Due in uno. Nel senso che quest’opera, pur essendo nella sua forma fisica un unico volume, ne contiene due, volutamente edite dalla Marotta&Cafiero in formato double face. Due le copertine, due le prefazioni, due le introduzioni, due le numerazioni di pagina, due gli apparati fotografici e due gli indici, perché l’autrice, Gaetana Morgese ha voluto raccontare in due momenti, dapprima con La guerra di mamma, la vera storia della sua mamma, la partigiana Maddalena Cerasuolo “la donna che salvò il ponte della Sanità, e quindi, con Dalla parte sbagliata, le vicende di quanti  contribuirono a rendere epiche e uniche le Quattro Giornate di Napoli.

Eroine ed eroi tanto veri quanto “normali”, come vera e “normale” erano la paura, la fame, la disperazione in quell’Italia che vive, dal 25 luglio 1943 al 25 aprile 1945, la stagione tragica ed epica della Resistenza al nazifascismo. Due romanzi in uno e due, quindi, le recensioni. In una. Per ricordare, a 80 anni di distanza, la forza e l’unicità delle Quattro Giornate di Napoli.

La guerra di mamma

Un libro dedicato alla partigiana napoletana Maddalena Cerasuolo. La donna che nelle Quattro giornate salvò il ponte della Sanità.

Piero Calamandrei in uno dei ritratti fotografici più noti

Era giunta l’ora di resistere; era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini”: la biografia di Maddalena Cerasuolo si apre con questa famosa citazione di Piero Calamandrei, sintesi perfetta  nei verbi “resistere – essere – morire – vivere” della forza che spinge alla rivolta verso le ingiustizie. Dare valore alla vita anche nel decidere di perderla, come spesso ci confidano nelle loro ultime lettere i Condannati a morte della Resistenza. Dare valore anche alla morte scegliendo quando, come e per quale causa morire. Dare valore alla morte significa, per chi resta, il dovere di testimoniare: solo nel ricordo, nella memoria, troviamo conferma della validità delle nostre azioni. Solo nel ricordo possiamo “vivere da uomini”.

Questa la strada scelta da Gaetana Morgese, ricordare le vicende che videro sua madre protagonista di un evento eccezionale, le Quattro Giornate di Napoli, perché dall’esempio del particolare, della vicenda narrata in famiglia, si giunga al messaggio morale universale, valido sempre e comunque: resistere, resistere e ancora resistere. Non è stato facile scrivere di quegli avvenimenti, sia per la mia inesperienza come scrittrice (mai fatto niente del genere), sia per il coinvolgimento emotivo (ho spesso bagnato di lacrime i fogli” ci confida l’autrice nella sua Prefazione specificando che “di quel periodo, che la vide protagonista di avvenimento più grandi di lei, serbava il ricordo indelebile, quelle gloriose e terribili giornate sarebbero rimaste per sempre presenti nel suo cuore e nella sua mente”.

Giornate intere passate ad ascoltare la madre narrare della sua gioventù e dell’insurrezione che scatta spontanea alla notizia che i tedeschi hanno intenzione di minare il ponte della Sanità e, rispetto alla scelta di tramandare la memoria, lei lo chiama ‘dare ordine a quei racconti’, “il rammarico di non averlo fatto quando ancora era con noi è molto forte: potevo far meglio, avere dettagli importanti che giocoforza ho dovuto ricostruire”.

Una delle eroiche donne della Quattro Giornate, Maddalena Cerasuolo, con Antonio Amoretti sedicenne

Da qui la scelta, felice e efficace, della narrazione in prima persona: gli avvenimenti si snodano davanti al lettore con i pensieri, le parole e le molte azioni narrate, in prima persona dalla stessa ‘Lenuccia’, poco più che adolescente. “Quel mattino del 28 settembre del ’43 mi alzai prestissimo, non era nelle mie abitudini, ma sentivo che quello era un giorno particolare: è questa la voce di Maddalena Cerasuolo, voce che risuona nella mente e nel cuore della figlia Gaetana e quindi in noi lettori, che leggendo ne seguiamo le vicende ammirandone il coraggio un po’ spavaldo, molto femminile.

Napoli 2 ottobre 1943. Corteo funebre per i Caduti delle Quattro Giornate

Napoli arriva a quel 28 settembre devastata dapprima dai tre anni di bombardamenti degli Alleati, almeno 25.000 i morti tra i civili: tra i fatti più tragici la devastazione della Basilica di Santa Chiara del 4 dicembre 1942, lo scoppio della nave Caterina Costa nel porto il 28 marzo 1943, 600 morti e 3.000 feriti, o il bombardamento del 4 agosto 1943 che causa la fine di più di 3.000 persone, oltre alle macerie, alla distruzione della rete idrica ed elettrica, ai generi alimentari sempre più difficili da reperire. Un inferno.

