Nuove canzoni, nuove parole d’ordine non legate alla sconfitta nasceranno: esse commenteranno le manifestazioni studentesche, gli scioperi operai, i processi e le persecuzioni del regime ultraventennale. È dalle battaglie di oggi, dalla sensibilità di oggi, che nascono le canzoni di oggi.
Canti della Nuova Resistenza Spagnola 1939-1961
La marsellesa de los borrachos (La marsigliese degli ubriachi, in Italia presentato con il titolo Un pueblo que canta no muere), film documentario opera del regista Pablo Gil Rituerto, con la sceneggiatrice Alba Lombardía González, girato nel 2022, uscito in Spagna nel 2024 (Seminci, Valladolid) e presentato a Firenze nel novembre 2024 in occasione del Festival dei Popoli, è il risultato di un progetto internazionale e collettivo che ha coinvolto maestranze spagnole, francesi, italiane mosse dall’intenzione di ripercorrere il viaggio di Cantacronache, quel gruppo di intellettuali, musicisti torinesi, nella Spagna franchista e di constatare il peso di quell’esperienza nella Spagna ma anche nell’Europa di oggi.
Da dove è nata l’idea del film? Dal libro Canti della Nuova Resistenza Spagnola 1939-1961, edito da Einaudi nel 1962.
“Questa raccolta rappresenta il risultato di un viaggio fatto in Spagna nel mese di luglio del 1961, nel corso del quale abbiamo cercato di avvicinare il maggior numero e la maggior varietà di persone possibile (…), ci siamo intrattenuti con giovani e anziani, scrittori e uomini di cultura, con professionisti, uomini politici, operai, pescatori, contadini, gente di strada. Dai loro racconti e dalla loro voce abbiamo tratto quasi tutti i testi qui riportati (…). È un materiale di attualità, non ancora mai rilevato, né quindi organizzato o completo. L’unica coerenza che lo lega, e ne fa un piccolo corpus estremamente rappresentativo dal punto di vista culturale e politico, è il dato dell’opposizione popolare al regime fascista instaurato in Spagna da Franco nel 1939. Questo dato politico è anche l’unica ragione della nostra opera di raccolta”. (Canti della Nuova Resistenza Spagnola 1939-1961, p. 5).
Chi scrive è proprio chi in quell’estate del 1961 viaggiò clandestinamente lungo il nord della Spagna alla ricerca di canti popolari, espressioni del sentimento di chi contestava il regime dittatoriale di Francisco Franco e lo faceva anche con la canzone, veicolo per far circolare messaggi politici, ma anche speranze, voglia di riscatto, il sogno della libertà. Sergio Liberovici, Michele L. Straniero, con la collaborazione di Margot Galante Garrone risultano gli autori del volume Canti della Nuova Resistenza Spagnola 1939-1961, mentre alla spedizione organizzata dall’etichetta discografica Italia Canta in collaborazione con il Centro Studi Pietro Gobetti parteciparono anche, oltre ai citati, lo scrittore Giorgio De Maria, il fotografo Lionello Gennero, lo scrittore e intellettuale Emilio Jona con la moglie Gianna Germano Jona. Viaggiarono a bordo di due autovetture, muniti di registratore e prendendo nota di testi e poesie in funzione della pubblicazione. Raccolsero testimonianze a Madrid, a Vigo in Galizia, a Barcellona, a Bilbao, in Catalogna, e anche a Parigi da esuli spagnoli. A volte direttamente dalle bocche degli autori, altre da gruppi spontanei e improvvisati di cantori. Altre volte ricevettero testi scritti su foglietti consegnati furtivamente.
Ogni testo pubblicato portava la firma di autore ignoto, a tutti coloro che parteciparono con canti o scritti venne, infatti, garantito l’anonimato per ragioni di sicurezza: “Il regime politico illiberale – si legge – che governa ancora oggi la Spagna non permette all’opposizione interna di esprimersi pubblicamente, e fa gravare, al contrario, su tutti gli oppositori, la pesante minaccia delle persecuzioni e del carcere” (Canti della Nuova Resistenza Spagnola, Avvertenze).
Il progetto in parte realizzato era di produrre anche delle incisioni discografiche. Editi da Italia Canta uscirono il medium play–33 giri Canti della Guerra di Spagna 1931-39 e Canti della Resistenza Spagnola 1939-61, ma avrebbe dovuto uscire anche un successivo album per completare la trilogia, ovvero Canti della Seconda Repubblica Spagnola 1930-36. Dalla fonte archivistica del C.R.E.O. Centro Ricerca Etnomusica e Oralità di Torino risulta, infatti, edito Canti della Guerra di Spagna: 1931-1939 (Note di S. Liberovici e presentazione di M. L. Straniero) con canti come I quattro generali, Conosci il mio indirizzo, Canto delle Brigate Internazionali, Il treno blindato, La colonna Thaelman, Canzone di San Cristobal, Canto di marcia spagnolo, Siamo soldati baschi, L’Esercito dell’Ebro; brani eseguiti da Ernest Busch con l’Orchestra e il coro della 11esima Brigata Internazionale, da Pete Seeger, Bessie Lomax, sorella di Alan Lomax, con il marito Butch Hawes, e Woody Guthrie e altri (registrazioni originali eseguite a Barcellona nel 1938), Italia Canta.

