Enea, comandante Carlos, Don Manuel, Prieto Lopez, Pedro Garcia. Tanti nomi, tante identità, tanti travestimenti, ma una sola persona, un solo cuore e una sola testa. Con dentro il mondo. Figlio di operai dei cantieri di Trieste, giornalista, professore di storia. Ma soprattutto militante politico, sempre da una sola parte: il comunismo. Era questo Vittorio Vidali, classe 1900, conosciuto come Vittorio Vidale o con i suoi innumerevoli pseudonomi e nomi della battaglia antifascista.
La sua storia, una storia che accumuna centinaia di militanti, ma che oggi ci appare straordinaria, emerge con prepotenza e delicatezza dalle pagine di una ricostruzione biografica curata da Diana Napoli (Il mondo in testa, Vittorio Vidali, scene di vita di un rivoluzionario di professione, Manni editore, 2023).
Molto precisa la definizione di militante nella prefazione di Luciano Canfora: «Quando si militava come militò, senza risparmiarsi, Vittorio Vidali, chi si impegnava con tutto il proprio essere era persuaso che il mondo fosse sull’orlo della svolta epocale, che il socialismo fosse alle porte dovunque e che il “primo Paese socialista” come allora veniva chiamata l’Urss andasse difeso senza tentennamenti, sempre e dovunque. Chi non capisce questa situazione storica potrebbe fare a meno di occuparsi non solo di Vittorio Vidali, ma di gran parte della storia del Novecento…». E infatti uomini come Vidali hanno avuto una doppia sfortuna.
La loro immagine era deturpata dai contemporanei e non è compresa oggi dai nostri contemporanei che non hanno più esperienza di quelle forme di militanza. D’altronde, dice sempre Canfora, anche Giuseppe Garibaldi, ai suoi tempi, era considerato poco più di un bandito. La stessa cosa vale per Vidali: ai suoi tempi (fascismo, guerra di Spagna, Resistenza, dopoguerra), essendo un rivoluzionario di professione era ricercato dalle polizie fasciste ed era bollato come uno spietato killer. A un certo punto si mandò perfino in giro la falsa notizia su un Vidali attentatore contro Trockij. Oggi appare all’opinione pubblica ben pensante solo come una specie di marziano che ha dedicato la vita (mettendola a rischio più di una volta) alla grande “illusione”.
Vidali è stato un comunista e un militante tutto di un pezzo, ma mai schierato “a prescindere”, della serie “allineati e coperti”. Ovviamente il faro per lui era l’Urss, dove è stato per qualche anno come rappresentante del partito italiano. Il faro erano le direttive del partito con le indicazioni da seguire ed eseguire alla lettera. Ma mai in modo acritico e passivo. Il suo carattere irruento lo portava spesso alla contrapposizione con le idee dominanti, anche se queste provenivano dalla scrivania dello stesso Stalin. Nel corso della lunghissima esperienza politica (morì a Trieste all’età di 83 anni), ci sono stati vari episodi critici, varie discussioni e polemiche con i capi. Ma Vidali rimase sempre dentro il partito, anche se in tarda età con posizioni e funzioni molto più distaccate rispetto a quelle degli anni gloriosi della lotta antifascista, della militanza nelle squadre antifranchiste in Spagna o nel Soccorso Rosso Internazionale.
I momenti più difficili della militanza e della vita (elementi coincidenti per Vidali) furono sempre legati alle scelte internazionali del partito sovietico e quindi del Pci. Ne possiamo individuare almeno quattro, ma nella ricostruzione di Diana Napoli sono molti di più e molto approfonditi.
Il primo grande evento-sbandamento è stato il patto Ribbentrop-Molotov, una scelta tattica della Russia sovietica che ha creato una specie di terremoto mondiale nella file comuniste. Poi ovviamente gli altri momenti tragici, di grande tensione etica e politica solo legati all’attività imperialistica e dominante dell’Urss staliniana, con l’invasione dell’Ungheria (1956) e poi della Cecoslovacchia (1968). Ma per Vidali, che era di Trieste e che si sentiva portatore di una sinistra mitteleuropea, un’altra grande questione è stata quella relativa al rapporto del Pci italiano con il Pcus a proposito della “deviazione” di Tito. Per Vidali causa di grandi discussioni all’interno del partito e anche di grandi sofferenze umane.
Punto di discrimine storico il XX Congresso del Pcus (1956), durante il quale il primo segretario del Pcus, Chruščëv, espose la propria relazione intitolata “Sul culto della personalità e le sue conseguenze”, passata alla storia anche come Rapporto segreto su Stalin. Le conclusioni di quel Congresso non furono mai digerite da Vidali e come lui da tanti militanti in diversi Paesi. Nel 1961, durante un comitato centrale del Pci, intervenne anche Vidali, davanti a Togliatti, Longo, Amendola, Terracini, Pajetta, Ingrao, Secchia. “L’intervento di Vidali – racconta Diana Napoli – fu breve. Era preoccupato perché ormai i giovani pensano che i vertici del Pci fossero una banda di sadici assassini asserviti a un feroce dittatore e autori, negli anni Trenta, dei peggiori delitti”. Riflessioni che Vidali aveva continuato ad appuntare sulle pagine del suo diario che lo ha accompagnato in tutte le fasi della sua esperienza politica.
E qui emerge un punto politico decisivo per capire tutta l’esperienza di militanza di un uomo come Vidali, per il quale era impossibile, pur con tutte le critiche, prendere davvero la distanza da Stalin. E soprattutto, pensava Vidali, è stato sbagliato prendere le distanze nella formula liquidatoria proposta e imposta dal XX Congresso. “Vidali – scrive ancora Diana Napoli – non aveva bisogno del XX Congresso per riflettere su Stalin, tanto che al termine della guerra di Spagna aveva saggiamente scelto di seguire i consigli della Stasova e di non rientrare in Unione Sovietica.
Ma Stalin non era stato il segretario di un partito e nemmeno un’ideologia; era stata una scelta di campo, l’accettazione di un orizzonte a cui ci si era aggrappati con forza contro i fascisti, il punto di incontro di tanti destini individuali, in alcuni momenti la speranza di vittoria, in altri la certezza, il riscatto incondizionato, il rifiuto di ogni esitazione, una linea di confine netta, visibile, d’acciaio, oltre la quale c’era solo da combattere. Che cosa significava dunque prendere le distanze?”. È stato questo il tormento politico ed etico che ha accompagnato Vidali nel corso di tutta la sua vita, fino al giorno della morte.
Ed è anche una lettura originale di questa figura di militante che era stato sempre raccontato come un uomo tutto d’un pezzo, un uomo senza scrupoli che non ebbe mai paura di usare le armi contro i nemici fascisti. Una immagine di militante che ha accompagnato Vidali in tutte le sue esperienze: da quelle nel Soccorso Rosso Internazionale, accanto alla splendida Tina Modotti, fino alle esperienze amministrative della tarda età.
Nella ricostruzione di Diana Napoli emerge invece una figura molto più complessa e articolata. Un militante convinto fino alla morte della causa del socialismo, ma non un esecutore stupido delle direttive dei vertici o dei grandi capi, fossero loro anche personaggi quasi epici, come Lenin, Stalin, Trockiy.
Vidali era stato capace di sparare e non è si mai tirato fuori dalle battaglie e dalle azioni, anche le più pericolose. Ma era un uomo capace di riflettere sulle contraddizioni della politica e di ripensare e studiare gli avvenimenti e i personaggi. In più di una occasione, lui che era stato uno stalinista convinto, disse per esempio di essersi pentito di aver insultato, attaccato e deriso quello che in fondo era un rivoluzionario onesto: Trockij, che evidentemente, con il senno del poi, non era stato un traditore della causa comunista.
Nel libro di Diana Napoli c’è tutto questo e molto altro, perché è una ricostruzione biografica basata sulle scelte dell’uomo Vidali, più che su una serie di avvenimenti determinati esclusivamente dalla grande politica. Il libro segue lo svolgimento dei fatti della grande Storia e della storia personale di Vidali attraverso un percorso cronologico. La scelte dell’autrice è stata ovviamente facilitata dalla fonte principale del libro: le pagine del diario dello stesso Vidali. Così troviamo la ricostruzione delle sue esperienze in Spagna e poi in Messico.
Le azioni rivoluzionarie e antifasciste della gioventù e l’impegno politico più posato della maturità dal giorno in cui, finita la guerra, Vidali tornò nella sua Trieste, dove il partito lo chiamò a un certo punto per responsabilità istituzionali nell’amministrazione pubblica locale. Nelle pagine del Il mondo in testa troviamo le scelte umane, concrete e contingenti di Vittorio Vidali, alias Enea Sorrenti, Carlos Contreras, Don Manuel, Prieto Lopez, Enea Guglielmi, Pedro Garcia. Il rapporto con Il Lavoratore, giornale di Trieste che gli dedicherà uno speciale nell’anno della scomparsa. Italo Calvino aveva parlato di Vidali su l’Unità nel 1949.
Molto intense in particolare le pagine sul rapporto di amore con Tina Modotti, una delle più grandi fotografe dell’inizio del XX secolo e figura importante e iconica nella storia del comunismo mondiale. Nata a Udine, morì in Messico dove visse anni di grande amore e di grande passione politica accanto a Vidali, con il quale condivise anche l’esperienza del Soccorso Rosso Internazionale. Un amore mai cancellato, nonostante i tanti rapporti sentimentali di Vidali con una fama da rubacuori e che ebbe anche un figlio da un’altra donna. Ma una donna come Tina Modotti non si dimentica ed è stata una scelta azzeccata quella di pubblicare un suo scatto sulla copertina del libro: Una falce e martello appoggiate su un sombrero. La rivoluzione mondiale nel contesto della rivoluzione messicana. Il mondo nella testa di un militante mai pentito.
Paolo Andruccioli
Pubblicato venerdì 15 Dicembre 2023
Stampato il 14/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/vittorio-vidali-militante-del-mondo/