Il fatto che Buscaglione sia ancora così attuale significa solo una cosa, che la sua era arte […]. E che a suo tempo è stato un innovatore […] nel cuore degli anni Cinquanta […]. In quel periodo gli artisti avevano a che fare con una censura severa, con un clima politico teso, con una morale religiosa ancora molto rigida. Lui ha avuto un gran coraggio, ma soprattutto è stato un vero artista, altrimenti non sarebbe riuscito a emergere nel clima di quel periodo. Senza convinzione artistica, sarebbe stato impossibile. Paolo Belli
La fine degli anni Cinquanta è il periodo comunemente noto come “miracolo economico”. Fase storica in cui l’Italia, da Paese a economia rurale, si trasforma in potenza industriale. Sono gli anni della corsa al benessere, della stratificazione sociale con il miglioramento del tenore di vita delle famiglie, dell’aumento dei consumi. Anche la canzone, con la nascita delle tante case discografiche, diventa un prodotto di consumo, di cui si comincia a intuire l’enorme portata. E gli ascoltatori divengono sempre più individuabili come pubblico capace di scegliere voci e stili musicali in base a gusti e interessi.
La canzone, infatti, prendeva strade diverse a seconda di chi la confezionava – produttore, etichetta, marketing, distribuzione – e del target a cui era indirizzata. Diveniva strumento di evasione e fuga dalle tragedie della guerra, con la voce da attore e la gestualità teatrale di Domenico Modugno che, nella sua Nel blu dipinto di blu, più nota come Volare, dal palcoscenico del teatro Ariston di Sanremo, le braccia aperte a evocare l’immagine di un cielo infinito in cui perdersi, nel 1958 catapultava l’Italia nel mondo.
Da qui prenderà il via la canzone d’autore. Diventando anche protesta e salvaguardia di un repertorio popolare costruito sulle lotte del passato, attraverso canzoni politiche, di lavoro, di guerra, di Resistenza. Canzoni che circolavano di bocca in bocca, recuperate mediante ricerche sul campo, nelle osterie, nelle officine, nelle campagne, dai primi etnomusicologi riuniti nel gruppo Cantacronache.
Esordivano nel 1958, Fausto Amodei, Michele L. Straniero, Sergio Liberovici, Margot, Emilio Jona, con il contributo di Italo Calvino, Mario Pogliotti, Franco Fortini, scegliendo di dare voce a quanti dai fasti del miracolo economico erano esclusi, raccontando fatti di cronaca, segno dell’esistenza di una zona d’ombra in cui erano insediati conflitti politici irrisolti, che porteranno al luglio ’60, al governo Tambroni sostenuto dal Msi, e agli spari sulla folla. In cui si nascondevano pesanti disuguaglianze sociali che vedevano protagonisti lavoratori senza diritti, morti in miniera o nei cantieri, emigrati dal sud Italia in cerca di futuro, analfabeti, disoccupati, poveri cristi. Anche da qui prenderà il via una canzone d’autore, che avrà sede nelle piazze degli anni della contestazione sessantottina.
In altre parole, la canzone diviene il laboratorio del nuovo nelle atmosfere, nei suoni e nei temi, come dimostra la musica di Fred Buscaglione, che raggiunge il suo apice tra il ’58 e il ’60. Ne emerge un racconto della società italiana, più leggero di quello evocato da Cantacronache, ma allo stesso modo sintomatico di un’epoca di luci e ombre, in cui si alternano lodi al progresso – le automobili, la velocità, gli amori frivoli e libertini, il mito americano – e il sentimento malinconico di qualcosa che si è perduto.
Canzoni lontane dai temi sentimentali trattati in modo languido, sullo stile di Grazie dei fior, Viale d’autunno, Tutte le mamme, Buongiorno tristezza e Vola colomba, diffuse dalle radio e dalla televisione, in diretta per la prima volta nel 1955 dal palcoscenico del neonato Festival di Sanremo. Erano le cosiddette “canzonette”, che parlavano di fiori e di amori o di cuori: l’importante che tutto fosse in rima.