E soprattutto Canti della Resistenza spagnola: 1939-1961 (Note di S. Liberovici e presentazione di M. L. Straniero) l’album che raccoglieva parte dei testi raccolti sul campo, con Canzone di Bourg-Madame, Già passò l’estate, Senza Pane, Da quando Franco e la Falange, Morte nella cattedrale, In Spagna, I fiori, Nubi e speranze, Strofette, Canzone della pace, Una canzone, esecuzioni di Michele L. Straniero e Margot, accompagnamento di Fausto Amodei, Italia Canta (Albatros, 1968).
L’album con titolo Canti della Resistenza Spagnola (Songs Of The Spanish Resistance) venne pubblicato sempre nel 1968 da I Dischi dello Zodiaco, comprendendo una grande varietà di canti: Cancion de Bourg-Madame, Ya Se Fue El Verano, Fusiles Contra El Patron, Una Cancion, Julian Grimau Hermano, Cancion de Paz, Paloma de la Paz, Dicen Que la Patria Es, En Espana Las Flores, Coplas, Fandangos De Huelva Revolucionarios, Dende Que Franco E Falanxe, Los Dos Gallos, Dime Donde Vas Morena, Coplas de la Huelga, Fuego de Los Haltos Hornos. Le voci sono di nuovo quelle di un anonimo cantore di Madrid, di Margot e di Michele L. Straniero. Un estratto:
Ma all’origine ci fu il libro, a rappresentare una testimonianza inestimabile di quanto importante fosse il canto come strumento di lotta, che avrebbe prodotto un ampio movimento di pensiero cresciuto di pari passo con la sua diffusione in vari paesi del mondo, tradotto in diverse lingue.
Non prima, però, di aver affrontato un processo, a Torino, che vide alla sbarra l’editore Einaudi e gli autori, accusati di aver dato alle stampe materiali scabrosi, indecenti, che umiliavano la figura di Franco. Autori ed editore vennero accusati di vilipendio di capo di Stato straniero (si menzionava la figura di Franco, definito come cabrón ma anche maricon, hijo de puta) e per oscenità. (Del processo raccontò Margot in Ferrari C., Politica e protesta in musica: da Cantacronache a Ivano Fossati, Unicopli, 2015).
Il Ministero dell’Informazione e del Turismo pubblicò il libercolo, La marsellesa de los borrachos, una raccolta di articoli di stampa internazionale e nazionale per screditare la raccolta dei Canti della Nuova Resistenza Spagnola che veniva descritto come un libro contro la Spagna e contro Franco. In Italia partì una campagna molto aggressiva dopo la pubblicazione dello stesso pamphlet, sosteneva che quei canti fossero volgari canti di ubriaconi senza alcun valore, e fu montata una iniziativa giudiziaria contro l’editore e contro gli autori da parte dei neofascisti italiani. Arrivò la censura e il sequestro del libro, tacciato peraltro dal governo spagnolo come una creazione da laboratorio e non un lavoro scientifico derivato da ricerche sul campo. Invece quei canti erano la voce autentica di un’ampia parte del popolo che in quel modo esprimeva la propria opposizione a un regime. La censura provocò una lunga serie di dibattiti, ma soprattutto di scontri anche violenti che avvennero durante i giorni del processo che si tenne a Torino nel gennaio del 1963. Furono tutti assolti, ma banditi dalla Spagna per diverso tempo.

E questa è la storia di un gruppo di ricercatori italiani, riuniti nel collettivo Cantacronache, attivo tra il 1958 e il 1962 che tra le loro iniziative avevano quella di scrivere canzoni nuove che fossero la cronaca politica e sociale di quegli anni, canzoni sulla Resistenza per portare in primo piano i valori usciti dalla guerra partigiana in un momento in cui sembravano messi in discussione da un governo filofascista come quello di Ferdinando Tambroni, (marzo-luglio 1960), nato con l’appoggio esterno dei voti del Msi. Ma anche di recuperare canti della tradizione popolare, della grande guerra, canti anarchici, socialisti, comunisti, recandosi di persona a incontrare, anziani, testimoni, chi aveva memoria di un canto, intonato in gioventù, ascoltato in famiglia, nei campi o nelle fabbriche durante il lavoro, in trincea, in Italia e nei paesi in cui la scure di una dittatura pendeva ancora sulle teste delle persone inermi. Dunque Spagna, ma anche Alegria, con la realizzazione dell’album Canti della rivoluzione algerina (a cura di Paolo Gobetti, Emilio Jona, Sergio Liberovici, Michele L. Straniero) con brani come Inno della Resistenza, Racconto d’oggi, Ah, De Gaulle, Non c’è altro dio che dio, L’Algeria si è ribellata, Nostra Algeria eseguiti da M’Barck Nouir e il coro dei bambini della Casa Yasmina, Farid Aly, Djaafer BekAhmed, Wabbly, Moundji, il complesso strumentale della Compagnia Artistica Algerina. Ungheria, dove venne inciso l’album Viva Garibaldi. 5 canzoni popolari ungheresi ispirate a Giuseppe Garibaldi, con i canti Garibaldi ha un cappellino, Ad Alsonyek con un treno del sud, Patria mia odo il tuo richiamo, Alla fiera di Debrecen me ne vado, E’ sporca la mia camicia, eseguiti dall’ Orchestra di musiche popolari ungheresi diretta da Sandor Lakatos, solista Demeter Marcisz, coro maschile della RTV ungherese. E poi Cuba con tre album dedicati ai Canti della Rivoluzione cubana (a cura di Giorgio Cingoli. L. Gennero, S. Liberovici) con canti come E’ arrivato Fidel, Rolando Là Serie e la sua orchestra; Guerrigliero, coro di rivoluzionari cubani; Viva la Rivoluzione, Raul Luzardo e il Trio Los Titanes; Sierra Maestra, di Augustin Diaz Cattaya e Daniel Santos, canta D. Santos e il suo complesso; Diciamo della Rivoluzione, di Celina e Reutillo; I Barbudos di Felix Reina, complesso Fajardo; Al comandante Camacho, di Severino Garcia, complesso Los Yayaberos; Inno dei Miliziani, di Amalita Srades, banda dell’Esercito Ribelle. Tutti album editi da Italia Canta. Fonti autorevoli parlano anche di un viaggio in Angola.