Una testimonianza fotografica delle Quattro Giornate di Napoli dall’archivio Anpi nazionale

Raccontare quel giorno è un dovere, lo sottolinea Antonio Amoretti nella sua Introduzione: “Gaetana Morgese ha narrato ciò che accadde ai moltissimi cittadini che si erano rifugiati nel Ricovero antiaereo al n.4 di Piazza Mario Pagano nel quartiere stellas, ritenendolo molto sicuro. (…) Quel bombardamento, il più devastante degfi oltre 100 che subì la nostra città, colpì solo pochi obiettivi militari e non risparmiò quasi nessuna strada.(…) Napoli dovette estrarre per giorni dalle macerie migliaia di corpi straziati”.

Ma la Storia cambia le carte: il 9 luglio 1943 sbarcano gli alleati in Sicilia e il 25 luglio cade il fascismo: dopo la prima umana euforia gli antifascisti napoletani iniziano a organizzarne la Liberazione mentre con l’armistizio di Cassibile dell’8 settembre le forze armate italiane si trovano allo sbando e numericamente inferiori ai tedeschi, e non solo in Campania. Tentativi di rivolta si hanno alla Caserma Zanzur, alla Caserma dei Carabinieri «Pastrengo» e al 21º Centro di Avvistamento di Castel dell’Ovo mentre il generale Ettore Deldetto consegna Napoli all’esercito tedesco e fa affiggere manifesti che puniscono gli assembramenti in strada con esecuzioni sommarie. Una situazione inaccettabile che trova il punto di non ritorno con l’emanazione della Legge Sholl che obbliga trentamila giovani napoletani al reclutamento forzato, pena la fucilazione.

È qui che entrano in gioco le donne, madri, mogli e anche figlie, come Maddalena: “Mio padre, assieme ad altri amici (che avevano partecipato alla Grande Guerra) si erano già armati cercando di organizzare una certa resistenza, vista l’assoluta assenza delle ‘istituzioni’, sia dello Stato che della città. (…) Ascoltai in silenzio gli ordini impartiti a tutti i presenti (persone che avevano aderito sposntaneamente); erano specialmente uomini, tutti renitenti al famoso editto Sholl. Mi intromisi con un ‘Vado pure io’”.

Inizia così, con un semplice “vado pure io” la storia eccezionale di una ragazza normale, innamorata della vita, della sua bella e grande famiglia e anche della sua città Napoli e del suo quartiere Stella dall’immenso e caldo cuore popolare.

Il generale britannico Bernard Law Montgomery

Da quel ‘vado pure io’ scaturiscono le molte partecipazioni attive, lei è armata di fucile, e lo usa, alle molte azioni di resistenza urbana: la più famosa è quella in difesa del Ponte della Sanità, minato dai guastatori tedeschi per la sua importanza strategica nel quartiere sia come via di comunicazione che come ramo di alimentazione della rete idrica. Azione eroica per la quale riceve la medaglia di bronzo al valor militare direttamente dalle mani del generale Montgomery.

Così Lenuccia diventa ‘Maria Esposito’, questo il suo nome di battaglia, e collabora, dopo un periodo di addestramento militare, fino all’8 febbraio 1944 con i servizi segreti britannici: non ha paura di nulla, né dei motosiluri su cui viaggia in mare aperto né del paracadute che le fa passare le linee nemiche oltre Montecassino per capire segreti ai tedeschi. Coraggio, determinazione, lealtà e fermezza, forse un pizzico di “follia”, che non manca mai agli eroi. Una vita da film che vale la pena conoscere.

Lo dice proprio lei nelle ultime parole di questa breve e intensa biografia: “Forse chi fa le cose con il cuore, chi ama la patria, il proprio padre, il posto dov’è nato, la famiglia, il prossimo, e di contro odia il sopruso, l’arroganza, la sopraffazione e non ce la fa a farsi i fatti suoi, cioè non resta indifferente di fronte alla malvagità umana ma la combatte, è giudicato così: fuori dai canoni, uno che non ci sta con la testa. Un pazzo, appunto. Allora sono felice di essere stata giudicata così”.

