
Costituzione della Repubblica italiana, articolo 2 “La Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Considerato “la chiave di volta dell’intero sistema costituzionale” (Crisafulli), l’art.2 – insieme all’art. 1 (principio democratico) e all’art. 3 (principio di eguaglianza) – definisce le linee dell’ordinamento repubblicano, ponendo tre fondamentali principi: centralità della persona, pluralismo, solidarietà.

La “persona” è stata sin dall’inizio il riferimento essenziale per le forze che lavoravano insieme per costruire un sistema nuovo. Dopo l’esperienza del fascismo era unanime l’accordo sull’anteriorità della persona rispetto allo Stato e sulla necessità di rendere i diritti davvero “inviolabili”, sottratti all’arbitrio del legislatore e immodificabili persino mediante il procedimento di revisione costituzionale (art.138). Gruppi diversi per formazione politica e cultura trovarono un punto d’incontro nel valore della persona, patrimonio della tradizione cristiana e della cultura laica, al di là della divergenza sui presupposti – il riferimento alla divinità, alla “radice spirituale e religiosa dell’uomo” (La Pira); o il riferimento alla ragione, alla tradizione di pensiero espressa nella “Dichiarazione” della Francia rivoluzionaria (1789). L’affermazione di Togliatti che il fine di un regime democratico è “garantire un più ampio e più libero sviluppo della persona umana” trovò ampio consenso.
La prospettiva del liberalismo è arricchita: non basta garantire le sole libertà tradizionali; si tratta di assicurare a tutti condizioni minime di vita e di sviluppo per “ricostituire quel minimo di omogeneità della società sottostante allo Stato, cui è legata la vita di ogni regime democratico” (Mortati). Il tessuto sociale in cui la persona si colloca è in primo piano; il richiamo dell’art. 2 alle “formazioni sociali”, espressione del pluralismo che la Costituzione disegna, non solo registra la situazione dell’esistenza reale dove nessuno vive isolato ma è necessariamente inserito nella famiglia, in enti e associazioni di vario tipo, ma garantisce anche i diritti alla persona all’interno stesso delle formazioni sociali che non possono limitarli o sacrificarli.
Nemmeno i rimedi giuridici, da soli, sono sufficienti: i diritti non sono davvero effettivi se mancano le condizioni di fatto che ne rendano possibile l’esercizio. Assicurare a tutti le condizioni necessarie per vivere era l’intento fermo dei Costituenti che lo fissarono in primo luogo nei due commi dell’art. 38, assicurando il diritto all’assistenza e alla previdenza in modo da coprire tutte le persone e in varie norme su gli altri diritti sociali. Nessuno deve essere lasciato solo: ma è un orizzonte ormai lontano dalla nostra quotidianità. La stessa dignità della persona è gravemente offesa, nel lavoro su cui la Repubblica è – dovrebbe essere – “fondata” (art. 1 Costituzione), nella scuola dov’è offesa la dignità degli insegnanti e degli studenti; ed è soprattutto offesa la dignità di tutti coloro che vivono senza tutela sotto la soglia di povertà. Eppure si tratta di norme costituzionali vincolanti e la loro violazione comporta l’incostituzionalità delle leggi che le violano. L’unico rimedio è rivendicare i diritti davanti a un giudice affinché possa portare la questione alla Corte costituzionale!
Va infine sottolineato che i diritti inviolabili sono costituzionalmente tutelati non solo nei confronti delle istituzioni pubbliche, ma anche nei confronti del potere privato, nei confronti di altri “privati” che, di fatto, si trovino in una posizione dominante che consenta loro di comprimere o condizionare i diritti di persone “deboli” in posizione di soggezione. È importante ricordarlo.
Lorenza Carlassare, professore emerito di Diritto costituzionale nell’Università di Padova
Pubblicato giovedì 2 Febbraio 2017
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