Una storia che, sebbene abbia visto conclusa l’esperienza del collettivo, è proseguita nelle attività dei singoli, con Fausto Amodei, membro di Cantacronache che non partecipò al viaggio ma collaborò come chitarrista all’incisione discografica, autore di una straordinaria discografia, come definita dallo stesso in uno scambio di mail “organica ad una cultura resistenziale ed antifascista”, come anche Margot, protagonista di una carriera solista fino al 2017, anno della sua scomparsa. E di Michele Straniero che militò nel Nuovo Canzoniere Italiano portando avanti iniziative di ricerca etnomusicologica, come anche Sergio Liberovici in solitaria o in collaborazione con Emilio Jona, autori di indagini sul campo alla ricerca di reperti di cultura orale, di testi per il teatro, di saggi sul canto popolare.
Il libro, invece, il cui editore concesse la vendita dei diritti di traduzione, ripubblicato in Germania, in Francia, Uruguay trovò ampia diffusione viaggiando nel mondo, dove le canzoni, dalla Finlandia al Cile, vennero tradotte in numerose lingue, portando con loro il messaggio della protesta contro tirannie e autoritarismi e della forza del canto, strumento di lotta, esperienza di condivisione, memoria. I canti della nuova resistenza spagnola non hanno mai smesso di attraversare il tempo e le frontiere. Recentemente il libro è tornato ad assolvere il suo compito di testimone, ispirando una nuova narrazione, una riflessione sull’oggi, sulla Spagna, sull’Europa del presente.
La marsellesa de los borrachos, dunque, film che si avvale di documenti originali sensazionali, come fotografie inedite, l’audio del processo di Torino. E delle voci dei cantori dai nastri originali che nel film da anonimi ritrovano le loro identità: sono loro stessi, ascoltandosi, a riconoscere le proprie voci o qualcuno ricorda quelle di chi non c’è più. E poi delle voci di oggi. La musica, il canto, non semplice colonna sonora, ma tema preminente, soggetto protagonista di tutta la narrazione.

Dalla rassegna stampa sul sito di Film Commission Torino Piemonte, il film si presenta come “Un viaggio a ritroso seguendo le impronte lasciate da altri avventurieri. Pablo Gil Rituerto e la sua troupe ripercorrono – attraverso un montaggio che alterna, in maniera armoniosa, passato e presente – l’avventura degli etnomusicologi Cantacronache che, nel 1961, sfidarono i veti della censura franchista, per esplorare la Spagna e raccogliere informazioni sui canti popolari della guerra civile (…). Le ferite mai rimarginate della violenza di Franco tornano a sanguinare, ma con loro rivive anche la forza immutata di quella musica, dolente e appassionata, che sembrava preludere a un mondo migliore e che, oggi, suona più necessaria che mai”.
E aggiungono gli autori: “La marsigliese degli ubriachi non è solo un film storico che ricostruisce il viaggio dei Cantacronache, poiché è anche aperto al presente. Lo spirito vivace e forse incosciente dei Cantacronache guida il nostro approccio: come risuonano oggi, nel presente, le lotte del passato? Cosa rimane di quelle canzoni nella Spagna di oggi? L’ascesa di partiti populisti e di estrema destra è un denominatore comune in tutta Europa e pone in questione i processi storici di revisione e riparazione, che hanno avuto luogo nei diversi paesi post-fascisti con vari gradi di successo. È in questo contesto che diventa indispensabile tornare a storie come quella raccontata ne La marsigliese degli ubriachi, una storia che è stata messa a tacere per molto tempo. La memoria, infatti, è un’eredità che ha significato solo quando riusciamo a farla agire nel presente”.