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Dalla parte sbagliata. Napoli sotto assedio

Mentre la copertina de La guerra di mamma è un intenso ritratto fotografico di Maddalena Cerasuolo in bianco e nero, lei elegante e risoluta guarda l’obiettivo e noi lettori dritto negli occhi, una bella immagine che arriva dalla collezione di famiglia, quella di Dalla parte sbagliata è invece volutamente simbolica. L’immagine elaborata da Tiziana Mastropasqua inquadra un corpo di donna, l’abito è nero, la giovane è di spalle, le sue mani trattengono delicatamente un lungo fiore rosso, credo un ranuncolo di campo, con un piccolo bocciolo. La vita che sboccia, colorata e svettante, nonostante tutto: il buio della guerra, la morte, la distruzione.

Si, perché questo secondo romanzo di Gaetana Morgese amplia l’obiettivo e, pur partendo dall’esperienza singolare della madre, narra i fatti di un intero quartiere, di un’intera città.

Quattro Giornate, la distribuzione delle armi

“Uscirono tutti come tanti Masaniello a combattere per difendere ciò che non era stato difeso. Uscirono tutti come alle adunate oceaniche di recente memoria, ma questa volta per riprendersi ciò che gli era stato tolto: la libertà; per sancire con il proprio sangue la volontà di cambiamento, per mettere la parola fine a quella scellerata alleanza con il nazismo”: così l’autrice nella prefazione specificando “quello che qui racconto è ciò che subì la gente di una città abbandonata a sé stessa nei lunghi mesi del periodo antecedente le Quattro giornate”.

Un flash back narrativo fondamentale per contestualizzare e capire le radici della forza e della rabbia dei napoletani, le vere munizioni che permisero la vittoria contro i tedeschi. Nel 1943 a Napoli si viveva come topi, sotto i tunnel ferroviari, nelle caverne e nelle fogne, in ricoveri lesionati e pericolanti, si rischiava la vita per portare a casa un pezzo di pane, si assisteva impotenti alla distruzione di tutto il patrimonio cittadino. Un’estate di fuoco e di sangue dilagò sulla città mentre gli aerei nemici colpivano indiscriminatamente”: nella sua introduzione Aldo De Gioia ringrazia questo popolo di guerrieri che salva Napoli e le sue meraviglie.

Sono quindi gli abitanti del rione Sanità i veri protagonisti di questo racconto, una manciata di personaggi che ne sintetizzano la moltitudine e che ruotano attorno a Salvatore, secondogenito di una numerosissima e coesa famiglia che ha scampato l’arruolamento nell’esercito lavorando nell’industria bellica.

Antifascista e anticlericale, diventa la voce narrante e l’anima pulita di questa nuova gioventù italiana che cresce tra i bombardamenti e sa guardare al futuro. Una narrazione che, seppur straziante nella descrizione delle tragedie che la guerra infligge al Rione Sanità e ai suoi abitanti, sa illuminarsi con piccoli bozzetti di vita quotidiana. La fragile serenità della famiglia che, scappata da Napoli trova rifugio e placa la fame in un paese vicino, come tanti sfollati del tempo, la nascita dei primi amori, i piccoli divertimenti con poco, una sala da ballo improvvisata in una corte con una radio gracchiante, la gioia di una giovane madre che ritrova vivo suo figlio neonato tra le macerie, il sapore di una carruba, l’unico cibo trovato e rubato ad un ronzino che riposa, l’acqua che scende gocciolante da una fontanella e sotto la quale lavi la fronte accaldata.

Scene di vita normale che si incastrano in un panorama costellato di polvere e sangue, in una città che conta i morti e i dispersi a migliaia e che riesce solo nel marzo del ’44 a ritrovare, lentamente, un po’ di speranza mentre la guerra procede, terribile, verso nord.

Facciamo così nostre le parole con le quali l’autrice chiude il suo lavoro, parole che racchiudono il senso stesso della lotta per la Liberazione: la costruzione di un mondo migliore.

Lentamente la vita di Napoli ritornò alla normalità, gli americani, dopo aver causato tanti danni, aiutarono a ripristinare ciò che era stato distrutto. Anche quel periodo non fu facile, ma nonostante i disagi i napoletani riuscirono a riprendersi la speranza, e la voglia di normalità ebbe il sopravvento su tutto. ‘Jamme annanze!’, come a dire ‘La vita continua!’ era sulla bocca di tutti. Si prepararono ad affrontare un dopo guerra pieno di incognite ma fiduciosi di farcela, perché toccato il fondo c’è solo la risalita”.

Elisabetta Dellavalle