La memoria è l’unico straordinario mezzo per tenere vivi i fatti, le persone, ed è doveroso non dimenticare i genocidi, tutti, avvenuti a opera del genere umano. In Italia le emanazioni delle leggi razziali sono un esempio drammatico delle persecuzioni antiebraiche che hanno causato, nel tempo, dolori e lutti indicibili.

A novantadue anni, è nata 10 settembre 1930, Liliana Segre, superstite della Shoah, nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con il libro “Ho scelto la vita. La mia ultima testimonianza pubblica sulla Shoah” (a cura di Alessia Rastelli, con la prefazione di Ferruccio de Bortoli, edizioni Solferino, 2021) ha deciso, dopo decenni di incontri nelle scuole, di raccontare un’ultima volta la sua esperienza.

Liliana Segre a Rondine (Imagoeconomica)

Lo ha fatto a Rondine, piccolo paese in provincia di Arezzo, nella sede di un’associazione culturale, in un incontro a cui hanno partecipato studenti provenienti da tutti i paesi del mondo.

Liliana Segre nel discorso di commiato decideva di rivolgersi e ringraziare i giovani: “Ringrazio i ragazzi, quelli presenti e quelli che so mi seguono in streaming: sono tutti miei nipoti ideali. Tanto più che, non mi stanco mai di dirlo, nel mio racconto ci sono la pena, l’amore, la pietà, il ricordo struggente di quello che ero ragazzina e dalla quale oggi sono diventata nonna. Una nonna incredula, a volte incapace di stare vicino profondamente, da tanti anni ormai senza lacrime, a quella ragazzina”.

Milano. Binario 21, memoriale della Shoah. Liliana Segre e l’influencer Chiara Ferragni

Il calvario umano di Liliana Segre è molto simile ai tanti perseguitati ebrei durante il regime nazifascista. Iniziava l’incubo. Liliana una volta arrestata assieme al padre veniva coinvolta in una serie di vicissitudini giudiziarie. Iniziava il triste pellegrinaggio in alcuni penitenziari del Nord: Varese, Como, infine San Vittore a Milano. E il 30 Gennaio 1944 partiva su un carro bestiame al “Binario 21” della Stazione Centrale di Milano, destinazione Auschwitz.

Milano. Binario 21, il memoriale della Shoah (Imagoeconomica)

Continua Segre: “fummo stipati con estrema violenza nei carri bestiame. Non c’erano solo i nazisti. Ad aiutarli erano anche zelanti fascisti, erano i nostri vicini di casa, erano persone che non ebbero pietà”. Il racconto all’interno nel lager tedesco è disumano e terrificante: “Ci tolsero tutto, non ci lasciarono un fazzoletto, un libro, una cartolina, una fotografia… Nulla della nostra vita precedente. Vestivamo con le divise a righe, forse qualcuno le avrà viste al cinema, che non erano della nostra misura, zoccoli ai piedi e un fazzoletto in testa”.

L’identità degli internati veniva letteralmente violata e calpestata. Nulla doveva rimanere nella memoria della gente. La senatrice rimaneva sola, in balia degli eventi luttuosi. Era il 6 febbraio 1944. Liliana Segre con la matricola 75190 veniva inserita e destinata a lavorare in una fabbrica di munizioni assieme ad altre 700 donne che turnavano giorno e notte.

Prosegue la senatrice: “Lavoravamo tutto il giorno senza sapere l’orario perché nessuno di noi aveva un orologio, nessuno di noi poteva chiedere l’ora, nessuno di noi poteva chiedere niente. Poi tornavamo indietro alla sera: la fiamma o il fumo e capivamo, se avevano già fatto il loro lavoro o se invece erano in azione”.