I testi delle canzoni di Buscaglione, come quelle di Cantacronache, nascono da spunti di attualità, ma le musiche riflettono suggestioni internazionali, accolgono suggestioni provenienti dal jazz, dallo swing, dalle sonorità americane che circolano nel nostro Paese attraverso i dischi, prima furtivamente e poi, dopo la Liberazione, in quantità decisamente maggiore.
Buscaglione sarà un modello per tanti artisti che proseguiranno sulla strada da lui intrapresa attraverso la contaminazione musicale e nella creazione di un mondo con miti e leggende di un’Italia che cambia la veste esteriore, nel paesaggio e nelle mode, ma anche interiore, nel cuore di una società in cerca di sogni in cui credere.
“Un po’ tutti noi che facciamo musica in Italia abbiamo assimilato la lezione di Buscaglione – racconta Renzo Arbore intervistato da Gioachino Lanotte nel volume biografico Fred Buscaglione –. Quando io canto brani come Il clarinetto, restituisco a mio modo anche delle cose di Fred. Non in quelle napoletane, ma in quelle swing c’è una certa reminiscenza. Anche nel modo di cantare mozzato, da musicista e non da cantante definito, come era lui che cantava in modo swing”.
In questa storia Torino ha un ruolo importante. Sia Cantacronache che Fred Buscaglione qui hanno le loro radici: qui, negli stessi anni, si sono formati umanamente e artisticamente. Torino è una città segnata da una lunga storia di trasformazioni politiche e di conflitti sociali che ne hanno fatto, nel tempo, una città-laboratorio in cui sperimentare il nuovo e riprogettare più volte una diversa identità. Identità che si è fatta via via più solida, sorgendo da una base di valori fondanti: l’industria e il lavoro operaio. Negli anni del boom economico il capoluogo piemontese sarebbe diventato il traino dell’economia italiana, nuovo centro di una politica industriale e del lavoro in continua evoluzione, con la Fiat teatro di rivolte sociali, scioperi, rivoluzioni e nuovi equilibri. La presenza di una consistente realtà operaia rappresenta il substrato indispensabile per la nascita di sindacati, organizzazioni operaie, società di mutuo soccorso che avrebbero dato vita a un vivace, e talvolta aspro, confronto tra la componente operaia e le altre classi sociali.
Se nelle canzoni di Cantacronache le tematiche del mondo operaio, le lotte sindacali, gli scontri e la difesa di un sistema egualitario contro il modello padrone-lavoratore sottomesso sono molto presenti, non lo sono palesemente nelle canzoni di Buscaglione, ma ugualmente si colgono riferimenti espliciti ai cambiamenti del Paese, come per esempio le trasformazioni che l’industria dell’automobile inizia a generare.
L’automobile, spesso presente nelle sue canzoni come carrozzeria sfavillante, usata anche come allusione alle formosità della donna, nell’accostamento donne-motori – basti pensare a Supermolleggiata, canzone del 1957 – esprime il simbolo del progresso, di una ambizione che ora è alla portata di tutti. L’auto diventa lo status symbol da conquistare a ogni costo, non importa se di lusso o proletaria, come la nuova Fiat 600 o la piccola 500.
Ma c’è molto di più nelle canzoni e nella parabola artistica di Ferdinando Buscaglione in arte Fred: non solo la storia del Paese con il progresso tecnologico e l’evoluzione dei rapporti tra uomo e donna; ma anche una rivoluzione musicale che ha aperto tante strade; una carriera giunta al suo epilogo in un batter d’occhio, lasciando tutti affranti ed esterrefatti per quello che avrebbe potuto essere e che non è stato. Ma che ancora ci interessa, a cento anni dalla nascita dell’artista geniale che è stato “il grande Fred”.
