La voce di Milva riempie la stanza in cui ascoltiamo la sua musica e il teatro in cui la ‘sperimentiamo’ in scena, è il volume immenso e modulato che ci travolge, ma è anche la stessa voce che ‘guardiamo’ uscire dalla sua figura tesa o ripiegata su di sé, che ‘sentiamo’ sulla pelle come un brivido, è l’odore delle poltrone del teatro e del sipario e del palcoscenico.
Roberto Cardia

 “Oggi [24 aprile] – scrive il direttore Claudio Longhi – ci ha lasciato Milva, uno strappo doloroso per il Piccolo Teatro di Milano e per la sua memoria. La sua voce indimenticabile, inconfondibile, luminosa e incisiva come il soprannome che indossava con eleganza, ha tracciato un capitolo importante della storia della musica e del teatro italiano, colorandolo del rosso della sua chioma e della sua incandescente personalità”. (Ansa).

Se ne è andata a 81 anni, nella sua abitazione di Milano, Milva “la Rossa”. È mancata poco prima delle celebrazioni del 76° anniversario della Liberazione d’Italia, un 25 aprile segnato dal divieto di assembramento per le restrizioni anti Covid-19, più intimo e solitario, ma pur ricco di iniziative e sempre vivo nella volontà di preservare la memoria di chi ha combattuto contro il nazifascismo.

E che quest’anno ha avuto come colonna sonora le canzoni resistenziali che la “Pantera di Goro” ha cantato durante la sua lunga carriera. Poggiata su un solido impegno antifascista. Celebrare con lei questo anniversario ci ha permesso di ricordare quanto, per questa artista, il canto sia stato anche occasione di attivismo, di militanza e di solidarietà al mondo degli ultimi. Ha dato voce alle loro preghiere, al coraggio e alle speranze di uomini e donne schiacciati dalla violenza di una dittatura, pronti a tutto pur di rialzare la testa. Ha unito all’arte perfetta della sua recitazione e del canto un intento pedagogico, volto ad accrescere il senso critico e civico nel suo pubblico, educandolo agli ideali democratici, della libertà e dell’uguaglianza.

Milva e Alda Merini

Una carriera costellata di successi e riconoscimenti in tutto il mondo, che lei stessa ha riassunto nell’addio alle scene pubblicato nel 2010 sul suo sito internet: “Dopo cinquantadue anni di ininterrotta attività – ha scritto – migliaia di concerti e spettacoli teatrali sui palcoscenici di una buona metà del pianeta, dopo un centinaio di album incisi in almeno sette lingue diverse, ho deciso di mettere un punto fermo alla mia carriera di interprete dal vivo: una carriera che credo grande e unica, non solo come cantante ma come attrice ed esecutrice musicale e teatrale, prediletta da registi e compositori della statura di Giorgio Strehler e Astor Piazzolla, Franco Battiato e Vangelis, Luciano Berio ed Ennio Morricone; oltre che complice privilegiata di scrittori e poeti come Alda Merini, Paolo Maurensig, Giorgio Faletti, ai cui testi ho offerto la mia voce”.

Una carriera che l’ha vista sui principali teatri del mondo: dalla Scala al Piccolo Teatro di Milano dallo Châtelet all’Opéra di Parigi e dallo Schauspielhaus di Zurigo alla Konzerhaus di Berlino, dal Concertgebouv di Amsterdam alla Suntory Hall a Tokyo. Una carriera stellare partita dal basso, dalle balere del ferrarese, prime esperienze canore di una giovane, all’anagrafe Maria Ilva Biolcati, nata a Goro, paese della Pianura Padana, nel 1939. Che presto diventerà Milva. Quando la Rai del 1959 indice un concorso di voci nuove, lei, immediatamente notata per l’originalità del suo timbro, arriverà prima. Comincerà a incidere per la Cetra e sarà al Festival di Sanremo nel 1961, terza classificata con Il mare nel cassetto.