Del presente e dell’oggi si parla, infatti. Di quanto la storia di quel viaggio ancora oggi abbia da dire ai nostri giorni. Un segno di continuità è rappresentato dalla voce recitante, quella di Emilio Jona, che nella rilettura di alcuni stralci del diario di viaggio si fa guida della narrazione cinematografica lungo tutta la durata del film, per lasciare la parola, alternativamente, alla musica, alle voci di chi partecipò alle registrazioni originarie, alle interviste. Tra queste quella di Lionello Gennero, mancato poco dopo le riprese, che interviene a raccontare il suo ruolo, quello di documentare con le fotografie quel viaggio ma anche e soprattutto quello del contrabbando dei materiali, una delle attività più rischiose. Il viaggio di allora è ripercorso anche geograficamente, a scandire i momenti tra passato e presente, in un gioco di specchi tra immagini d’epoca e riprese cinematografiche che raccontano i cambiamenti sociali e paesaggistici dei luoghi visitati dai torinesi. Attraversando i Pirenei con tappa a Tolosa a pochi chilometri dal confine per poi proseguire toccando diverse località della Spagna, dalla Galizia alle Asturie, con soste a Saragozza, Guadalajara, Vigo, Otxarkoaga, Madrid, Barcellona.
Ne abbiamo parlato direttamente con il regista madrileno esperto nella realizzazione di documentari, Pablo Gil Rituerto e con Alba Lombardía, sceneggiatrice e con una importante carriera come filmmaker, documentarista, ricercatrice e produttrice di opere non fiction.Se l’idea di partenza è venuta dal libro, come si è sviluppato poi il progetto che ha coinvolto musicisti, gruppi folk, storici e ricercatori, associazioni di lavoratori e di famiglie, dalla Spagna all’Italia passando per la Francia? Ne abbiamo parlato direttamente con il regista madrileno esperto nella realizzazione di documentari, Pablo Gil Rituerto e con Alba Lombardía, sceneggiatrice e con una importante carriera come filmmaker, documentarista, ricercatrice e produttrice di opere non fiction.

“Ho trovato il libro Canti della Nuova Resistenza Spagnola in edizione castigliana – racconta Pablo Gil Rituerto – era in una libreria che vendeva libri di seconda mano, ho letto del viaggio e ho iniziato subito a cercare informazioni. Avevo già in testa di fare un film sugli archivi sonori di quell’epoca in Spagna, avevo indagato altre possibilità ma non ero riuscito a trovare nulla di così interessante, fino a che non ho trovato questo libro, per caso. Così mi sono messo in contatto con le persone che potevano avere conoscenze, con cui condividere le mie idee, come la sceneggiatrice Alba Lombardía e altre maestranze, realizzando una prima stesura del soggetto. L’ incontro con il libro è stato l’inizio di tutto. È avvenuto nel 2013, da lì ho preso contatti con Margot Galante Garrone che mi ha fornito gli indirizzi di Emilio Jona e del Crel di Torino, che però aveva appena chiuso. Diverso tempo è passato, c’è stata di mezzo anche la pandemia prima di riuscire ad avere accesso agli archivi. Nel frattempo Emilio Jona ci ha messo in contatto con Alberto Carrillo-Linares dell’Università di Sevilla, docente che aveva già lavorato sul viaggio di Cantacronache in Spagna. Come storico si occupa di canzone popolare e di protesta, è autore di numerosi saggi e si era interessato del viaggio degli intellettuali torinesi in Spagna, unendo le ricerche da lui svolte in loco con i documenti d’archivio di Torino. Possedeva, infatti, una copia del libro, era riuscito ad accedere all’archivio del Crel (Centro Regionale Etnografico Linguistico) quando era ancora aperto e aveva anche una copia di alcune registrazioni di canti. Nel 2019 abbiamo incontrato Jona a Torino e da lì è proseguito il lavoro in concomitanza con la sua richiesta di fondi per costituire il Creo che, infatti, poco dopo è nato. Dopo la pandemia, nel 2021, abbiamo avuto finalmente accesso agli archivi e ai documenti originali con fotografie, articoli, audio. Franco Castelli contattò Lionello Gennero per chiedergli se avesse le fotografie da lui realizzate spiegando il nostro progetto. Lionello non era sicuro della loro esistenza, ma accettò di ascoltarci. Abbiamo quindi compiuto diversi viaggi a Torino per incontrare personalmente Lionello e illustrargli la nostra idea. Dopo diversi incontri, decise di aderire. Ha così ceduto i diritti di utilizzo delle sue fotografie per il film”.

Che significato ha il titolo del film per voi?
“La marsellesa de los borrachos è il titolo che abbiamo scelto – spiega Alba Lombardía – perchè volevamo recuperare quella sorta di insulto e ridargli dignità, nell’idea di restituirgli un significato nuovo. Il titolo del film fa dell’ironia sulla stessa ironia usata da un giornalista fascista sul lavoro di Cantacronache. Con quell’espressione denigratoria si sosteneva che quei canti erano volgari, che non avevano nessun valore, e si voleva così irridere qualcosa che invece aveva grande peso sia scientifico che culturale per il popolo spagnolo. Noi volevamo restituire la giusta dignità a quei canti”.
Il film è un omaggio alla forza del canto popolare. Quelle canzoni erano state dimenticate dagli spagnoli?
