«Mi riesce davvero difficile credere che quelli che vengono spacciati come “momenti di libera espressione delle idee” si svolgessero la notte e negli alberghi», dice Giovanni Maria Flick, di fronte ad alcuni passaggi della memoria difensiva di Luca Palamara, il pm coinvolto nell’inchiesta di Perugia che ha terremotato il Consiglio superiore della magistratura. L’ex ministro della Giustizia e già presidente emerito della Consulta si rifà alla saggezza popolare: «Mia nonna diceva che chi ha la coscienza sporca si nasconde. Vorrei sbagliare ma è evidente che non si possono far passare incontri oscuri come dibattiti alla luce del sole».
Professor Flick, ogni giorno che passa il quadro che emerge dall’affaire Csm si fa sempre più complicato e più torbido. Nella memoria difensiva Palamara sostiene di essere stato parte di un sistema e dei difetti di questo sistema di cui non può, dice, assumersi tutte le responsabilità. Come legge questo passaggio? Che cosa sta dicendo, che messaggio sta dando e a chi?
In linea di principio una affermazione di questo genere può essere fatta per tre diverse motivazioni. Prima motivazione: “facevano tutti così, perché non avrei dovuto farlo anche io?”. La seconda ragione ha, invece, il larvato significato di una minaccia: “state attenti che altrimenti dico che lo facevate anche voi”. La terza, infine, mi ricorda Craxi, quando in Parlamento disse che i soldi delle tangenti li prendevano tutti i partiti, anzi per la precisione che era necessario fare così. Sono tre atteggiamenti abbastanza diversi, che possono anche mescolarsi come un cocktail. Io non sono, ovviamente, in grado di dire quale fosse l’intenzione e non intendo entrare nello specifico della vicenda. Mi preme sottolineare soltanto che una tesi difensiva di questo tipo può avere le tre motivazioni che ho sommariamente esposto. Poi ognuno tragga le sue conclusioni.
Quella delle cene e degli incontri con la politica per indirizzare le scelte sulle nomine sembrerebbe essere una prassi consolidata nel tempo.
Il problema è che questa “prassi” è stata scoperta e quindi va accertata e, se ve ne sono gli estremi, va punita. Non tanto sotto il profilo penale, – io non so se vi sono dei reati, ci penseranno i magistrati ad accertarli – certamente va punita sul piano disciplinare. Erano semplici riunioni per discutere su chi poteva essere più adatto per un determinato ruolo, una determinata procura? Bene, allora perché non farle in modo trasparente, invitando tutti? Si sarebbe tolta quell’aura di conventicola, di non trasparenza che getta un’ombra pesante sulla vicenda. Senza contare che i momenti di libera espressione delle idee possono avere e hanno un grande valore quando si riferiscono a principi, ma quando si risolvono in un giudizio, tra pochi intimi, sulla capacità o meno delle persone – che peraltro non sono messe nella possibilità di difendersi – quando questa sedicente libertà è esercitata al fine di condizionare sia pure in modo indiretto le scelte di un organismo pubblico, beh, si va oltre la l’ammissibile e il tollerabile.
In un intervento durissimo al plenum del Csm il consigliere Giuseppe Cascini ha accostato questa vicenda allo scandalo della P2, la loggia massonica di Gelli che intendeva sovvertire le istituzioni democratiche di questo Paese. Condivide questo allarme?
Non vedo perché si debba sempre fare paralleli con il passato. Paralleli che rischiano per la loro natura di non essere calzanti. Evidentemente nella P2 c’erano un collegamento e una rete di particolare pericolosità, perché il vincolo della segretezza unito al vincolo della fedeltà al gruppo poteva portare a delle conseguenze – lo ha documentato bene la Commissione Anselmi – abbastanza problematiche. Ciò detto, non amo fare paragoni. Non c’è bisogno di evocare la P2 per dire quel che si pensa di questa vicenda inaccettabile e intollerabile che getta una macchia non solo sui responsabili, ma danneggia pesantemente la magistratura in generale. E quando un Paese perde la fiducia nella giustizia, così come quando perde la fiducia nel parlamento, allora la democrazia rischia il corto circuito.
Non teme che dietro le quinte di questa vicenda via sia anche chi intende regolare i conti con la magistratura? Che in nome del rifiuto delle commistioni politica-magistratura si stia andando proprio in una direzione che porta l’ordine giudiziario ad essere non più autonomo ma vassallo del potere politico?
Non so se questa vicenda possa essere stata strumentalizzata da qualcuno che vuol far pagare alla magistratura il suo attivismo e la sua supplenza. So però che la magistratura, o meglio, alcuni esponenti della magistratura, hanno offerto sul piatto d’argento argomenti a favore di chi vuole normalizzare e castrare la magistratura. Il danno che è stato arrecato non solo al Csm ma alla credibilità della magistratura è molto forte ed è per questo che non ci si può accontentare di apprezzare l’autosospensione di alcuni dei giudici coinvolti. E non vale nemmeno l’idea dell’autoriforma. Qui la riforma la deve fare la legge e per fare la legge bisogna che la politica la smetta di eludere e rinfacciarsi reciprocamente la colpa su ogni questione e decida che è necessario trovare un percorso comune per applicare e tutelare la Costituzione.
Qual è il suo giudizio sui magistrati che si “buttano” in politica?
Sostengo da tempo che la porta girevole tra la politica e la magistrature deve essere murata, chiusa a chiave, sigillata. Il magistrato che ha deciso di fare politica non deve rientrare in magistratura. La libertà costituzionale di fare politica è incompatibile con la libertà costituzionale di fare il magistrato. Sono due realtà diverse, due approcci diversi: la politica tende al bene comune anche al prezzo di eventuali compromessi, mentre la giustizia deve realizzare il diritto nei confronti del singolo attraverso l’osservanza della legge. Questo per dire che il passaggio dall’una all’altra parte o addirittura il rimanere a metà, sullo stipite della porta, è l’occasione più agevole per avere quelle deviazioni che si stanno squadernando davanti ai nostri occhi. Quando sono stato ministro, nel primo governo Prodi, ho cercato di mettere ordine negli incarichi: era diventata una abitudine quella della politica di conquistarsi il magistrato con la consulenza, la nomina politica. Prendere un magistrato come consulente poteva essere sempre interpretato come uno scudo, una protezione. Abbiamo avuto carriere in magistratura che sono diventate politiche, semi-politiche, para-politiche. Passare con disinvoltura dalla magistratura alla politica induce i cittadini a credere che l’attività svolta con indosso la toga non sia altro che una strada preparatoria per arrivare a compiere il salto in politica senza un periodo di decantazione sufficiente. È ora di mettere mano alla questione.
In questi giorni si levano da più parti proposte di riforma del Csm. Che risponde a chi chiede l’abolizione delle correnti?
Le correnti sono il terreno preparatorio di situazioni come quella che ha coinvolto il Csm. L’associazionismo è fondamentale anche per la magistratura e non si può certo negare l’esercizio di questo diritto ad associarsi, anche perché la storia della magistratura dimostra che l’associazionismo è servito a farla maturare, ad aprirla alla realtà sociale, ad evitare forme di autoreferenzialità. Il problema si ha quando la scelta associativa finisce per tradursi in correnti che facilmente possono degenerare. Io posso formare le correnti per diffondere meglio le idee e i principi; è facile però, purtroppo, passare da questo nobile scopo al decadimento dei costumi, a fare cioè delle correnti un mero strumento di potere per cercare, ad esempio, capi degli uffici che siano d’accordo con una cordata piuttosto che un’altra, che facciano far carriera non ai migliori ma agli amici, ai sodali.
L’antidoto allora qual è?
La prima cosa da fare per quel che riguarda il Csm è liberare le candidature dall’ipoteca correntizia che oggi fa sì che o sei portato da una corrente o non ce la fai a vincere. Per evitare questo si possono seguire tanti sistemi, come quello della nomina dei componenti delle authority per cui ciascuno può presentare il proprio curriculum. C’è poi un altro potente antidoto che va tenuto presente. Ci dimentichiamo troppo spesso in nome dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura che il costituente ha messo un grande ombrello costituzionale sull’ordinamento della magistratura, cioè la riserva di legge. Insomma, lo ripeto ancora, è tempo che i requisiti per candidarsi al Consiglio vengano fissati per legge in modo semplice, trasparente. Con gli strumenti tecnologici che abbiamo a disposizione, se si facessero collegi elettorali piccoli ogni magistrato potrebbe conoscere i candidati al Csm senza appoggiarsi alla corrente per sapere chi votare, e allo stesso modo il candidato avrebbe modo di far circolare il proprio nome molto più facilmente. È stato un grave errore trasferire sic et simpliciter questo potere alle correnti, che hanno finito per essere spesso e volentieri solo strumenti per giochi di potere.