Ferdinando Buscaglione nasce infatti a Torino il 23 novembre 1921 da una famiglia originaria di Graglia, ora in provincia di Biella; una famiglia amante della musica. Si racconta che proprio il giorno in cui viene al mondo, un inquilino del suo palazzo abbandona nel suo appartamento un mucchio di dischi jazz: una straordinaria eredità per il bambino che da subito viene attratto dai 78 giri e dai loro suoni, che escono facendo girare la puntina del grammofono a manovella.
La musica era comunque già di casa: la zia Anna era stata una celebre canzonettista con il nome d’arte di Anita Di Landa; la madre, Ernesta Poggio, era diplomata in pianoforte e ogni tanto dava lezioni. Solo il padre Mattia, imbianchino, non era musicista e a lui spettava il compito di fare di tutto per mantenere una famiglia che in poco tempo si allargava con l’arrivo della seconda figlia Maria Teresa. Durante le scuole elementari Ferdinando mostra attitudine per la musica, così la madre lo affida a un maestro per prendere lezioni di violino. Si impegna così tanto che i genitori decidono di iscriverlo al conservatorio Giuseppe Verdi. Ma con la nascita del secondo fratello, Umberto, i problemi economici si fanno più seri e a Ferdinando viene chiesto di abbandonare quegli studi troppo costosi.
Ma la musica è entrata ormai nel dna del nostro protagonista, per tutti diventato ormai “Nando ’d Piassa Cavour”, dal nome della piazza, non lontano da casa sua, dove si esibisce e che diventa il palcoscenico della sua prima attività di musicista. Seduto su una panchina e accompagnato dalla chitarra canta in compagnia di amici, ogni volta più numerosi. Ha sedici o diciassette anni e così trascorre il tempo libero, quando non deve dare una mano alla famiglia, alternandosi tra il mestiere di fattorino, pellettiere o imbianchino insieme al padre.
È l’incontro con il jazz l’evento che lo convince a fare di sé l’artista che sarà. In poco tempo, trascinato dalla passione per la nuova musica, impara a suonare tromba, sassofono, fisarmonica. Considerando che già suonava il violino e il pianoforte, si comprende quale talento fosse, non solo come cantante, ma anche come musicista. Aveva un grande coraggio, oltre che un indubbio talento musicale, visto che in quegli anni di regime fascista generi come lo swing e il jazz erano banditi, in conseguenza della volontà di salvaguardare la canzone italiana, e dunque praticarli era niente meno che un’attività clandestina, a rischio di intimidazioni da parte delle squadracce e addirittura della galera. Ma tra il ’39 e il ’41 Ferdinando gira tutti i locali di Torino, insieme a un contrabbassista e al fisarmonicista Renato Gemonio, cantando The Sheik of Araby, Dinah e tanti altri pezzi americani jazz e swing. Da questo primo nucleo di musicisti, con l’inserimento di altri strumenti, si formerà una vera e propria orchestrina. Punto di riferimento per le esibizioni jazz è l’Hot Club Torino, nato nel ’39, dove si radunano giovani intrisi dello spirito di libertà di quella nuova musica.
In seguito all’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale Ferdinando deve, però, sospendere le sue serate. Viene assegnato al reggimento di fanteria della Divisione Calabria, dislocato nel nord della Sardegna. Non si perde d’animo e, anzi, con la musica allevia le pene dei commilitoni della sua brigata, molti dei quali torinesi. “Alla sera ci ritrovavamo vicino alle tende – si racconta nella biografia a firma di Gioachino Lanotte – per parlare della nostra città e dei ricordi che parevano ormai lontani; allora lui prendeva la chitarra, la appoggiava allo stomaco e si metteva a cantare con una voce rotonda e impostata Conosci mia cugina? di Ernesto Bonino e i pezzi di Natalino Otto”.