Sono anni di grandi trasformazioni nel mondo della musica: tra la nascita delle prime case discografiche, nel dopoguerra, e i primi anni Sessanta, il mercato vede l’esplosione dell’industria del disco e dell’intrattenimento in conseguenza del ribollire prodotto dal miracolo economico in tutti i settori dell’economia italiana. Una gran quantità di nuovi talenti si affaccia sul mercato. Emergono le voci dei cantautori, innovative per le loro specifiche singolarità, ma permangono anche modelli più tradizionali. Milva, tra questi, vince concorsi, incide dischi, è apprezzata per la linea melodica delle sue canzoni. Nel 1962 presenta al Festival di Sanremo Tango italiano e con la sua esibizione viene salutata dalla critica come la nuova Edith Piaf.

Inciderà, infatti, Milord, tratta dal repertorio della cantante francese, alla quale Milva dedicherà un intero LP “Canzoni di Edith Piaf” (1970), divenendone una delle eredi più significative.

Gli album “Canzoni del tabarin” e “Canzoni da cortile” (1963) sono una raccolta di brani degli anni Venti e Trenta, riproposti con un nuovo arrangiamento da cui emergono le qualità vocali e interpretative della giovane Milva che conducono l’artista verso un mondo musicalmente colto ma spensierato nei contenuti.

Milva, invece, vuole dare un significato diverso alla sua arte. Decide di cambiare rotta, compie scelte coraggiose e, insieme ai brani più convenzionali e commerciali, ne interpreta diversi provenienti dal patrimonio folk italiano, canzoni sociali, canzoni politiche e di protesta. Lungo questa strada incontrerà il teatro.

Dal dopoguerra, a Milano, attorno al Piccolo Teatro, si raccolgono personalità di artisti e intellettuali che aprono il teatro alla canzone, rifacendosi all’esperienza del drammaturgo tedesco Bertolt Brecht. Uniscono al canto, la musica, il cabaret, il teatro, la scrittura musicale e riescono a proporre canzoni popolari che raccontano fatti reali, con tutta la loro crudezza e verità. Le “canzoni della mala” con i testi di Giorgio Strehler e Dario Fo, le musiche di Fiorenzo Carpi e la voce di Ornella Vanoni, rinnovano l’idea dell’opera totale, della canzone come luogo d’incontro di linguaggi diversi tutti orientati a raccontare il vero, la quotidianità, personaggi e vicende della storia d’Italia. Come anche le creazioni di Franco Fortini interpretate da Laura Betti. O gli spettacoli di Dario Fo, che mirano a unire satira e intento pedagogico, nell’idea di accrescere il senso critico dello spettatore e la sua capacità di lettura dei fatti. E poi, la canzone-cabaret dei Gufi, il grande salto che la canzone d’autore fa grazie all’arte di Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci. È la scuola milanese che cresce attorno al Piccolo Teatro, centro culturale, attivo nella ricerca drammaturgica d’avanguardia. Lo fondano Giorgio Strehler, insieme a Nina Vinchi e Paolo Grassi, in via Rovello. È proprio Paolo Grassi a invitarla a interpretare e incidere i “Canti della Libertà”, in occasione del XX anniversario della Liberazione dal fascismo nel 1965. Milva canta brani memorabili, rivoluzionari come La Marsigliese, Inno a Oberdan,

Addio Lugano bella del poeta anarchico Pietro Gori,

John Brown, in ricordo delle lotte contro la schiavitù,

una versione mondina di Bella ciao, dal vivo:

https://youtu.be/JhnBB7w2bRw?t=90

e registrata

https://www.youtube.com/watch?v=iu_wpvOgIfI

e poi quella partigiana.

 

Intero album:

Torna su questi temi nell’album “Libertà” (1975) dove incide, tra gli altri, 25 aprile 1945,

il canto cileno scritto per la campagna elettorale di Salvador Allende, Venceremos,

l’Hasta siempre di Carlos Puebla

e un’emozionante Per i morti di Reggio Emilia, dove Milva incontra la scrittura tagliente di Fausto Amodei, tra i fondatori di Cantacronache, esperienza poetico-musicale torinese attiva tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta, animata dalla volontà di fare della canzone strumento di denuncia dei fatti di cronaca sociale e politica. E questa è un’influenza che certamente segna il suo percorso artistico.