Malchow era un campo di lavoro e sterminio situato nell’omonima città in Meclemburgo, Germania settentrionale, faceva parte del complesso concentrazionario femminile di Ravensbrück. Fu operativo dall’inverno 1943 e venne liberato dall’Armata Rossa il 2 maggio 1945

In quel contesto, racconta Liliana Segre, quando stavano per arrivare gli Alleati, avveniva una cosa importante e incredibile: “Era il 1° maggio. Mi camminava vicino il comandante dell’ultimo campo di Malchow. Era un uomo crudele, aveva un nerbo di bue che portava con sé e con cui distribuiva nerbate a noi che eravamo ormai quasi insensibili. Era un uomo alto, elegante. Si mise in mutande. Buttò via la divisa. Era vicino. Non mi aveva mai considerato, né me né alcuna altra prigioniera, per lui non esistevamo. Ma io sì che avevo osservato lui con terrore. Buttò per terra anche la pistola… Pensai, raccolgo la pistola e gli sparo… fu un attimo importantissimo, decisivo nella mia vita. Capii che non ero come il mio assassino. Non ho raccolto quella pistola e da quel momento sono diventata quella donna liberale quella donna di pace che sono anche adesso”.

Marce della morte. Con l’avvicinarsi degli Alleati, già da metà gennaio 1945, i nazisti decisero di abbandonare i campi, trasferendo gli internati e distruggendo le prove delle atrocità commesse

L’inferno all’interno al campo durava fino alla metà di gennaio 1945, quando i nazisti decidevano di lasciare il campo a causa dell’avanzata dell’esercito russo. Liliana Segre solo dopo anni di silenzio decideva di raccontare le brutture e la triste realtà dei campi di sterminio nazisti. I sopravvissuti desideravano tacere, in quanto quando decidevano di narrare le loro storie, spesso non venivano creduti.

È un libro vivo, che ha l’obiettivo primario di restituire la memoria, ed altresì capace di destare l’interesse e far riflettere sulla nostra storia nazionale antifascista, una lezione di etica e coraggio, di storia e civiltà. È un susseguirsi di riflessioni, immagini, struggenti ricordi del campo di sterminio in cui venivano uccisi il padre e i nonni materni.

Ferruccio de Bortoli, a siistra della foto, a Rondine per l’ultima testimonianza di Liliana Segre (Imagoeconomica)

Corredato da una serie di approfondimenti (nota biografica, un percorso cronologico e proposte di lettura e documenti sulla Shoah italiana) è un testo utile ai giovani (e non) che spesso dimenticano la nostra storia patria. Sono le giovani generazioni che devono diventare le sentinelle, affinché non si ripetano gli orrori del passato.

Significativa la prefazione di Ferruccio de Bortoli, che aiuta a comprendere ulteriormente quanto la Segre ha inteso esprimere nel suo ponderato lavoro: “Un Paese senza memoria è cieco, ingiusto preda di pregiudizi. È come una spugna che si beve qualsiasi menzogna, specialmente sulla Rete dove l’antisemitismo, il razzismo scorrono, purtroppo copiosi. Un Paese senza memoria non costruisce il proprio futuro”.

Liliana Segre tra gli studenti (Imagoeconomica)

L’autrice si rivolge ai giovani: “Cari ragazzi, tocca a voi. Prendete per mano i vostri genitori, i vostri professori. In questo momento d’incertezza prendete per mano l’Italia”.

Già nel gennaio 2018, quando veniva nominata senatrice a vita, Liliana Segre nel discorso di insediamento aveva ribadito: “Coltivare la memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare”.

(Imagoeconomica)

Attualmente Liliana Segre vive sotto scorta, ma questa situazione non le ha impedito di testimoniare gli orrori della guerra in tutte le sue molteplici varianti, un continuo monito a non abbassare la guardia, a non dimenticare il passato.

Significativa, infine, l’idea dell’autrice e dell’editore di devolvere i diritti d’autore alle associazioni Figli della Shoah, Pane Quotidiano e a Medici senza frontiere, un messaggio di coerenza e di altissimo valore morale.

Maurizio Orrù, esecutivo nazionale Anppia