Nel frattempo, da una grotta nei pressi di Nuoro, alcuni militari inaugurano una vera radio libera che copre tutto il territorio nazionale. Dalle frequenze di Radio Sardegna poco dopo si ascolteranno le note di un complessino, il Quintetto Aster, formato da Fred Buscaglione al violino, i fratelli Franco e Berto Pisano, Gianni Saiu e Carletto Bistrussu. In repertorio pezzi come Besame mucho, Bambina innamorata, ma soprattutto le musiche americane dei giganti Glenn Miller, Cole Porter e Louis Armstrong. Una gavetta fondamentale, questa sotto le armi.
Il dopoguerra, caratterizzato dalla ricostruzione, vede Torino come importante centro di sviluppo dell’industria e di rinascita delle attività di carattere sociale; la città infatti si apre a esperienze di grande rinnovamento sul piano artistico e culturale: dal capoluogo piemontese vengono trasmessi i programmi dell’Eiar (Ente italiano audizioni radiofoniche), che qui aveva trasferito la sua sede già nel ’44, e prendono vita i primi esperimenti della nuova televisione. Ma non solo nuovi media: nel luglio ’45 nasceva Jazz, primo periodico in Italia sul tema, e la casa editrice Giulio Einaudi, dopo la ricostruzione della sede in seguito al bombardamento del ’43, era diventata il cuore pulsante per le nuove tendenze culturali, le energie fervide e le riflessioni più profonde sui cambiamenti sociali a cui stava andando incontro il Paese. Portavoce dei temi di storia civile più vivi e urgenti, la città si prepara a essere un punto di riferimento per gli intellettuali di tutta Italia.
Con l’arrivo degli Alleati, anche la musica americana dilaga, non più soggetta a censura. Se negli anni precedenti qualche disco era riuscito comunque a filtrare, a partire dal dopoguerra i ritmi swing e le improvvisazioni jazz diventavano popolari e alla moda. A Torino, in particolare, riaprono tutte le sale da ballo e i nightclub che negli anni della guerra erano stati chiusi dall’autorità statale. Orchestre e orchestrine si esibiscono in nuovi repertori e tra i musicisti più eclettici si distingue Ferdinando Buscaglione che, certo ormai del mestiere, decide di tentare la fortuna all’estero.
Nel ’48 è scritturato come violinista jazz in orchestre importanti per una tournée a Basilea, in Olanda e in Germania. In questi anni Ferdinando si mette alla prova anche come compositore: scrive brani che più tardi metterà in repertorio, quando chiaro sarà il suo destino. Grande è il successo che suggella il suo talento e, al ritorno in Italia, alla fine degli anni Quaranta, con la sua orchestra debutta al Roof Garden Florida di Torino. Con lui c’è anche Fatima Ben Embareck, ballerina nata a Dresda da famiglia marocchina, conosciuta in un locale di Lugano. Nonostante l’ostilità del padre, Fatima diventerà qualche anno dopo la signora Buscaglione, per restare l’unica donna da lui davvero amata.
Un’altra radicale svolta avviene al ritorno dai concerti all’estero, quando avviene l’incontro artistico con l’avvocato e paroliere Leo Chiosso, suo vecchio amico d’infanzia, anche lui torinese e nato negli stessi anni. La ditta Buscaglione-Chiosso sarà la chiave di volta di un rinnovamento definitivo nella carriera artistica di Buscaglione e nella storia della canzone italiana, inaugurando uno stile fatto “di swing nelle note e di ironia nel testo”, citando Gioachino Lanotte.
Uno stile influenzato anche dalle immagini, dalle atmosfere e dai personaggi dei film americani che in quel periodo cominciano a diffondersi nelle sale delle grandi città come Torino. Il gangster americano alla Clark Gable è quello che impressiona maggiormente e al quale Buscaglione si ispira per creare un personaggio da portare in scena, sia come attore al cinema che come interprete di canzoni: il duro dal cuore tenero, sensibile al fascino femminile. Nasce così Fred Buscaglione.
Gli anni Cinquanta di cui si diceva sono segnati dalla sua affermazione con l’orchestra Asternovas per l’abilità di passare da un repertorio swing ai ritmi latini, alle ballad americane, ai pezzi italiani. Così funambolica da non passare inosservata alla prestigiosa casa discografica Voce del Padrone che nel ’52 ingaggia la band per alcune registrazioni di brani latini. Il grande successo di Buscaglione è lì, voltato l’angolo.