 

Da Cantacronache a Giorgio Strehler passando per Brecht. Il suo teatro epico, unito all’innovativa scrittura musicale di Kurt Weill, ha rappresentato il migliore esito di quella grande esperienza di democrazia che fu la Repubblica di Weimar, espressione di una fase di libertà espressiva e di creatività, prima della crisi del ’29 che aprirà le porte all’affermazione di Hitler. Il teatro era diventato arte popolare, ovvero una mescolanza di vari elementi: semplicità del linguaggio e dei contenuti, umorismo, impegno etico e sociale, critica alla dominante classe borghese conservatrice dei propri interessi. I

Milva e Mina

l teatro, che riprendeva la forma del song, “un genere strappalacrime da cantarsi con l’accompagnamento dell’organetto e della fisarmonica, di estrema facilità melodica”, scrivono Ernesto Assante e Gino Castaldo in “Genesi. La nascita del rock ’n’ roll”, era riuscito a coinvolgere un sempre più vasto pubblico stimolato a riflettere sulle vicende messe in scena. Un’arma di denuncia e di condanna da puntare contro l’affermazione del nazismo. Spettacoli come “L’Opera da tre soldi” o “Ascesa e Caduta della Città di Mahagonny” si rivelavano crude metafore della Berlino del tempo, animata da speculatori, imbroglioni, prostitute, fecce umane. Poesia e musica erano concepite come occasione di impegno civile, non come forme di intrattenimento o di evasione dalla realtà e dalle sue problematiche quotidiane.

Questo è lo spunto che muove anche registi, drammaturghi e cantautori in Italia. Il rinnovamento della canzone italiana, con la nascita delle prime forme di cantautorato, di una canzone espressione di una poetica personale e di uno sguardo sulla realtà sociale e politica, quella dal dopoguerra, in parte ha come riferimento la scuola brechtiana. Così Giorgio Strehler, impegnato nel rilancio di una funzione politico-civile e pubblica del teatro, insieme a Milva, nel 1967 porterà in scena il recital “Io, Bertolt Brecht”. Liriche e canzoni tratte dalle opere dell’autore tedesco con le musiche di Hanns Eisler e Kurt Weill, verranno proposte e reinterpretate.

Milva e Strehler

Anche le scelte registiche di Strehler sono in accordo alla poetica del drammaturgo di Augusta: l’attore non deve più indurre lo spettatore a una partecipazione illusoria, all’immedesimazione, emozionarlo, distoglierlo. Al contrario, secondo l’estetica brechtiana, che Strehler trasmette a Milva, l’attore deve raccontare fatti, storie, situazioni con un atteggiamento impassibile e oggettivo inducendo lo spettatore a riflettere su ciò che viene mostrato in scena. Per l’attore questo meccanismo prende il nome di “straniamento” o “dizione epica”. Un espediente che innesca un distacco tra l’artista e il pubblico, incoraggiato a sviluppare senso critico piuttosto che immedesimazione e partecipazione emotiva di fronte allo spettacolo o alla canzone. Per Milva si tratta di una prova complessa, che richiede un continuo lavoro su se stessa, un diverso approccio ai testi e alla rappresentazione che implica un notevole sforzo interpretativo, rara capacità di autocontrollo e una perfetta padronanza della scena.

È una ricerca continua. Nel 1969 Giorgio Strehler con il gruppo Teatro e Azione mette in scena al Teatro Quirino di Roma lo spettacolo “Cantata di un mostro lusitano” di Peter Weiss, musiche di Fiorenzo Carpi e Bruno Nicolai. Si racconta della conquista dell’Angola da parte di colonizzatori portoghesi e si condanna aspramente l’operato del dittatore portoghese Antònio de Oliveira Salazar e dei fascisti suoi seguaci. Si tratta di un progetto che rappresenta a pieno la natura sociale e politica del teatro italiano alla fine degli anni Sessanta. Milva è tra gli interpreti principali. E la sua partecipazione è il segno non solo di un’adesione artistica, ma profondamente umana, nell’idea che attraverso queste opere sia possibile portare a conoscenza di un sempre più ampio pubblico, gli atti di autoritarismo, di violenza e dittatura militare che avvengono nel mondo.

 

Ma è nel 1973 che Milva darà prova di eccezionale duttilità e grandezza artistica nell’allestimento memorabile del capolavoro brechtiano “L’Opera da tre soldi”, sempre per la regia di Strehler. Milva lascia un segno indelebile con la sua interpretazione di Jenny dei Pirati, accanto a Domenico Modugno, che indossa i panni di Mackie Messer. La storia mette in scena il cinismo del mondo aristocratico e borghese con i suoi affari, i suoi interessi e intrighi. In primo piano c’è il mondo proletario, dei derelitti, degli ultimi, della gente comune.