“No, sono canzoni molto note – risponde Alba Lombardía – Non erano conosciuti i Cantacronache ma le canzoni sono popolarissime, molte persone che hanno visto il film hanno avuto subito il ricordo di quando nelle loro famiglie si intonavano quei canti. Sono famosi, tanto quanto Bella ciao in Italia”. Il saggio di Cantacronache forniva una scrupolosissima disamina sulla formazione e sulle caratteristiche dei canti rinvenuti distinguendoli in quattro gruppi. Ad un primo appartenevano le parodie su arie del patrimonio popolare tradizionale, canti che risentivano “sia dal punto di vista musicale che da quello letterario, della molteplicità e della ricchezza melodica e stilistica che caratterizzano la produzione folklorica spagnola” (Canti della Nuova Resistenza Spagnola, p. 6). Riconoscevano gli autori, quanto impegno fosse stato profuso nella creazione di canti satirici a partire dai tradizionali di cui venivano cambiate le parole, mantenendo spesso l’atmosfera che ispirava l’originale. Tra questi, La mujer de Pancho Franco, raccolta a Madrid da un giovane neolaureato, che presenta uno dei versi incriminati: La moglie di Pancho Franco/non cucina col carbone / ma cucina con le corna/ del marito che è un caprone. E poi: Nubes y esperanza, Ya se fué el verano, Villancico, El Hijo de Don León, Dime donde vas morena, Els contrabandistes.
Di questo gruppo facevano parte anche le parodie su arie della Guerra Civile, arie popolari che durante la guerra erano servite per creare canti politici e che nel momento della ricerca rappresentavano già una rarità. Nel secondo, vi erano le parodie su arie popolaresche o di consumo, come Ya llegó el verano, Sin pan, parodie su O’ Cangaceiro, su Cara al sol. E la canzone Canción de Bourg Madame, raccolta a Parigi da un esule spagnolo, legata ai combattenti repubblicani che si rifugiarono al di qua della frontiera francese e vennero avviati lungo la strada del campo di concentramento di Bourg Madame. Si può ascoltare nella versione interpretata da Michele L. Straniero.
Al terzo gruppo appartenevano le canzoni con musiche e testi originali, elaborate individualmente o in forma collaborativa, considerate le più significative dal punto di vista culturale: “Vi sono impegnati i giovani intellettuali, che dimostrano in esse un desiderio di affrancamento anche da certi moduli folklorici tradizionali, pur conservando nei loro componimenti un inconfondibile sapore popolare-nazionale” (Canti della nuova resistenza spagnola, p. 15). Tra i titoli più noti, Canción de paz, di autore anonimo di Barcellona ispirata al Congresso Internazionale dei Partigiani della Pace tenuto a Stoccolma nel 1958.
Altri importanti canti raccolti sono Himno de Alianza, cantato dai politici della prigione di Alcalá de Henares, Muerte en la catedral, canto improvvisato da intellettuali madrileni sul clero cattolico basco che si distinse nella Resistenza antifranchista, Dende que Franco e Falanxe (Da quando Franco e la Falange), canto raccolto a Vigo (Galizia), che contiene un’invocazione al Santo Cristo di Fisterre. Interpretata da Margot.
Come Una canción, ed En España las flores, entrambe di autore madrileno.
Il quarto gruppo era quello delle Coplas, composizioni satiriche, da stornellatore popolare, giocate su gruppi di brevi strofe. Tra queste La yerba de los caminos, Al Santo Cristo de Limpias. Molte di queste canzoni sono presenti nel film, eseguite in vario modo.

Nel film diverse sono le scene in cui lo stesso canto si trasferisce dalle pagine del libro alla voce della registrazione originale e poi a quella dello stesso cantore oggi. In altre i canti vengono ripresi da voci nuove che li reinterpretano. C’è un continuo movimento dal passato al presente, e così, di bocca in bocca, c’è un’eredità che viene raccolta. Tutto questo concretizza anche l’intento che fu di Cantacronache. Come avete scelto gli interpreti?
“La ricerca dei musicisti si è ampliata strada facendo – risponde Rituerto – e la ricerca storica è andata di pari passo con quella delle persone, sia interpreti, che testimoni di quegli anni. Il film è stato come un archivio popolare sempre aperto. Per noi la reinterpretazione è l’elemento chiave perché l’archivio popolare è un’entità vivente che può essere modificata sempre. Abbiamo cercato persone nei luoghi in cui le canzoni erano state registrate da Cantacronache, mentre gli interpreti avevano tutti esperienze importanti con la canzone popolare, sia i gruppi amatoriali che i professionisti. In questo momento c’è in Spagna un movimento di recupero del canto popolare, del canto di tradizione, è un movimento che si è costruito in parallelo alla realizzazione del film.”
Tra i musicisti più noti si trovano Maria Arnal e Marcel Barès un duo folk che nel film interpreta Nubes y Esperanza, raccolta a Madrid da un taxista quarantenne, una canzone di detenuti politici. Si può ascoltare nella versione di Rolando Alarcón, tra i principali esponenti della Nueva Canción Chilena che ha interpretato numerosi canti della resistenza spagnola (album Canciones de la Guerra Civil Española, 1967, Macondo).
Nacho Vegas è un cantautore galiziano molto ascoltato, che nel film insieme al duo post-folk delle Asturie L&R (Leticia Baselgas y a Rubén Bada) canta Dime dónde vas Morena (Dove vai, bella bruna). Il canto è stato raccolto a Madrid e ha anch’esso una forte connotazione contestataria: Dimmi dove vai, bella bruna/ dimmi dove vai, ragazza /alle tre della mattina./ Vado al Carcere Modello/ a vedere i comunisti /che son stati messi dentro /da questo governo fascista. Si ascolta dall’incisione discografica interpretata da Michele L. Straniero in duo con Margot.
Il cantautore basco Amorante canta Zeuretzal bixitza, mentre Victor Herrero interpreta Anda Jaleo, incisa nell’album Anda Jaleo (Fire Records, 2010) con Josephine Foster.
Diversi anche i gruppi di cantori e musicisti come La Ronda de Motilleja che intonano Ya se fue el verano e Si me quieres escribir, canzone che si può ascoltare nella versione di Rolando Alarcón.
Ya se fué el verano (È passata l’estate) raccolto a Madrid dalla voce dell’autore, un giovane intellettuale, è un canto politico contro Franco, definito ironicamente come figlio…del Ferrol, ritenuto colpevole della condizione di miseria e privazioni che il popolo spagnolo subiva. Si può ascoltare interpretata da Margot.
Il gruppo Labregos do tempo dos sputniks, autori di canzoni, a partire dalle poesie di de Celso Emilio Ferreiro, cantano Libremente.
Formazioni amatoriali sono il Cors infantils escola folk e il coro dei minatori Coro Minero de Turón che interpreta Santa Bárbara Bendita e Una canción. Quest’ultima porta il verso molto noto Un pueblo que canta no muere: Canta il martello, canta il motore, canta il braccio del lavoratore. Popolo di Spagna, alzati e canta! Un popolo che canta non morirà mai. Parole di Jesús López Pacheco su una melodia tradizionale spagnola. La poesia venne successivamente musicata da Adolfo Celdrán che la pubblicherà nell’album Silencio (1970) e poi in Denegado (1977).
Nell’incisione discografica è Margot a interpretare questo leggendario canto.
Tra gli audio originali il più toccante, quello del poeta spagnolo di lingua galiziana Celso Emilio Ferreiro che canta Santo Cristo de Fisterre reinterpretato dalla splendida voce della cantante, artista e storica dell’arte galiziana, Faia Díaz Novo. Tra i temi affrontati quello dell’ascesa di partiti populisti e di estrema destra come denominatore comune in tutta Europa, anche qui è stato significativo lo spunto di Cantacronache?
“La pellicola fa suo l’intento critico di Cantacronache che contestavano la dittatura franchista – spiega Rituerto – L’idea era di rifarsi al loro proposito, allo spirito di quel gruppo di ricercatori nell’avventurarsi in quel viaggio, quindi la scelta di realizzare un film politico è stata una scelta cosciente ed è venuta naturalmente leggendo il libro. Ci siamo ispirati al viaggio di Cantacronache e alle intenzioni che loro avevano in quel momento, ovvero di documentare la reazione popolare, la voglia di libertà delle persone oppresse da una dittatura. Abbiamo preso posizione, c’era la volontà di affrontare le questioni che riguardano non solo l’Italia, ma soprattutto l’Europa di oggi, prendendo una posizione in maniera attiva, consapevole”.
Aggiunge Alba Lombardía: “Le persone che sono venute a vedere il film in Spagna sono vicine alle idee che sono espresse nel film, condivide le tematiche e le prese di posizione, mentre un paio di incontri sono avvenuti con persone che avevano una posizione diversa e sono stati critici rispetto al film, ma anche questo è stato interessante perché c’è una pluralità di punti di vista nella società, non possiamo pensare di avere tutti le stesse idee ed è normale che ci sia un confronto. Il film comunque ha avuto un riscontro positivo e non ha dato adito a scontri o particolari polemiche.”
“Attraverso il film non volevamo affermare nessuna verità assoluta – ha continuato Rituerto – La volontà non era di esprimere una tesi, ma il fine era di lasciare uno spazio allo spettatore per costruirsi una sua posizione personale, nessuna volontà di strumentalizzazione. Ci sono, inoltre, diversi livelli di lettura del film, ci si può soffermare sulla storia raccontata e sulla forza delle canzoni, c’è chi in Spagna guarda il film e si lascia trasportare dalle immagini e dalla musica perché non tutti hanno a disposizione le informazioni necessarie per cogliere gli aspetti che sono sottotraccia. È un film che vuole lasciare uno spazio per una costruzione personale del giudizio”.

Un altro tema che emerge è l’Europa di oggi attraversata da un’onda di razzismo. Avete raccontato le difficoltà del viaggio dei migranti verso la Francia, e ti tutti quelli che cercando un posto in cui costruirsi un futuro in Europa. In che senso qui avete interpretato il lavoro di Cantacronache?
“Il punto di partenza del film – spiega Rituerto – era di raccontare cosa ci dicevano Cantacronache nel ’61 e cosa ci dicono oggi. Abbiamo finito di girare nel 2022 il film è uscito nell’ottobre 2024 e durante la lavorazione abbiamo avuto modo di ascoltare le registrazioni di migranti che in passato arrivavano dal sud della Spagna per raggiungere i Paesi Baschi e la Catalogna per lavorare nelle industrie che in quel momento erano molto fiorenti, poi abbiamo pensato di ascoltare i loro figli per capire il processo, come hanno vissuto loro questo cambiamento e quindi abbiamo inserito la scena con l’associazione di famiglie dei discendenti dei migranti del ’61 e a questo punto si è innestato un altro livello dell’indagine, ovvero che cos’è oggi la migrazione. Non esiste più quella dal sud della Spagna verso il nord, ma il paese assiste a una migrazione totalmente diversa”.
“Alla fine del film emerge chiaramente il tema di questa nuova migrazione di popoli – aggiunge Lombardía. Noi siamo bianchi, siamo europei, facciamo film, non abbiamo bisogno di autorizzazioni per spostarci, ma ci sono persone che si muovono dall’Africa per arrivare in Francia passando per la Spagna e compiono un viaggio terribile per raggiungere un luogo in cui trovare un lavoro, una sistemazione, una condizione di libertà”. “Superare la frontiera per alcuni è un’esperienza drammatica e rischiosa, dunque c’è questo gioco di specchi che è presente in tutto il film: da una parte c’è il tema della migrazione, di com’era nel ’61 e dall’altra di come è oggi”, ha continuato Rituerto.
“Per noi, inoltre – precisa Lombardía – quando abbiamo pensato e scritto il film c’era questa urgenza del presente, raccontare cosa vuol dire lottare politicamente nel presente e quindi era importante coinvolgere le associazioni di persone, gli attivisti, i militanti di oggi. Quello che fanno è legale, non c’è lo stesso rischio che poteva esserci nel ’61 sotto la dittatura di Franco, è importante mettere le cose in contesto e così sono emerse analogie e differenze. Il nostro non è propriamente un documentario, volevamo fare un’altra cosa, integrare il lavoro di tante persone, unire l’aspetto della documentazione a quello della narrazione del presente del nostro paese e dell’Europa di cui siamo cittadini”.

Nel film la Spagna di oggi fa anche i conti con la dittatura, vi siete posti davanti a quel terribile momento del Paese e avete voluto affrontarlo. Penso alla scena dei corpi delle vittime di quella violenza, dissotterrati dalla fossa comune e restituiti alla memoria dei loro cari…
“Il punto di partenza è stato fare un lavoro di archeologia sonora – risponde Rituerto – recuperare un suono perduto, quello dei canti, che era come dissotterrare i corpi, le ossa delle persone trucidate e ridare loro un’identità, dunque la dignità di un luogo in cui poter essere ricordati. Dunque, la memoria della dittatura è passata attraverso il recupero di voci perdute, quelle dei nastri conservati a Torino e quelle delle tante persone che in quegli anni avevano intonato quei canti di lotta, di protesta. Contemporaneamente erano spariti anche i corpi, e l’archeologia è diventata ricerca e recupero dei resti delle persone con il loro vissuto”.
Dopo il processo il libro è stato tradotto in diverse lingue e raccontate come addirittura sia stato di ispirazione per Violeta Parra, Victor Jara e per il movimento della Nueva Canción Chilena. “È così – conferma Rituerto – dopo il processo Einaudi approvò le traduzioni in diverse lingue, tra cui il castigliano così quel testo poté arrivare in Uruguay e ad esso ebbero accesso persone come Rolando Alarcón e Victor Jara che cantava La yerba de los caminos. Esiste ancora un archivio filmico in cui Jara cantava questa canzone, un documento sopravvissuto all’incendio causato dai fascisti cileni che volevano bruciare tutti i documenti che riguardavano questo cantautore”.
È il libro che circola, il disco uscì molto dopo con canzoni intonate da loro, Michele Straniero, Margot, non con gli originali.
“Il libro, certo – continua. Nel passaggio di traduzione ci sono stati anche degli errori, per esempio una canzone è circolata con termini diversi da come era in originale. La canzone è Sin pan (Senza pane), dove nel testo, il termine gacha che significa “farina povera” è stato tradotto come “grazia”, intesa come grazia divina e ora questa canzone popolare si canta con la traduzione errata perché così era scritto nel libro”.
Uno dei canti, una coplas, che fecero più scalpore è Santo Cristo de Limpias. Come viene accolto questo canto oggi?
“La gente comprende bene il significato – spiega Rituerto – è la metafora di ciò che il popolo sentiva in quel tempo nei confronti dei preti e di una Chiesa collusa con la dittatura”.

A voi come regista e sceneggiatrice cosa ha dato lavorare a questo film?