Se canzoni come Tchumbala-Bey, diventano immediatamente dei tormentoni grazie a Gino Latilla, altro torinese già famoso come interprete,
il colpaccio che gli spalanca le porte della celebrità è la registrazione pionieristica di tredici tracce al Teatro Gobetti di Torino, preso d’assalto una mattina del 1955, tra cover e brani originali firmati da Buscaglione e Chiosso, suonate da Fred con gli Asternovas, e che vengono pubblicate nel 1956, per la Fonit-Cetra. Tra queste, Teresa non sparare, Che bambola, Porfirio Villarosa, Tchumbala-Bey, Eri piccola, Frankie And Johnny di Colt-Testa.
L’immaginario creato da Buscaglione-Chiosso si concretizza canzone dopo canzone: “Io allora avevo letto tutte le opere di Damon Runyon, uno scrittore degli anni Venti – racconta Leo Chiosso nel volume citato –, che aveva raccontato la Broadway dei gangster, dei piccoli scommettitori, dei giocatori e di altre figure gustosissime che poi sono state abbondantemente copiate dai cinematografari di Hollywood. E fu appunto leggendo Damon Tunyon che mi è venuta l’idea di creare il primo tipo di maschio fregnone, la prima esposizione femminista di un personaggio maschile all’interno della storia della musica leggera italiana (…). Mi ispirai particolarmente a un racconto che ha come protagonista un duro che va a svegliare tutti nella notte portandosi dietro gli amici. Fa cose incredibili: perde ai dadi, ma si fa pagare di prepotenza, fracassa vetrine, vive di prepotenza una notte intera, arriva sotto casa e scommette che, con un pugno sulla testa, avrebbe messo ko un cavallo, ci riesce”.
Poi vuole svegliare anche la sua pupa Dolly e farsi cucinare del bacon. “Sale le scale e la pupa li butta giù tutti. E così nacque il falso duro, in fondo buono, che si fa abbindolare da quella piccola così”. Il rubacuori e lo sciupafemmine che, in realtà, dalle donne viene messo in riga. Così Fred si cala sempre di più nei panni del duro americano, è l’incarnazione di quei personaggi nati nei romanzi e diventati verosimili nelle pellicole cinematografiche o nei musical; con i loro stereotipi a renderli immediatamente riconoscibili: il whisky da trangugiare, il sigaro in bocca o la sigaretta, il cappello a larghe falde in testa, il doppiopetto gessato, i baffetti neri sempre curati. Un personaggio che in scena porta la musica swing e l’ironia di testi che contemporaneamente esaltano e canzonano quello stesso stereotipo, mettendo in ridicolo i luoghi comuni del machismo americano.
Come con il personaggio di Porfirio Villarosa, raccontato nella canzone omonima uscita nel 1956 e modellato sulla figura leggendaria di Porfirio Rubirosa, sciupafemmine di origine dominicane che fece furore negli anni Cinquanta, conquistando il cuore di molte donne facoltose. Un personaggio, dunque, nato dalla cronaca di allora, ma completamente reinventato dalla penna di Chiosso che rende un immaginario manovale torinese, originario di Viscosa, il famoso playboy che si innamora, si sposa e poi divorzia, ricevendo ogni volta indennizzi milionari. Una perfetta caricatura calata nel contesto sociale di un’Italia che, negli anni del boom, vuole divertirsi e sognare in grande.
Con Chiosso e Buscaglione si inaugura, così, una nuova canzone d’autore comico-ironica, con ambientazioni gangster e protagonisti personaggi come Porfirio, ma anche Jack lo Sfregiato, Jack Bidone, Billy Karr, Buck la Peste. Sono le “criminal songs”, canzoni come Il dritto di Chicago,
o Kriminal Tango.
Canzoni che soprattutto mettono in scena figure femminili inedite: donne misteriose e fatali, che rompono con lo stereotipo della casalinga dimessa e succube, dell’angelo del focolare, della figura mite sullo sfondo, per diventare consapevoli del proprio ruolo di primo piano. Donne che difendono il proprio onore, che smettono di obbedire ai maschi e, se vogliono, si vendicano.
Che bambola! viene pubblicata nel 1956 in formato 78 giri riscuotendo un enorme successo commerciale. Tanto che da questo momento le case discografiche si accorgono delle potenzialità commerciali della canzone come prodotto di massa. Canzone che si rinnova sul piano musicale anche con l’inserimento di effetti sonori come il fischio, lo scoppio dei petardi, il cucù di un orologio, una risata fragorosa, la sirena della polizia e altri suoni che contribuiscono a determinare un’ambientazione reale e contemporanea in cui collocare i personaggi e la vicenda.
La figura femminile protagonista è tra quelle che reagiscono alle profferte del maschio che tenta l’approccio, mostrando una certa veemenza: Lei si volta, poi mi squadra come fossi uno straccion / Poi si mette bene in guardia come Rocky, il gran campion / Finta il destro e di sinistro lei m’incolla ad un lampion / (fischio) Che sventola!
https://www.youtube.com/watch?v=s5BdiuHEuRs
Per non parlare di Teresa, protagonista di Teresa non sparare. Personaggio uscito dalla cronaca nera, come esplicitato dall’introduzione. La notizia era quella di una casalinga di Casalpusterlengo, tale Teresa U. che, certa del tradimento del marito, una notte lo accoglie con il fucile spianato. Nonostante i tentativi di lui di giustificare la sua infedeltà, la donna non cede e alla fine lo uccide con quattro spari. La canzone dunque esalta una nuova tipologia di donna che rifiuta di subire e condanna chi la tradisce.
La bionda di Che notte, è la femme fatale per la quale il gangster protagonista è pronto a rischiare un’uscita alla scoperto con l’inevitabile rissa tra band rivali. Ma a queste donne, proibite e dannatamente belle, non si può resistere. Così come è impossibile resistere al loro modello di riferimento, la bionda mozzafiato Marilyn Monroe.
Donne seducenti e fascinose, come la protagonista di Criminalmente bella, ode a un amore idealizzato tanto desiderato quanto irraggiungibile.
Anche in Eri piccola, la figura femminile è travolgente, grazie al suo potere ammaliatore riesce a ottenere dall’uomo qualsiasi cosa. Tradisce e infine uccide colui che la assilla e non la lascia vivere libera. Così, da “piccola” diventa gigantesca.
Carina è dedicata a una donna spensierata e meno trasgressiva, ma pur sempre capace di stregare colui che la corteggia.
Il successo di queste canzoni è impressionante. Così, nello spazio brevissimo di due anni, tra il ’58 e il ’60, Buscaglione raggiunge il culmine di una carriera nata da una lunga gavetta e diventata eterna con le canzoni diffuse dai jukebox, con la fama consacrata a Roma, la città dove il mito si consolida, e nei locali in cui si esibisce con canzoni che lo identificano, come Whisky facile, e dove ottiene contratti su contratti.
Richiesto dal mondo della celluloide, in un anno partecipa a numerosi film, come Noi duri del 1960, di Camillo Mastrocinque (e tra gli interpreti anche Totò), dove canta l’omonima canzone
oppure la celebre Nel cielo dei bars.
È testimonial di caroselli televisivi, si esibisce nei più celebri locali. A 39 anni, dopo una vita nei nightclub di tutta Italia, Ferdinando Buscaglione è per tutti “il grande Fred”.
Una trasformazione repentina che lascia, però, strascichi: l’abbandono da parte della moglie, relegata in un angolo della vita dell’artista; la lontananza dalla Torino che lo aveva visto crescere, tra gli affetti della famiglia e degli amici; una nuova identità costruita ad arte che lo costringe a venire a patti con la sua vera natura: quella di una persona semplice, un piemontese dalle radici sprofondate nella terra e nei valori del lavoro e dell’onestà. Non certo un gangster. “Il guaio è che io mi sono trovato in questa atmosfera paracriminale senza averne una particolare predisposizione, anzi vi potrei confessare che una parte di me, la migliore e più cospicua, si trova in perenne imbarazzo quando giunge a contatto con il mondo di cui l’altra parte di me vorrebbe essere l’aedo musicale. Infatti, il mio ‘io’ più segreto ripudia il modo di vivere che tutti attribuiscono a Fred”, confessa in un’intervista al settimanale Oggi. Di fatto quella maschera e gli abiti da indossare tutte le sere cominciano a opprimerlo, a stancarlo con il loro essere ingombranti. Alla ricerca di sé, altre canzoni entrano nel suo repertorio, meno fumettistiche e parodistiche, canzoni melodiche chiamate sentimentals songs.
Come Mi sei rimasta negli occhi di Buscaglione-Pogliotti,
Love in Portofino di Buscaglione-Chiosso.
https://www.youtube.com/watch?v=15UIz3nOPw0
O come Guarda che luna di Giovanni D’Anzi e Alfredo Bracchi, tra i capolavori senza tempo che Buscaglione ci ha lasciato. Il bellissimo richiamo iniziale alle note della famosa sonata di Beethoven Chiaro di luna (op.27 n.2) dimostra la capacità non comune degli di contaminare mondi musicali distanti, creando una canzone in cui anche sul piano tematico si evocano parallelismi: come Beethoven dedicava la sonata alla donna amata, la contessa Giulietta Guicciardi, così Buscaglione pensa con malinconia alla sua Fatima, ora lontana. La luna, elemento comune, osserva dall’alto chi è in pena per l’amore perduto.
Con queste canzoni viene a galla una diversa versione di Fred, forse la più autentica. A Stampa Sera, nell’agosto ’59, Buscaglione rilascia, infatti, una riflessione amara, la confessione di un artista che vuole liberarsi dal suo alter ego e tornare a essere se stesso. “Mi occorrono due anni, non di più. Fingerò di avere una vitalità che non ho, scriverò e canterò le canzoni più pazze. Poi, prima che la gente mi volti le spalle, Fred ridiventerà Ferdinando Buscaglione”.
Invece, all’alba del 3 febbraio 1960 Fred Buscaglione, di ritorno da una serata in un night di via Margutta, alla guida della sua Ford Thunderbird color rosa, in un incrocio al quartiere Parioli, si scontra con un camion che trasporta porfido, guidato da un giovane che tenta di soccorrerlo. Caricato su un autobus e portato d’urgenza al Policlinico, arriva già senza vita. Aveva 39 anni.
Pur avendo avuto poco tempo per esprimere il suo talento, Buscaglione lascia un’eredità enorme, in conseguenza delle novità che ha apportato nella canzone italiana, svecchiandola e conducendola su strade mai percorse prima. Contaminando la tradizione con lo swing, con il jazz, con i ritmi latini, perfino con il rock ’n roll. Mescolando in una originale commistione poesia, ritmo, sarcasmo, ironia. Così ha saputo inventare una canzone d’autore immediatamente riconoscibile, totalmente inedita. “Un posto d’onore tra gli inventori di musica popolare del Novecento” come scrive Renzo Arbore, è il giusto riconoscimento che gli si deve. A lui, un artista genio e innovatore, che è stato per tanti un maestro.
Il documentario Che soggetto quel Fred Buscaglione, a cura di Franz Campi, con interviste e testimonianze di chi l’ha conosciuto, ripercorre la carriera artistica del grande Fred Buscaglione.
Chiara Ferrari, autrice del libro appena uscito in libreria Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi. Edizioni Interno 4; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato domenica 21 Novembre 2021
Stampato il 13/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/pentagramma/fred-buscaglione-il-piu-tenero-duro-dello-swing/