Angelo Lauricella,  presidente provinciale Anpi Agrigento

Angelo Lauricella è presidente provinciale dell’Anpi di Agrigento, con una lunga esperienza politica alle spalle. Ha ricoperto infatti importanti incarichi, sia a livello locale sia a livello nazionale, ed è stato anche parlamentare nelle file progressiste. Gli abbiamo chiesto quali saranno i temi principali che saranno affrontati dalla Conferenza di Organizzazione del Mezzogiorno dell’Anpi e qual è la situazione delle sezioni meridionali.

Una foto suggestiva del XVII Congresso nazionale Anpi, Riccione 24-27 marzo 2022 (foto Valentina Giunta)

Lauricella, cominciamo parlando dell’appuntamento del prossimo marzo, la Conferenza del Mezzogiorno dell’Anpi. Che caratteristiche avrà?
L’appuntamento è stato deciso dal Congresso nazionale dell’Anpi (2022) e faceva parte delle indicazioni programmatiche. Il compito che è stato attribuito al gruppo dirigente è quello di valutare la situazione del Mezzogiorno e individuare tutti quegli elementi (per rimuoverli) che impediscono la crescita della nostra organizzazione nelle regioni del Sud d’Italia.

Luciano Guerzoni,1935-2017 (Imagoeconomica)

Per quanto mi riguarda, io avevo posto da tempo questo problema discutendone con il compianto vice presidente nazionale vicario, Luciano Guerzoni. Stiamo parlando di tempi abbastanza lontani, mentre le mie posizioni vanno cambiando in base al lavoro che svolgo da più di 13 anni all’interno dell’Anpi. Ritengo quindi una scelta molto importante quella di discutere la situazione delle Anpi del Mezzogiorno avendo come obiettivo la loro crescita. Vi sono però diversi problemi da affrontare. Il primo elemento riguarda la questione dell’orientamento politico dell’associazione. Poi vi sono dei problemi organizzativi che hanno sempre un rapporto con l’orientamento politico. E vi sono anche dei grandi problemi finanziari che a loro volta dipendono dalle questioni di orientamento politico. E poi vi è l’intervento che il Nazionale deve svolgere nel Mezzogiorno. Abbiamo bisogno di discutere il tipo di organizzazione che vogliamo.

Qual è la situazione attuale nelle regioni meridionali?
L’Anpi, anche nel Mezzogiorno, dal 2006, si sta sviluppando su un terreno abbastanza vergine. Da quando si era costituita a Roma nel 1944 (con la guerra ancora in corso), l’Associazione dei partigiani non fu mai al Sud una organizzazione di massa. I partigiani si organizzavano allora prima di tutto in base a problemi di carattere pratico (le pensioni, i riconoscimenti dello status di partigiano, ecc). Ma le organizzazioni, in quel periodo, erano ancora chiuse al loro interno.

Quando Patria Indipendente si vendeva anche nelle edicole

Parlo per la mia esperienza giovanile nel territorio agrigentino. L’unico lavoro rivolto all’esterno era costituito dal giornale Patria Indipendente, che veniva diffuso soprattutto nelle sedi dei partiti democratici. Io stesso ho fatto questa esperienza nella mia federazione dove un partigiano, Gildo Moncada, mutilato, partigiano, combattente, si occupava dell’amministrazione delle finanze dell’organizzazione e ci obbligava ad abbonarci. Il capo supremo era il senatore Salvatore Di Benedetto, che era stato partigiano e si era occupato per conto del Partito Comunista dei collegamenti con la Resistenza del Nord. Aveva fatto parte delle Brigate Garibaldi e nel dopoguerra, in occasione delle celebrazioni del 25 aprile, parlava dell’esperienza dei partigiani. Ma a parte questo, in generale, non c’era nelle regioni meridionali, una grande diffusione dell’organizzazione.

Anche ora abbiamo lo stesso quadro o qualcosa è già cambiato?
Dal 2006 le cose hanno cominciato a cambiare, si ricominciò daccapo. Come sappiamo è l’anno in cui nacque l’organizzazione che vuole essere di tutti gli antifascisti, ma da quel momento si sono dovuti affrontare i problemi a cui ho fatto cenno. La prima questione, che poi è anche la più importante, è quella dell’orientamento politico. La nuova organizzazione dell’Anpi nasce per unire l’insieme delle forze antifasciste, che hanno contribuito alla nascita di una Costituzione che ha uno spirito unitario, che vuole unire l’insieme delle forze vive e democratiche. Ma nell’organizzazione ci sono anche delle frange che impediscono il colloquio interno, delle frange estremiste, che rischiano di bloccare una costruzione che sia la più larga possibile, ovvero l’adesione di tutti coloro che non hanno niente a che fare con l’autoritarismo e il fascismo in qualsiasi forma questo si manifesti. Diventano così elementi che impediscono l’approdo di forze diverse e quindi un allargamento. Questa situazione incide anche nel rapporto con gli Enti pubblici e alla fine determina un isolamento.

Noi vediamo però che l’Anpi nel suo complesso lavora costantemente per costruire alleanze e movimenti unitari e il gruppo dirigente nazionale ha sempre fermamente condannato, in ogni occasione, posizioni cosiddette estreme, fuori dalla realtà dei fatti. A cosa ti riferisci?
Non voglio fare generalizzazioni. Dico solo che in alcune parti dell’organizzazione c’è ancora l’idea che determinate forze non siano abbastanza di sinistra e che la Resistenza debba essere costituita sempre dall’opera della sinistra al suo interno. Qualcuno immagina una politicizzazione dell’Anpi quasi a farne un partito che lavora agli estremi. Tutto questo nuoce allo sviluppo dell’organizzazione. Io penso che in primo luogo l’Anpi debba superare questo aspetto. Dobbiamo diventare un’organizzazione che accoglie l’insieme del movimento democratico cominciando a discutere anche all’interno delle città e delle province con tutto quello che c’è di associativo e democratico. Continuare a farci promotori di un movimento che non favorisca qualche partito in particolare, anche se poi il ragionamento e le attività potranno favorire quelle forze che sono oggettivamente più vicine a noi. Ma deve essere soprattutto un movimento che salvaguardi la Costituzione, che deve essere il punto centrale di ispirazione e di attività. Questo ci permetterebbe di riprendere il lavoro all’interno delle scuole che oggi viene ostacolato o impedito. Il lavoro che dobbiamo fare è proprio quello di rimanere all’interno della scuola con il Protocollo d’intesa che ora viene rimesso in discussione.

(Imagoeconomica, Ermes Beltrami)

Il lavoro dell’Anpi nelle scuole è una delle caratteristiche principali delle iniziative nella società. Qual è la situazione attuale?
L’Anpi è sempre stata all’interno della scuola e nel Mezzogiorno è un lavoro particolarmente importante. Io per esempio ricordo una iniziativa ad Agrigento alla quale hanno partecipato costituzionalisti e dirigenti nazionali dell’Anpi, ricordo tra loro Vincenzo Calò, componente della segreteria nazionale. Tutte le scuole della provincia parteciparono in massa e hanno riempito il grande auditorium dove si è svolta. Stiamo proseguendo questo lavoro, ma dobbiamo tenere conto delle preoccupazioni degli insegnanti che ci invitano a stare attenti alle posizioni che si esprimono per evitare di fare poi della scuola un bersaglio degli attacchi della destra e del governo (come è successo nel caso dell’attacco del ministro Valditara alla preside toscana), una cosa che renderebbe impossibile proseguire questo lavoro importantissimo che ci permette di parlare ai giovani. Ci sono dei segnali chiari che spingono gli insegnanti alla prudenza. Io comunque sono convinto che sui temi della democrazia e della Costituzione e più in generale dei diritti, l’Anpi abbia un grande campo di azione su cui muoversi. Nelle scuole dobbiamo parlare dei problemi attuali, come la violenza contro le donne. In una iniziativa mi hanno fatto parlare con i ragazzi più piccoli, quelli delle prime e delle seconde medie. In quel caso sono rimasto impressionato dalle domande che fanno. La scuola rimane il più importante strumento formativo per la democrazia e la convivenza.

Carlo Smuraglia. È stato presidente nazionale dell’Anpi dal 2011 al 2017 (Imagoeconomica, Paolo Cerroni)

L’altro aspetto?
È lo svolgimento di un’attività culturale. Siamo molto attivi nella presentazione di libri: l’Anpi si presenta come una organizzazione di carattere culturale. Da noi serve per darci un ruolo, ma anche a mantenere un rapporto con gruppi di intellettuali locali che magari non hanno voglia di impegnarsi direttamente nell’organizzazione, ma sono disponibili a un rapporto di collaborazione. Uno dei successi di due iniziative, ad Agrigento e Favara, è che alla fine della riunione il viceprovveditore provinciale ha chiesto l’iscrizione all’Anpi. Questo è un po’ il segno di quello che facciamo. L’Anpi che si caratterizza proprio come associazione culturale capace di lavorare con le altre associazioni culturali del territorio. Uno dei punti principali in questo momento, è proprio quello di non rimanere isolati sulla base dell’esempio che ci ha lasciato Carlo Smuraglia, che fu capace di mettere insieme tutte le associazioni schierate contro la modifica della Costituzione ai tempi del governo Renzi. Noi dovremmo operare sempre meno da soli. Creare una forza dall’unione di tante debolezze.

Il discorso sull’unità vale anche nel rapporto con le istituzioni. Di che cosa si tratta?
L’unità con le altre forze è un elemento centrale per esempio nel campo della programmazione comunale. Ed è un discorso utile anche per affrontare uno dei problemi economici delle nostre associazioni, che riguarda la mancanza di sedi. I costi delle sedi sono diventati molto onerosi e si potrebbero affrontare insieme alle altre associazioni utilizzando per esempio gli edifici abbandonati dei Comuni. La mancata crescita della popolazione ha svuotato alcuni edifici scolastici che in questo momento sono inutilizzati. Basterebbe quindi l’affidamento di edifici scolastici o altri edifici dei grandi patrimoni comunali. Tutte le associazioni assieme potrebbero beneficiarne, utilizzando magari a turno le sedi a disposizione invece di pagare affitti spesso molto onerosi come facciamo oggi. Noi per esempio ci facciamo ospitare nelle sedi della Cgil o del patronato. I Comuni potrebbe invece offrire l’utilizzo di saloni o centri sociali, in affidamento evitando il pagamento degli affitti. Se si risolvesse questo problema avremo come effetto positivo quello della stabilità delle organizzazioni. Anche dal punto di vista degli iscritti che oggi sono magari stabili, ma non crescono. Invece noi dobbiamo puntare alla crescita dei consensi e la stabilità economica in questo senso aiuta. La stabilizzazione ti garantisce la crescita e l’esercizio della democrazia.

Che cosa chiederete dunque alla Conferenza del Mezzogiorno? Come si possono affrontare questi problemi per assicurare la stabilità del lavoro dell’Anpi nei territori?
Qui siamo al quarto punto che dicevamo all’inizio. Per quanto riguarda l’Anpi nazionale io vorrei prima di tutto esprimere un giudizio positivo sul lavoro di Vincenzo Calò, responsabile del Mezzogiorno. La sua attività è preziosa per tutta l’organizzazione. Credo comunque che l’Anpi nazionale debba avere la forza di essere più presente, non solo quando sono invitati i dirigenti nazionali a livello locale. L’Anpi deve andare a controllare direttamente le regioni del Sud, per capire come si evolve l’attività, verificare se ci siano punti di innovazione. L’Anpi deve essere in grado di valutare continuamente se ci sia equilibrio nel ricambio generazionale per far sì che l’organizzazione non sia composta solo da persone anziane. Valutare il livello della vita democratica interna e dell’iniziativa politico-culturale. Il Mezzogiorno ha bisogno in questa fase di essere seguito. È un discorso che vale per tutto il Paese, ma ha un valore maggiore per le nostre regioni meridionali. Un altro aspetto fondamentale è quello della memoria.

Cippo ai martiri di Matera

Ma anche questo elemento della memoria ha un valore universale. Quali sono le specificità che vedi per il Sud?
Il problema per il Mezzogiorno riguarda le radici. Una questione su cui abbiamo lavorato molto ma che va sviluppata. Non si ha ancora la coscienza di quello che è stato il contributo del Mezzogiorno alla Resistenza e alla costruzione dell’Italia democratica. Non stiamo parlando di storia ma di organizzazione perché ogni Comune dovrebbe andare a valutare che cosa è stato l’antifascismo durante il ventennio, quali sono stati i combattenti delle singole zone del Sud durante la Resistenza, quanti sono stati gli Imi (i militari che hanno detto no alla Repubblica di Salò e che sono stati deportati). Gli Imi erano 600 mila e tanti di loro erano meridionali. Molti antifascisti magari non hanno combattuto durante la Resistenza perché sono morti prima, ma si organizzavano. Dobbiamo quindi riportare alla luce le radici meridionali dell’antifascismo e della Resistenza. Avere un rapporto con le famiglie. Un lavoro che abbiamo già avviato attraverso premi e riconoscimenti. Scopriamo radici democratiche e antifasciste anche in famiglie che le ignoravano. Capire quanti sono stati i militari che hanno combattuto, quanti i militari fucilati dai tedeschi perché non avevano aderito alla Repubblica di Salò.

Angelo Lauricella e Vincenzo Calò ritratti accanto alla statua di Leonardo Sciascia a Racalmuto (AG), il paese dove nacque il grande scrittore, durante una iniziativa di qualche tempo fa

Per riassumere, quali sono i punti centrali che andranno discussi a marzo?
Orientamento politico, nuova impostazione dei problemi organizzativi e questione della ricerca sulle radici dell’antifascismo del Sud dovrebbero essere i punti cardine della nostra discussione. Accanto a un ruolo più forte e continuativo dell’Anpi nazionale. Un ruolo e una presenza che non dipendano solo dalle richieste di partecipazione alle iniziative locali. Ci vuole una sorta di controllo democratico. Si tratta di problemi che esistono anche al Nord, magari in modi diversi. Ma sulle radici nelle regioni settentrionali la questione è diversa visto che c’è una grande tradizione nel coltivare la memoria. In ogni angolo dei paesi ci sono ricordi. Moltissimi partigiani meridionali che sono morti nelle regioni del Nord vengono ricordati con targhe e monumenti. Uno è per esempio Salvatore Cacciatore, uno dei quattro martiri di Belluno. E così per Cusumano e per tantissimi altri. Al Nord a ogni porta c’è una lapide o una targa. E questo per un motivo ovvio: il campo di battaglia della Resistenza non era il Sud, ma le regioni del Nord. Poi ci sono i ricordi e la memoria delle varie stragi (Stazzema per esempio, Marzabotto, i fratelli Cervi…). La questione delle radici al Nord è stata sempre molto forte (anche se oggi magari, visti i risultati politici recenti, si potrebbe riscontrare anche un certo indebolimento). Ma l’organizzazione è forte ed è anche in forte crescita. Supplisce in questo momento anche all’indebolimento democratico che si avverte anche in quelle Regioni. Nel Mezzogiorno abbiamo radici più deboli e per questo magari fatichiamo di più a superare la fase politica attuale.

Dal punto di vista più generale, qual è dunque l’orizzonte su cui si dovrebbe muovere l’Anpi?
Elemento centrale è il ruolo e il rapporto con il sindacato. Noi lavoriamo già molto con il sindacato, ma come abbiamo più volte discusso con il presidente nazionale dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo, noi lavoriamo insieme al sindacato unitario, che vorremmo sempre più unitario. L’Anpi ha bisogno di un rapporto stretto con il sindacato confederale nella sua interezza. Vogliamo andare oltre le divisioni. Faccio un esempio: al nostro Congresso nazionale il rappresentante della Cisl che portava i saluti della sua organizzazione ci ha rivelato di essere un iscritto all’Anpi. Ma non è certamente l’unico caso. Riceviamo continuamente molte adesioni che vengono dalla Cisl. Ed è chiaro che noi non ci vogliamo certo sostituirci al sindacato o fare il loro mestiere. Quello che ci interessa è costruire una organizzazione salda che difenda la democrazia e la Costituzione.

E proprio a proposito di Costituzione, alla luce dalla situazione politica attuale e di nuovi tentativi di riforma anche relativi all’autonomia differenziata, che peso potrà avere la Conferenza Anpi del Mezzogiorno nel dibattito pubblico?
Chiaramente l’autonomia differenziata, se venisse applicata così come è stata annunciata, colpirebbe il Mezzogiorno perché il progetto di autonomia differenziata ha come punto principale la concentrazione delle risorse finanziarie laddove sono prodotte. Ed è ovvio che ne arriverebbero molto di meno nel Mezzogiorno. Un fatto che romperebbe la solidarietà nazionale. Tutto questo urta con il dettato della nostra Costituzione. Per questo all’interno della Conferenza del Mezzogiorno noi dovremo fortemente approfondire questo tema. Dobbiamo essere forza organizzativa e culturale, ma anche forza di movimento della società meridionale. Dovremmo quindi contribuire a far crescere un movimento che parta dalla società, ma che inevitabilmente avrà un carattere anche politico.

Il teatro Politeama a Palermo

L’opposizione all’autonomia differenziata è qualcosa che serve per mantenere l’unità del Paese e per dare al Mezzogiorno condizioni di vita migliori. Per evitare che il degrado che già esiste in alcune zone si ampli ulteriormente e che diventerebbe disastroso con una ulteriore divisione. Dobbiamo quindi riprendere l’insegnamento di Smuraglia per la costruzione di una battaglia unitaria con le altre forze, sviluppando e allargando una iniziativa che è già stata avviata e che dovrà diventare anche di monito per le forze politiche. I partiti dovranno avere la forza di fare anche un passo indietro se questo facilitasse lo sviluppo di un forte movimento unitario che coinvolga tutti. È una battaglia che possiamo vincere: un Mezzogiorno unito che scende in campo potrà bloccare il progetto della divisione.