“Una prosa senza retorica, trasudante di elementi intimisti, misuratamente lirici e naturalisti, strutturata come un quadro dei macchiaioli”, ha scritto con parole felici Alberto Schiappacasse. Partigiano, Roberto* – Ruby è stato vicesindaco di Recco, presidente dell’Anpi provinciale di Genova, membro della segreteria nazionale Anpi, condirettore di Patria Indipendente quando questo periodico era cartaceo. A lui è intitolata la sezione Anpi di Recco, che proprio in questi giorni è diventata sezione Anpi Recco Camogli Ruby Bonfiglioli.

Ruby Bonfiglioli scriveva in un modo sorprendente, con un irripetibile intreccio di giornalismo, narrazione e poesia. In questo suo racconto, scritto a vent’anni, come nel testo di Aimaro Isola si legge del paesaggio partigiano, spesso alleato, alle volte complice del combattente guerrigliero.

 

Siamo riusciti a farla in barba ai rastrellatori e marciamo verso i nostri casoni, ancora distanti. Ma li abbiamo d’intorno, non sappiamo dove, e forse ci cercano ancora: ma passeremo ancora in mezzo a loro, nella notte ch’è amica nostra.

Avanti, avanti, come lunga si snoda la colonna dei partigiani. La luna estremamente luminosa pare corra vertiginosamente nel cielo, dietro ad incessanti nubi di forme lunghe enormi strane. I prati e i boschi, di tratto in tratto, luminosi di questa sua corsa; canaletti e rivi a brillare d’argento al suo apparire, sussurrano un attimo dopo nel buio.

La chiazza verde smeraldo del prato che s’apre in lento pendio ascendente fuori del fitto intreccio del bosco s’accende di riflessi e d’ombre. Lunga come serpe, in lenta sinuosità ad arco, striscia sul prato la fila degli armati, ed accanto, strane forme sul verde terreno, le loro ombre.

Picchi innumerevoli di roccia erti massicci strapiombanti sul sentiero che lascia deciso il prato superando cespugli di sterpi, balenano all’intermittente raggio di luna nella loro pietra chiara, in risalto d’argento con le ombre nere e decise dei crepacci che li incidono come rudi solchi, e dei cespugli abbarbicati selvaggi alla roccia nuda. Passi che calcano decisi sul fondo sgretolato del sentiero. Sprazzi d’azzurro cupo intenso del cielo proprio sul capo; nuvole nere massicce in corsa davanti alla sfera dorata della luna; compatta una massa di tenebre di sfondo alle rocce.

Ombre, bisbigli sommessi d’uomo passi elastici, dondolio nei corpi; teste che ciondolano; respiri forti. Uno che toglie una scarpa ansando dal piede dolorante. Sui monti in vetta calano filacce pendule e dense di nebbia.

Monte Penna e Monte Pennino ne sono avvolti completamente. Più buio, più buio: tutto s’oscura sotto la cupa muraglia rotta di un rosso lampo di saetta.

«Porco mondo. Accidenti. Dio faus». Maledizioni. Si deve rallentare la marcia; testare il terreno col piede, diminuendo il dondolio, più male alle piante arrossate.

Dalle gole e dalle conche sale alle vette rumoroso un gran soffio di vento, investe uomini, abeti e faggi, fischia sui picchi di tenebra. E crepita d’un tratto la pioggia grossa dura fitta tra il fragore d’un tuono violento.

Chi ha la giacca la serra sull’arma, canne in basso, nelle saccocce i caricatori. Bestemmiare e tenere basso il capo per respirare, tanta è l’irruenza del vento. E camminare.

Il lampo vivido di fuoco vivo accende di continuo la notte.

I piedi sono a guazzo nelle scarpe ripiene d’acqua; la pioggia continua a battere, da ore, sugli uomini che camminano, svelti ma stanchi, gli occhi abbagliati dai lampi accecanti, i penduli capelli gocciolanti che si appiccicano sul viso. E tanto freddo, che da ore penetra fino alle ossa fino alle midolla, e non basta la marcia continua a cacciarlo.

La lunga fila sotto gli abeti bassi, tra i lampi, teste incassate tra le spalle mentre la pioggia diluvia, parole irate frammischiate a qualche scoppio di risa. Nervosismo per tutta la schiera. Una domanda dalla testa alla coda: — Ci siamo tutti? — che passa da uomo a uomo da bocca a bocca col vento. — «Tutti: avanti» — ripetono le bocche, sino al primo, e la colonna riparte.

Le vesti zuppe sono appiccicate e gelide. L’acqua bagna più che ad esser nudi.

La vecchia casermetta della «forestale», semidistrutta ma con un tetto e un camino appare come l’ancora della salvezza. La ressa nel buio dinanzi alla porta sbarrata da tavoli e rami alla rinfusa, l’assalto per entrare, agghiacciati per la corrente violenta che circola libera per i pochi locali.

S’alza una gran fiammata da un mucchio di paglia, per una scintilla scaturita da un fiammifero chissà come ancora asciutto. Una fiamma violenta, alta fino al tetto, lambisce d’un balzo i primi; si ritraggono gli uomini, ma godono della vampata. Il fuoco è acceso. Col calcio d’un fucile si rompono rumorosamente alcune tavole e si alimenta la fiamma.

Al calore riaffollano alla bocca le parole allegre, le bestemmie che si ripetono rapide han nuovo sapore di gioia e d’allegria, le frasi scherzose, anche quelle volgari, sanno di vita sana.

Se arrivassero adesso «gli altri»… forse gli uomini nudi saprebbero uscire sotto la pioggia e ingaggiare battaglia.


*Roberto Bonfiglioli perde tutta la famiglia sotto le macerie a Recco. Subito dopo l’8 settembre si unisce ad un gruppo di giovani antifascisti col nome di battaglia di Ruby. Entra poi a fare parte della formazione Giustizia e Libertà dislocata tra il fiume Trebbia, Aveto e la Val Fontanabuona. A fine maggio 1944 viene arrestato e condotto alla questura di Genova, ove è sottoposto a pesanti interrogatori. Riesce a fuggire e a tornare alla sua formazione.
Partecipa alla liberazione di prigionieri politici ed ebrei rinchiusi nel campo di Calvari. Nuovamente arrestato in novembre da reparti della Divisione Monterosa, anche questa volta riesce a fuggire, raggiungendo la 5a Armata americana sul fronte delle Apuane. Arruolatosi nel nuovo esercito italiano, fa parte del Gruppo di Combattimento Cremona, impegnato con l’8a Armata britannica sul fronte dell’Adriatico. Partecipa ai combattimenti del Po di Primaro, alla Battaglia del Senio e alla liberazione di Chioggia e Venezia.