curiosi, come se non ne facessero parte, come se fossero soli al mondo, e la moltitudine di auto, traghetti e case di mattoni rossi non fosse che uno sfondo ornamentale, particolari di un dipinto riservato soltanto a loro. Udivano le strida dei gabbiani in cielo, e ogni tanto un elicottero della polizia, l’ennesima emergenza chissà dove. Nulla li toccava; nulla disturbava la loro pace”, racconta Shafak.

Poi quel Primo maggio 1977. Il massacro che compì la polizia sui manifestanti pacifici. I cecchini posizionati sull’Hotel Continental che sparavano sulla folla. La ricerca dei feriti negli ospedali della città. Sono tanti i momenti di storia ripercorsi dall’autrice nel libro. Si parla anche e molto dei diritti delle donne; per esempio si cita l’articolo 438 del Codice penale turco (nato a modello del Codice Rocco fascista) in vigore fino al 1990 che permetteva di ridurre di un terzo la pena per violenza carnale se il colpevole era in grado di provare che la vittima fosse una prostituta: il legislatore ha sempre difeso la norma perché “lo stupro non può compromettere la salute fisica e mentale di una prostituta”. Però nel 1990 (anno in cui è ambientata la morte della protagonista) il Paese fu scosso di fronte al numero di aggressioni perpetrate nei confronti delle prostitute e ci furono tante proteste, quindi grazie alla società civile ci fu l’abrogazione di tale articolo di legge. Per i diritti delle donne poco o nulla è cambiato a livello legislativo in Turchia; da allora però nel romanzo ci sono vari esempi di solidarietà e relazione tra le persone, diversi momenti in cui sottotraccia si respira una società civile in fermento che vuole cambiare il proprio destino. Sono temi forti, ma l’autrice narra le fragilità dei suoi personaggi e le loro storie con una tale grazia che la lettura è davvero piacevole. Le atmosfere del romanzo sono la forza di questa scrittrice tradotta e amata in tutto il mondo che riesce a coniugare sapientemente due mondi apparentemente lontani tra loro, tradizione e modernità, raccontando tanto degli esseri umani e delle loro debolezze. Parlando degli esclusi, “dei ripudiati dalla famiglia, dal villaggio o dalla società nel suo complesso… degli indesiderabili, i relitti della società, i lebbrosi del consesso civile”, Elif Shafak ci consegna un grande affresco contemporaneo e una storia positiva e luminosa. Da leggere.
Antonella De Biasi, giornalista e saggista. È stata redattrice del settimanale “la Rinascita della sinistra”. È coautrice e curatrice di Curdi (Rosenberg & Sellier 2018)
Pubblicato venerdì 20 Dicembre 2019
Stampato il 04/12/2023 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/istanbul-la-citta-femmina/