“L’importanza di ascoltare – risponde Rituerto – di comprendere come la musica sia uno strumento per valorizzare la memoria di un popolo. Così è nata un’opera collettiva perché la memoria è aperta. Attraverso la musica risvegliamo la memoria delle persone che andiamo a incontrare e anche la nostra e quindi c’è un dialogo, un modo di pensare il cinema come un “cinema del noi”, un cinema che si basa sull’ascolto, sul mettere in condivisione le idee. Questo film è fatto da tutti, da chi lo ha scritto, girato, montato, ma anche da tutte le persone che sono state intervistate, che hanno messo a disposizione i loro ricordi, le loro storie, le loro voci. Anche dagli spettatoti che assistono alle proiezioni e mettono in comune le loro riflessioni. Tutti contribuiscono a fare parte di questa visione collettiva del nostro lavoro”.
“Questo film per me è speciale – ha aggiunto Lombardía – perché è stato sempre aperto, minuzioso nella ricerca e nella preparazione, ma aperto a raccogliere i contributi che potevano venire dalle persone, dal dialogo costante che c’è stato, dagli incontri. Per me è stata un’esperienza nuova, che ogni giorno mi dà la motivazione per portare in giro la pellicola e far conoscere questa impresa a più persone possibili. Noi siamo nati in un tempo successivo e non abbiamo vissuto la dittatura, alla fine è un film che mi racconta anche del fatto che le cose bisogna andarle a cercare, per capire come la storia è andata veramente. Che bisogna ascoltare più voci, comprendere più punti di vista, incontrare le persone, i testimoni. In tanti hanno voluto contribuire, quindi ecco di nuovo questo noi, questa esperienza collettiva che è fondamentale, perché siamo riusciti a fare qualcosa senza essere indottrinanti”.
Sul tema del razzismo ritorna Rituerto: “Il razzismo è un aspetto primario del fascismo e un film antifascista deve affrontare questa questione. Il film si chiude con la sequenza del viaggio dei migranti mentre all’inizio il film si apre con l’immagine di una statua in un bosco, la statua è un omaggio alla gente che fuggì dalla Spagna verso la Francia durante la guerra civile. La Francia, come l’Europa, in questo momento hanno chiuso le porte ai migranti, a tutte queste persone che arrivano da altre parti del mondo. Questa presa di posizione antifascista si percepisce lungo tutto il film”.
Che tipo di risposta c’è stata dal pubblico alla fine delle proiezioni?
“È sempre un’esperienza molto emozionante – risponde Lombardía -. Abbiamo fatto un tour di un mese in Spagna e ad ogni incontro con il pubblico restiamo colpiti dalle reazioni della gente, perché queste canzoni risvegliano memorie ed è sempre toccante vedere la commozione delle persone. Anche in Francia l’accoglienza è stata incredibile, ora siamo in attesa di organizzare proiezioni in Italia”.

La marsellesa de los borrachos, ben padroneggiata dagli autori Rituerto, Lombardía con tutta la troupe, nel dialogo tra materiali eterogenei, quelli d’archivio e quelli provenienti dalle riprese sui diversi set, è un’opera che per varie ragioni merita di essere diffusamente presentata, vista e ascoltata. Per chi crede nella forza del canto come espressione di un sentimento collettivo, qui ne ha un eccezionale esempio, perché ciò che emerge è la vicenda di un popolo che ha manifestato la propria integrità e che ancora nel presente mantiene vivo quel principio di opposizione al fascismo, facendo del canto memoria, spazio di incontro, condivisione di ideali libertari. E questo è un tema potentissimo. Dall’altra parte c’è il dato storico, il documento originale e inedito che si anima in tutto il suo clamore nelle voci di Sergio Liberovici, di Margot Galante Garrone, di Michele Luciano Straniero, nelle fotografie di giovani che affrontavano rischi e pericoli per far conoscere verità scomode, valide ancora oggi. Nella voce roca di Lionello Gennero, nella presenza notevole di Emilio Jona, protagonista, narratore e filo conduttore tra il passato e il presente. E poi ci sono i numerosi contributi di musicisti, voci di gruppi e interpreti solisti che rivestono i canti di nuove sonorità e compongono una colonna sonora intensa e suggestiva, in cui per ogni interpretazione si avverte il senso del rispetto verso chi quel canto lo intonò allora, nella clandestinità, nella paura, nella sofferenza, nella voglia di riscatto. C’è la Storia che si rivela come testimonianza documentata, c’è il presente che porta con sé inevitabili interrogativi.
Il film è stato prodotto da Boogaloo Films, Les Films de l’œil sauvage, GraffitiDoc, Escarlata; con la partecipazione di France Télévisions e TVE e con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fund; Creative Europe MEDIA; MiC – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo; Ministerio de Cultura y Deportes – ICAA; Centre National du Cinema e de l’Image Animée – CNC; ICEC – Institut Català d’Empreses Culturals; Memorial Democràtic; Institut Ramon Llull. Con la collaborazione, inoltre, di CREO – Associazione Centro Ricerca Etnomusica Oralità di Torino, che conserva gli archivi sonori e fotografici originali di Cantacronache.
Il trailer del film.
Chiara Ferrari, autrice del libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi, Edizioni Interno4, 2021; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato mercoledì 16 Luglio 2025
Stampato il 16/07/2025 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/pentagramma/la-marsigliese-degli-ubriaconi-w-siempre-la-resistenza-antifranchista/