In quest’opera Brecht contesta la logica borghese gretta e arrivista mirata al guadagno, al denaro, all’interesse personale: “Mostra la corruzione, la denuda e la denuncia, ma nel contempo esprime la fiducia che l’uomo possa riscattarsi attraverso l’analisi della propria situazione e che l’arte possa additare i colpevoli e risvegliare il bene che è in ciascuno” scrive Roberto Cardia nella biografia “Milva la voce della poesia”. Brecht si rivela centrale nel percorso artistico di Milva: è la certezza di una funzione quasi salvifica dell’arte, capace di mostrare all’uomo la via della giustizia. L’artista è un tassello fondamentale della società: può condannare le bassezze e dare voce agli emarginati e agli oppressi.

L’introduzione al brano Tango Balade, nel successivo “Milva canta Brecht”, è un’adesione a questa poetica: “La canzone di protesta – recita Milva – nasce dalla fantasia del popolo e dall’esigenza di affidare al canto sofferenze e speranze. In Germania all’inizio del Novecento, nella rinnovata tradizione del cabaret, teatro non di svago ma di satira politica e di riflessione, essa si arricchì e si sviluppò per l’apporto di scrittori drammaturghi e musicisti di valore. Ma fu con Bertolt Brecht e con la musica derisoria e straordinaria di Kurt Weill che la canzone popolare, satirica, polemica, patetica e crudele raggiunse i toni più sferzanti e sanguigni”.

Milva è interprete, cantante, attrice. Accetta di indossare la maschera dello straniamento, di fare suo il personaggio con il distacco e distanziamento ironico necessari, lontana dall’impostazione stanislavskijana, di immedesimazione e resa della parte emotiva. Deve prevalere la crudezza di una narrazione oggettiva, distaccata, anche dei sentimenti.

Le sue interpretazioni dei personaggi femminili sono esemplari. Come già detto, quella di Jenny dei Pirati è senza pari. Si racconta di un’umile domestica e del suo desiderio di distruzione di una città. “È una canzone che esprime il sentimento rivoluzionario – scrive Greta Giavedoni. In essa compaiono, infatti, i simboli della nave (antitesi della casa borghese) e dei pirati (uomini che non permettono ad alcuna regola o legge di assoggettarli, ovvero emblema del potere sovversivo). Queste sono le figure che evoca Jenny, la sguattera d’un albergo d’infimo ordine (che rappresenta tutti coloro che stanno in basso), esprimendo la propria sete di vendetta, secondo alcuni, e di giustizia secondo altri, nei confronti di coloro che l’additano e la deridono senza sapere chi lei sia”. Milva ne rende perfettamente la spietatezza.

 

Sono una miriade i personaggi delle opere del compositore tedesco che Milva, nelle diverse messe in scena, tiene in pugno, incarna, comprende e restituisce. “C’è Milva personaggio, Milva in costume – scrive Roberto Cardia – Milva di sesso maschile, Milva madre, Milva prostituta, Milva tenutaria di bordello, Milva marinaio, Milva innamorata, Milva ragazzina, Milva piccolo assassino… E poi ci sono gli abiti gessati, i passi volgari del magnate, le mani in tasca o che disegnano nell’aria forme femminili strofinano pollice e indice a significare soldi […]. le cravatte allentate intorno ai colletti bianchi, i capelli raccolti, tirati indietro a scomparire, in una coda, a crocchia, sciolti, gli occhiali fittizi; ci sono le tuniche e le fasce che raccolgono la chioma e ci sono i rossetti troppo rossi e le calze nere velate e i tacchi eccessivi e il traballare del passo e il traboccare di copricapo e boa di piume”. Il lavoro di interpretazione e riproposizione dell’opera brechtiana è eccezionale, non a caso già con il progetto “Milva canta Brecht” riceverà, nel 1976, il premio discografico della critica tedesca, acclamata quale migliore interprete brechtiana. E il suo impegno continuerà.

Al Festival di Berlino, nel 1979, Milva guarda ai tragici risvolti dei due conflitti mondiali e dei totalitarismi nazista e fascista. Lo spettacolo “Canzoni tra le due guerre” con la regia di Filippo Crivelli porta il racconto di queste vicende sui maggiori palcoscenici europei. Dalla storia di Lili Marleen

alla passione d’amore di The man I love di Gershwin.

