Che bello leggere questo libro, scorrevole, interessante, vivo. Unico, come la vita di ognuno di noi. Ne “I Pensieri di un partigiano”, il senso della parola ‘partigiano’ si appropria del significato più reale e irripetibile. Protagonista è l’individuo che si fa strumento della storia, che sceglie liberamente di dedicare la propria Unicità al bene della Collettività. Per farlo si cambia identità, sceglie un nome di battaglia meraviglioso e evocativo – Furore, Fiamma, Resistere – o delicato e poetico – Ulisse, Primula, Atos –  e, dimenticata la vita quotidiana che si perde nella nebbia che precede il fascismo e la guerra, diventa ‘altro da sé’, una partigiana, un partigiano.

Si tratta infatti di una narrazione personale, intensa ed emotiva, ma anche estremamente seria ed attenta alla realtà storica: i “fatti individuali” vissuti dall’autore vengono sempre contestualizzati storicamente in modo attento e lineare, senza “dar nulla per scontato” e preparando il lettore, ogni tipo di lettore, a comprendere il rapporto causa-effetto tra la grande e la piccola storia nell’Italia della prima metà del Novecento.

Una foto del gruppo di combattimento “Cremona”

L’eccezionalità dell’esperienza di Rolando Fontanelli, nome di battaglia “Il Magro” dati i 53 chilogrammi su un metro e 70 di altezza, sta tutta nella scelta personale che opera nel momento storico nel quale il giovane si trova a vivere: nato l’8 marzo del 1924 nel quartiere di Santa Maria a Empoli, a soli 19 anni sceglie di partire, il 13 febbraio 1944, con i 530 Volontari della libertà e quindi unirsi alla Divisione Cremona. Una scelta di campo e di vita “normalmente speciale” che è stata scritta dall’autore grazie alla dedizione di Bianca Lotti, sua compagna di tutta una vita, ed è arrivata alle stampe grazie ad Andrea Vitello, che cura il volume con Jacopo Nappini.

Così Vitello sottolinea nella premessa il coraggio e l’eroismo di quanti allora scelsero la strada dell’antifascismo: “Oggi ormai diamo per scontato che la scelta più ragionevole per l’epoca fosse opporsi al fascismo e al nazismo, diventandone oppositori o, in questo caso, un partigiano. In verità non era affatto così, infatti si viveva in un periodo in Italia in cui la maggioranza delle persone era disposta ad essere fascista a causa della propaganda e dell’educazione che i ragazzi assorbivano in quel periodo; di conseguenza era difficile poter maturare una coscienza critica ed essere degli antifascisti perché si sarebbero perse varie opportunità sociali ma soprattutto lavorative”.

Il presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo

Ed eccoli, Passato e Presente uniti da un’unica, triste, certezza. La permanenza di diseguaglianze civili e sociali incolmabili, soprattutto nel mondo del lavoro di ieri e di oggi, diventa il filo che unisce, accomuna chi racconta e chi legge: “Ho letto questo libro sul passato e ho pensato al presente, ai riders, ai morti sul lavoro, al lavoro che non c’è o se c’è è sottopagato”, sottolinea Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi, nella postfazione al volume – che ha inoltre ricevuto il patrocinio culturale del comitato provinciale Anpi Pisa – aggiungendo: “siamo travolti da internet, dai social, dalla dittatura dell’algoritmo, dall’auto elettrica, dall’intelligenza artificiale, c’è un mondo che spesso non vediamo: quello dei poveri, che fanno la fila alla Caritas per un pasto caldo”. In queste parole tutta la valenza educativa di un memoriale come questo che, nella sincerità della narrazione dell’autore, mette in evidenza valori comuni mai superati: consapevolezza, impegno, lotta contro le disuguaglianze.

Scarsità di lavoro, fame, povertà vanno di pari passo, nella vita di Rolando, con l’antifascismo: “La nostra famiglia viveva nella miseria come tante altre, eravamo al tempo del fascismo e il lavoro per tutti non c’era. Per mio padre, un antifascista, era impossibile trovare lavoro! Solo mia madre portava a casa qualche soldo, era rivestitrice di fiaschi”: così l’autore racconta nell’importante primo capitolo, tutto dedicato alla figura del padre Angelo, l’unico contadino della zona che sapesse leggere e scrivere, e all’inferno della Grande Guerra da lui combattuta.

Benito Mussolini lancia la campagna del grano

Racconta di una società chiusa e razzista, della vita grama dei contadini e della loro miseria, dell’ignoranza, dell’analfabetismo. Racconta delle ingiustizie dei padroni al potere, di come pretendessero i due terzi del raccolto, il pollame migliore e l’inchino per strada. Ma ancora peggio, racconta che persino nella ‘casa di Dio’, in chiesa, le differenze sociali venissero sottolineate e rimarcate. “Vi erano le poltrone per i signori e le panche dei poveri. Le signore tenevano un fazzoletto profumato sotto il naso perché in chiesa i contadini puzzavano di stalla e i loro zoccoli rumorosi puzzavano di grasso di maiale”.

È infatti grazie al padre Angelo che Rolando cresce nell’antifascismo e nella lotta per la giustizia sociale e non stupisce, quindi, che, come racconta nel capitolo “I miei ricordi al tempo del fascismo”, rammenti bene i ‘fatti criminosi’ compiuti nel tempo che lui chiama della ‘gloria fascista’, quando “erano tempi duri per gli oppositori della dittatura (…).

Il paese di Santa Maria e altri paesi dell’empolese erano un covo di comunisti, come diceva il fascista federale empolese Bertelli, un maestro delle scuole elementari”. Dal 1924 in poi e punizioni per comunisti e antifascisti erano quelle che sappiamo: grandi porzioni di olio di ricino a chi non possiede né porta la camicia, dolorose bastonate a chi stampa e diffonde stampa clandestina. Nei casi più gravi si muore per il dolore o si resta, come nel caso del padre di Remo Guazzini, il comandante ‘Guazza’, capo della Brigata partigiana Garibaldi nella zona di Genova e membro del Clnai, invalidi per tutta la vita.

Il ricordo di Rolando Fontanelli prosegue tratteggiando le difficoltà, singole e universali, dell’Italia che entra nel Secondo conflitto mondiale: la paura, la fame, le tessere annonarie: “I ricchi vivevano bene, al mercato nero si trovava un po’ di tutto”. Lui, ragazzino di 16 anni, prima lavora alla Vetreria Taddei & Mainardi  poi organizza con un amico una vera e propria ‘macelleria clandestina’ e la famiglia ricomincia a mangiare tutti i giorni e ad aiutare chiunque ne avesse bisogno. Sull’arrivo del 25 luglio 1943 e sulla ‘grande gioia’ che si diffonde tra gli italiani stremati dalla guerra scrive: “si aveva la sensazione che si ricominciasse a vivere. Forse”.

A Cuorgnè, nell’estate 1944  il gotha della XMas. Nella foto, Junio Valerio Borghese (alla guida) in visita al “Barbarigo” reduci dal fronte

Forse, avverbio di fondamentale verità. Sappiamo bene che non fu così, almeno non per tutti. Tanti, e qui non tutti, gli avvenimenti tragici di quei mesi: lo sbarco degli alleati in Sicilia, il governo Badoglio, la vergognosa fuga del Re, l’armistizio, l’Italia divisa in due, il ritorno di Mussolini e la Repubblica di Salò che richiama alle armi le leve del 1924, 1925, 1926, la rinascita delle Case del Fascio nelle grandi città del Nord, l’occupazione tedesca. “Da quei giorni assistemmo ad una lotta fratricida tra il bene e il male, fra partigiani e fascisti. Da parte dei criminali tedeschi e fascisti avvennero fatti delittuosi e atrocità inimmaginabili, anche contro la popolazione inerme”, ricorda Rolando. Nelle caserme di Milano, Salò, Como, Brescia si formano le famigerate brigate nere dai nomi ancora oggi sinonimo di ingiustizia e violenza: Folgore, Decima Mas, Ettore Muti.

Partigiani delle brigate Garibaldi

La narrazione di Rolando si avvicina via via al ‘cuore’ della vicenda personale e, dopo un’introduzione storica sulla nascita delle formazioni partigiane in assetto militare nelle varie collocazioni politiche – le brigata Garibaldi (comunisti), le brigata Matteotti (socialisti), le brigata Giustizia e Libertà (Partito d’Azione), le brigate Autonome, unitamente alle formazioni cristiane e di altra matrice ideologica – si sofferma sulla nascita dei Comitati di Liberazione Nazionale e sulla eccezionale insurrezione di Napoli contro tedeschi e fascisti delle gloriose ‘Quattro giornate’, dal 27 al 30 settembre 1943.

L’autore si sofferma anche sulle stragi terribili, indescrivibili, che le truppe tedesche fecero nel corso della ritirata da Roma, sulla Resistenza in Toscana, con particolare attenzione ai fatti del Monte Amiata, di Grosseto, di Siena, di Firenze: “La Toscana è sempre stata una regione antifascista (…) la grande maggioranza degli italiani non era fascista, ma un popolo civile e democratico”.

Monte Amiata

Si arriva, così, portati per mano da una scrittura agile e appetibile, al capitolo quinto, “Sono un partigiano” nel quale l’autore descrive passo passo il suo arrivo tra i boschi del Montalbano. Qui, in qualche baracca di legni e di frasche, trova ragazzi renitenti alla leva come lui e, con altri giovani partigiani, anche soldati russi, ucraini, un francese. I pensieri e le condizioni di vita del partigiano ‘Magro’ sono simili a quelli dei tanti che hanno operato la stessa scelta, così come le azioni di sabotaggio, la paura delle rappresaglie, il rapporto di fiducia e di reciproco aiuto con la gente del posto. All’ottimismo dei vent’anni si mescolano la paura e la consapevolezza dell’importanza delle loro azioni, del loro ‘essere partigiani’, motivo di orgoglio per lui e per tutti i suoi compagni. Le pagine scorrono nella narrazione delle azioni di guerra tra l’Arno e il Montalbano e sulle stragi efferate, disumane, indimenticabili compiute dai nazisti e dai fascisti lungo la Linea Gotica.

Il pensiero dell’autore si sofferma, attonito, nel ricordo dei paesi ‘Martiri della ferocia nazifascista’ di Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema, quindi sulle stragi di civili e partigiani alle Cascine, a Marradi, a Greve in Chianti, a San Miniato, a Empoli, Scandicci, Padule di Fucecchio, Coiano di Prato, Viareggio, Pietrasanta, Seravezza: “ci furono tanti altri eccidi e rastrellamenti che ora mi è difficile ricordare” ammette rassegnato di fronte a tanta incredibile barbarie.

I territori attraversati dalla Linea Gotica, l’opera fortificata tedesca che dall’agosto 1944 divise l’Italia liberata da quella ancora occupata

Alla fine del luglio 1944 “nell’aria si avvertiva che il momento della Liberazione stava per arrivare” e i partigiani liberano Prato e Pistoia e anche Empoli, gravemente bombardata dagli inglesi il 26 dicembre del 1943. Rolando è protagonista in prima persona della liberazione di Vinci, un ‘paese pieno di macerie’ dove i carabinieri consegnarono a lui e ai pochi compagni partigiani le armi ‘volentieri’ e li accolsero nella loro caserma per la notte. Lì la guerra era finita, ma non così nell’Italia del Nord e “da Empoli e da tutta la Valdelsa 530 giovani volontari si arruolarono nelle divisioni Cremona, Legnano e Isonzo”. Rolando è con la Cremona e ci racconta di terribili battaglie notturne, illuminate dalla luce dei bengala, sulla Linea Gotica. Ricorda nomi e lealtà dei nuovi compagni, la morte di alcuni di loro, forse i migliori. Conquistate le linee nemiche l’avanzata continua verso Codigoro, Cavarzere, Ferrara. Genova si libera da sola con 5 giorni di durissimi combattimenti – 300 morti e 2.000 tra feriti e mutilati, civili e partigiani – come tutte le altre città del Nord Italia.

La campagna elettorale per le elezioni italiane del 1948

“I Pensieri di un partigiano” si chiudono con il felice ritorno a casa “ci furono grandi festeggiamenti per noi, riunioni politiche, cene, serate di ballo e tutti insieme cantavamo le canzoni partigiane brindando alla fine della guerra” ben presto contaminato dall’amarezza della realtà: “per gli operai non cambiò nulla, continuò lo sfruttamento della manodopera” e ancora “furono esaltate le grandi vittorie americane e inglesi, cercando di sminuire la lotta partigiana”.  Il tutto si conclude, almeno per Rolando, con una certa amarezza personale e politica dovute sia ai risultati del Partito Comunista Italiano alle elezioni del 1948, che alla nuova impostazione, settaria e rigorosa, del nuovo Pci.

Rolando sceglie di starne fuori, ma con il dolore di chi era, e sempre sarà, “un uomo di sinistra”. E uomo di sinistra Rolando è stato per tutta la vita, continuando a portare la sua esperienza di antifascista e partigiano attivo nell’Anpi – è Medaglia della Liberazione nel 2016 – con interventi nelle scuole, nei dibattiti pubblici, nelle commemorazioni fino al 3 agosto 2020, quando ci lascia all’età di 96 anni. Ma, in realtà, uomini così non ci lasciano mai.

Tra le tante, belle e tragiche, immagini a corredo inserite nel volume, una rende al meglio la profondità della tragedia nella quale si trovò l’Italia di allora e, allo stesso tempo, l’energia e la certezza di un futuro migliore: a pagina 98, con il titolo ‘La guerra è passata’ un’istantanea in bianco e nero ferma l’immagine di un ragazzino bruno, giacchetta chiara e le mani nelle tasche dei corti pantaloni neri, che se ne sta fermo, in posa, in piedi su un cumulo di macerie. Guarda fisso in camera, serio, senza moto. Non chiede nulla, non fa nulla. Guarda davanti a sé, serio e compito. Non è un bambino, è un adulto giovane che ha visto e sentito già troppo nei suoi pochi anni.  Tace e sta lì ad indicare, con la ferma presenza del suo corpo sulle macerie, che quello che è stato non dovrà accadere mai più. Non sarebbe dovuto accadere mai più.

Elisabetta Dellavalle