Come valuta la possibilità, di cui si è molto parlato in questi giorni, del sorteggio?
È una strada complicata e non solo perché la Costituzione non lo prevede ma anche perché non garantisce il risultato. Il sistema del sorteggio è stato utilizzato nei concorsi universitari e non mi pare che l’esito sia stato così brillante. E poi che vuole che le dica, allo slogan “uno vale uno” non ci credo, penso che in ogni incarico c’è un percorso professionale, di studio, di responsabilità che va valutato. Per questo occorrono le famose pagelle ai giudici che tutti ora chiedono e che quando le proposi furono rifiutate criticandomi aspramente.
Lo scandalo Csm è emerso grazie ad un trojan nel telefonino di Palamara. Secondo lei è un metodo di intercettazione invasivo che merita una regolamentazione rigorosa?
Il trojan può essere una soluzione eccezionale da usare in condizioni eccezionali. Per definizione ogni intercettazione è una forma di lesione al diritto alla privacy. La nostra Costituzione prevede due pilastri per il pluralismo e la democrazia; il primo è la libertà di manifestare liberamente a tutti il proprio pensiero, con l’articolo 21 della Carta. Il secondo pilastro è la libertà e segretezza di poter comunicare il proprio pensiero a una o più persone soltanto, escludendo i terzi. Se l’intercettazione della comunicazione è indispensabile per le indagini, è ovvio che si deve poter intervenire, e infatti la Costituzione prevede limiti per legge sia alla libertà di comunicare sia al diritto alla privacy. L’uso del trojan che lavora sempre e trasmette tutto mi pare però molto rischioso. A mio avviso può essere utilizzato come strumento eccezionalissimo per continuare indagini già avviate, non per iniziarle ex novo, e solo nel caso di reati gravissimi, terrorismo e criminalità organizzata. Non può, insomma, essere esteso automaticamente alla corruzione. Questo approccio è conseguenza di quell’orientamento, che io non condivido, e cioè che vi sia una identità tra corruzione e criminalità organizzata. Sono due realtà che marciano parallele, c’è molto scambio tra l’una e l’altra, ma non si può certo dire che siano la stessa cosa.
Eppure lo “spazza corrotti” fa sua proprio queste tesi.
«Lo “spazza corrotti” mi pare stia diventando spesso e volentieri uno spazza diritti, che sottovaluta fortemente i diritti costituzionali. Il tema delle libertà è cruciale, riguarda tutti, è quello che fa la differenza fra uno stato di diritto e uno stato di polizia. Non dico che la trasparenza totale sia sbagliata o meno, dico che non è conforme al dettato costituzionale.
Un’ultima domanda sul ruolo del Capo dello Stato. Mattarella, nella sua veste di presidente del Csm, ha detto che «bisogna voltare pagina».
Voltare pagina non vuol dire dimenticare quello che c’era scritto nelle prime pagine i giorni precedenti. Vuol dire prendere consapevolezza degli errori commessi e delle modalità migliori per correggerli. Il Presidente della Repubblica come presidente del Csm è stato giustamente molto attivo. Non è solo una questione di moral suasion del Colle. È, nel Presidente, soprattutto il voler ricordare a tutti i principi fondamentali della Costituzione. Valori che si stanno pericolosamente perdendo per strada. Sia per responsabilità di alcuni magistrati sia, conseguentemente, per colpa di chi pensa di potersi vendicare approfittando della oggettiva debolezza in cui versa oggi la magistratura per trasformarla in un organo di dipendenza politica.
Giampiero Cazzato, giornalista professionista, ha lavorato a Liberazione e alla Rinascita della Sinistra, ha collaborato anche col Venerdì di Repubblica
Pubblicato venerdì 12 Luglio 2019
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