Il percorso è un’occasione per esplorare le origini della canzone del Novecento e formazione della sua identità moderna, sullo sfondo lacerante dei due conflitti mondiali. Intero album:

Intanto il repertorio si amplia e Milva resta affascinata della musica d’autore greca, quella di Mikis Théodorakis. E poi dai versi di grandi poeti come Alda Merini, il greco Nikos Kavvadias, l’uruguaiano Horacio Ferrer. Autori che in comune hanno, in diverse forme, l’esperienza del dolore, l’impegno come missione artistica e sociale, il senso della giustizia, la speranza del riscatto. Esiliati ed estranei al sistema. Sulle musiche composte da Thanos Mikroutsikos e tesi italiani di Maurizio Piccoli e Massimo Gallerani Milva incide l’album “Volpe d’amore”.

Ci sono i temi della nostalgia, ma anche della polemica verso una realtà da contrastare, brechtianamente, da condannare. Solo la condivisione degli affetti e un’idea politica egualitaria possono rappresentare una salvezza.

Di Alda Merini, con le musiche di Giovanni Nuti, straordinaria è Sono nata il ventuno a primavera, una poesia e una canzone sulla follia come spirito vitale: Sono nata il ventuno a primavera/ma non sapevo che nascere folle,/aprire le zolle/ potesse scatenar tempesta.

 

Fatale, nel 1984, al teatro di Peter Brook di Parigi, l’incontro con il musicista argentino Astor Piazzolla, con cui realizza spettacoli toccanti. Nel suo brano Morire en Buenos Aires o La Balada para mi muerte, Milva dà voce al viaggio del poeta, in attesa della morte. Un dialogo introspettivo con la parte più profonda di sé, a Buenos Aires, luogo di solitudine. Morirò in Buenos Aires “è il canto dell’esule che rivendica una sua appartenenza – scrive Cardia – che cerca nella morte un’identità che la vita gli nega. È questa negazione che produce la tristezza ed è questa tristezza che, paradossalmente, consente all’esule di sentire la sua patria ancora più vicina”.

Lo spettacolo si chiude con Preludio para el año 3001 tradotto in Rinascerò che apre alla possibilità di un mondo dominato dalla poesia e dall’arte. È il ritorno dall’esilio, alla scoperta di un nuovo sguardo.

L’album, “Non conosco nessun Patrizio” del 2010 contiene nove cover di pezzi di Franco Battiato più un brano inedito che gli dà il titolo. È la sua ultima incisione.

Milva, artista complessa e multiforme: da una parte interprete popolare che canta brani di grande successo come La filanda della cantante portoghese Amália Rodrigues

o capolavori come Alexanderplatz, scritta da Franco Battiato nell’album “Milva e dintorni” (1982), con il quale ha continuato a collaborare.

Oppure Canzone, di Don Backy, presentata al Festival di Sanremo 1968, dove si classifica terza,

o Da troppo tempo, una delle sue più grandi interpretazioni, con cui, di nuovo, conquista il terzo posto al Festival di Sanremo 1973.

C’è poi la Milva della canzone d’impegno, della poesia, del racconto sociale e politico, della lotta e della liberazione. Poche altre hanno saputo dare valore a repertori così vari, e corpo, suono e significato, alle parole della rivolta, della denuncia e del riscatto sociale. Con una voce potente, autorevole e una espressività straordinariamente carismatica. Poche altre hanno saputo proporre e affermare un’immagine femminile così travolgente, eroica e coraggiosa. Un’immagine di forza, intelligenza e libertà.

“Ritengo che proprio questa speciale combinazione di capacità, versatilità e passione – si legge ancora dalla pagina del sito – sia stato il mio dono più prezioso e memorabile al pubblico e alla musica che ho interpretato e per quello voglio essere ricordata […]. Saluto con affetto e riconoscenza il mio adorato pubblico, di Italia, Germania, Svizzera, Austria, Giappone, Francia, Grecia, Spagna, Argentina, Polonia, Olanda, Corea, Croazia, Slovenia, Russia, Stati Uniti, che mi ha seguita e amata. Grazie, Milva”.

Grazie, Milva.

Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli