“…è un libro discutibile, e forse scandaloso, ma è bene che gli scandali avvengano, perché provocano discussione e chiarimento delle coscienze”.

Primo Levi, Prefazione a La notte dei girondini.

(Jacob Presser, La notte dei Girondini, traduzione di Primo Levi, Adelphi, prima edizione 1976, nuova edizione 1997, pp. 113, € 9,00)

Nel lager di Westerbork

Non sappiamo se questa foto ritragga anche Debora Appel.

Di lei sappiamo che nel 1936 ha sposato Jacob Presser docente di storia al Vossius Gymnasium di Amsterdam e che nel 1943, 18 marzo, fermata durante un controllo su un treno, viene arrestata e internata a Westerbork, campo di transito forzato dei Paesi Bassi sotto occupazione nazista.

Inscritta nella lista dei dannati, Debora Appel partirà su uno dei diciannove convogli destinati a Sobibor, da dove non farà ritorno.

Nel 1956, oltre dieci anni dopo la sua morte, il marito Jacob, sopravvissuto allo sterminio nella clandestinità dei nascondigli di Lunteren e Barneveld, si metterà alla macchina da scrivere. Dalla sua scrittura torturata, tratta a fatica dalle viscere del rimorso che lo attanaglia, nascerà il breve romanzo “La notte dei girondini”, tardivamente arrivato in Italia, solo grazie nel 1976 alla traduzione di Primo Levi e alla pubblicazione presso Adelphi.

L’edizione del 1976

Jacob Presser, ora docente all’Università di Amsterdam, batte sui tasti della macchina da scrivere. Su ogni parola che egli affida alla stampa pesano le cento pietre dell’insondabile febbre di chi è sopravvissuto. Presser batte sui tasti, ma la voce narrante non è la sua né quella di Debora. La voce che narra è quella di Jacques Suasso Henriquez, ebreo tra gli ebrei, olandese tra gli olandesi, timido professore di incerta carriera e di instabili convinzioni che, reclutato da un allievo, accetta di farsi spia tra le baracche di Westerbork e addetto al servizio d’ordine dei convogli in partenza per l’est. Ribelle solo nell’ultimo scorcio narrativo, il professor Enriquez garantirà i propri servigi agli sterminatori, occupando una piccola sfera di contiguità alle operazioni di deportazione e sterminio, fiancheggiando il dirigente ebreo di più alto grado nel campo, Siegfried Israel Cohn. Sarà la voce del professore Jacques Suasso Henriquez a raccontare la vita a Westerbork [1], la trasmutazione della quota numerica in carne e nome delle persone da inscrivere nella lista dei destinati al trasporto in lager [2] , il suicidio della signorina Wolfson, insegnante di algebra, unica a uscire libera da Westerbork grazie ad una capsula di cianuro [3]. E sarà ancora la voce del professore Henriquez a descrivere come le sue proprie braccia abbiano sollevato dal fango e stretto a sé il corpo della ragazza indicibilmente amata Ninon-Sara De Vries, così da sospingerla alle porte del vagone in partenza, che se la inghiottirà insieme al padre.

L’edizione del 1997

Abbiamo chiuso il libro e lo abbiamo posato sul comodino. Ci siamo lavati le mani quasi a detergerle da tanto orrore e abbiamo guardato la nostra faccia allo specchio ad ottenere conferma del più stupido dei nostri convincimenti: che no, noi mai ci saremmo fatti simili al professore Enriquez.

Uomini vivi e sicuri, quali noi siamo, intabarrati nella soffice luce della nostra stanza, questa notte potremo continuare a sperimentare il nostro disprezzo per coloro che – figure turpi o patetiche – si trascinano nella terra di mezzo che passa tra perseguitati e persecutori?

Forse, invece, stanotte è tempo invece di scrutare la penombra. Di riaprire il libro, e rileggerlo con maggiore attenzione fino a capire che il potere esercita una titanica forza di malia e di contagio, capace di trasformare anche noi, e che le ombre della terra di mezzo non possono dirsi dissolte con la liberazione dell’ultimo lager, ma si allungano nello spazio e nel tempo, replicando sé stesse in forme che sta a noi decifrare.

Quanti di noi, posta la mano nell’ingranaggio di un potere sovrastante e assoluto, avrebbero la forza di non farsene mai, e in nessuna maniera, complici e succubi?

Difficile darsi una risposta rasserenante. Non avremo un buon sonno stanotte.

Annalisa Alessio, vicepresidente Comitato provinciale Anpi Pavia


[1] “la vita consiste nella caccia ad una stringa da scarpe, nel litigio per un posticino vicino alla stufa, nel contatto fugace e zoologico con una donna…per salire a poco a poco ogni settimana di nuovo nell’orrore indicibile, atroce tra tutti della notte del trasporto.

[2] “...ogni lunedì mattina mi dicono quanti e poi io, con un paio di aiutanti combiniamo le liste…di quegli ebrei che ogni martedì mattina partono per il servizio del lavoro come si dice ufficialmente”..

[3] “subito dopo ha perso conoscenza, qualche crampo due o tre guizzi e contrazioni, poi è rimasta immobile. Così non ha lasciato l’Olanda: l’ha vinta lei…beninteso al suo posto è partito un altro per via della quota”.