Il presidente provinciale Anpi Napoli e coordinatore regionale Campania, Ciro Raia

In vista della Conferenza di Organizzazione del Mezzogiorno che si terrà a Paestum il prossimo marzo, Patria Indipendente vuol contribuire ad avviare un dibattito su un incontro molto atteso, frutto dell’impegno preso dal Congresso Anpi, e che alla luce dei valori di unità e solidarietà della Resistenza e della Costituzione è importante per l’associazione tutta. Dopo l’intervento illustrativo del vicepresidente nazionale vicario, Carlo Ghezzi; l’intervista ad Angelo Lauricella, presidente provinciale Anpi di Agrigento, la parola a Ciro Raia, presidente provinciale Anpi Napoli e coordinatore regionale Campania, intervistato da Irene Barichello


Patria Indipendente, anno 1952

La Conferenza di Organizzazione del Mezzogiorno che l’ANPI terrà a Paestum il prossimo marzo è l’occasione per inserire di più e meglio il contributo del Sud Italia nel “canone” resistenziale del Paese. Non solo i partigiani meridionali che combatterono nelle brigate del Nord, ma una miriade di storie locali e particolari – accurate e precise – da inserire a pieno titolo nella grande storia corale della lotta di Liberazione: punti di vista complementari che ne spostano e allargano i confini geografici e temporali. Ce lo ha raccontato il prof. Ciro Raia, presidente dell’ANPI provinciale di Napoli.

In senso orario: Gaetano Arfé (1925-2007), Antonio Amoretti (1927-2022), sedicenne, durante le 4 giornate di Napoli; Ciro Raia e Amoretti

Vorrei mi consentissi di partire con una domanda personale. Come è avvenuto il tuo incontro con la Resistenza e il tuo impegno nell’ANPI?
Nella mia famiglia è stato sempre presente il mito di Gaetano Arfè, storico e direttore dell’“Avanti!”. Era mio concittadino, era andato a scuola con mia madre. Ed era stato partigiano in Valtellina. In casa nostra si parlava sempre di Gaetano Arfè e per me i partigiani sono sempre stati un punto di riferimento. Crescendo ne ho conosciuti e frequentati molti. Poi, una decina di anni fa circa, con l’invito e la spinta di Luigi Marino, mi sono avvicinato e iscritto all’ANPI, seguendo inizialmente la scuola e la cultura. Quando il compianto partigiano Antonio Amoretti si è ritirato, si è pensato che potessi assumere la responsabilità di guidare l’ANPI napoletana.

Quanto ci hai raccontato sfata quello che è forse un luogo comune, ossia che il sostrato familiare resistenziale sia una caratteristica esclusiva o prevalente dell’Italia centro-settentrionale.
Credo che questo non sia vero nel modo più assoluto. Il fattore familiare, il coinvolgimento di numerosi membri della famiglia nell’antifascismo e nel “partigianesimo” valgono al sud tanto quanto al nord. Per i figli, ma soprattutto per i nipoti dei partigiani, la Resistenza e il suo racconto hanno esercitato un fascino irresistibile, quello di un vero e proprio simbolo, di un mito. Mito che oggi si è molto affievolito: purtroppo gli uomini e le donne della mia generazione non sono stati capaci di far succedere ai più giovani quel che era successo a noi, non abbiamo saputo tenere vivo questo mito. Non lo abbiamo saputo fare in famiglia, non lo abbiamo saputo fare a scuola, e lo dico da ex docente e preside.

I saluti romani a via Acca Larenzia che si sono ripetuti anche quest’anno il 7 gennaio sono un’ignominia verso chi ha subito le angherie e le violenze del regime (Imagoeconomica, Benvegnù Guaitoli)

La storia della Resistenza è ancora penalizzata nei programmi scolastici?
Tra i banchi delle aule gli anni della Resistenza sono quasi sconosciuti, si discute – e giustamente – delle atrocità contemporanee, di Gaza, di Ucraina – ma non si studia né conosce ciò che potrebbe servire per esempio a valutare come si deve fatti come quelli accaduti recentemente ad Acca Larenzia. Di fascismo non si parla abbastanza, né in casa né a scuola, al punto che quando qualcuno lo introduce nei suoi discorsi appare come una forzatura, come il tic di qualcuno che ne è ossessionato, senza capire invece che una sua opportuna conoscenza occorre a rivelarne la negatività.

In marzo, a Paestum, l’ANPI terrà la Conferenza di Organizzazione del Mezzogiorno. Quali sono le peculiarità che il sud Italia può apportare alla conoscenza e alla narrazione della Resistenza e dell’Antifascismo?
Si potrebbe, per esempio, ricordare e approfondire la storia delle repubbliche contadine sorte nel Sud, in particolare in Sicilia, all’indomani dello sbarco alleato del luglio 1943. Oppure si potrebbero portare alla luce – penso all’ottimo Atlante delle Stragi nazifasciste online realizzato anche grazie all’ANPI – le moltissime e ancora in larga parte misconosciute stragi avvenute nei paesi del Mezzogiorno, messe in atto sia dai tedeschi sia dagli americani. Del resto, come è noto, il profilo complessivo della Resistenza è delineato e formato dall’insieme di piccolissime tessere, a volte diversissime tra loro ma tutte ugualmente importanti e decisive per tratteggiare il carattere unitario di quell’evento storico. Eppure sono passati più di ottant’anni dai fatti di allora, un tempo sufficientemente lungo per fissare e irrigidire quel disegno corale e le storie particolari che lo compongono in una sorta di “vulgata” più rigida, che rischia di venir considerata, anche da qualche storico “mainstream”, definitiva. La Conferenza organizzativa del Mezzogiorno potrebbe essere l’occasione per inaugurare una nuova fase, fluida e aperta all’apporto e al contributo di nuove storie locali al grande affresco resistenziale. Ma per far questo occorre riconoscere alla storia locale e agli storici che la ricercano e ricostruiscono un’altra considerazione, occorre concedere loro una patente di autorevolezza che ancora qualcuno è restio ad attribuire.

Che conseguenza comporta questa refrattarietà?
Si tratta di un riconoscimento fondamentale, visto che anche queste vicende locali, ancora non ben conosciute e inserite nella narrazione generale della Resistenza, convogliano verso la nostra Costituzione, che oggi premierato e autonomia differenziata accusano di non essere più adeguata ai tempi e alle necessità degli italiani.

In memoria della strage di Orto Liuzzo (ME), 14 agosto 1943, un eccidio dimenticato per ben 80 anni

Insomma, assumere ed elevare al pari di tutti gli altri già riconosciuti anche il punto d’osservazione meridionale potrebbe addirittura spostare un po’ più in là quelli che consideriamo gli assodati confini spaziali e temporali della Resistenza: un evento iniziato l’8 settembre ’43 e terminato con la Liberazione il 25 aprile 1945.
Certo, il punto d’osservazione meridionale consentirebbe proprio questo. E non si tratta di mettere in contrapposizione una prospettiva rispetto a un’altra o di rinnegare quella fino ad oggi collettivamente riconosciuta. Si tratta invece di aggiungere e integrare i punti di vista e le esperienze. Si tratta di ricordare, accanto alla liberazione delle città del nord nell’aprile ’45, la liberazione di importantissime città nel ’44, come Roma e Firenze, e – addirittura – battaglie e liberazioni avvenute a Napoli, Matera, Brindisi, Bari e in molti città e villaggi siciliani fin dal luglio del 1943. Carte alla mano, si può dimostrare che la Resistenza è stata un movimento e un impulso che davvero ha attraversato l’Italia da sud a nord, e non solo perché molti soldati meridionali, sbandati dopo l’armistizio, hanno combattuto con le brigate partigiane nel nord.

Sappiamo che a Napoli, l’Anpi è molto impegnata nella ricerca.
Il lavoro di documentazione e raccolta è già incominciato, si tratta molto spesso di implementarlo, renderlo accessibile e fruibile, di diffonderlo e farlo conoscere. Penso, per esempio, alla piattaforma www.napoli43.it che vuole, tra le altre cose, stimolare la curiosità dei cittadini che talvolta, anche per una forma di pudore, non raccontano i loro ricordi di allora. Quanti cittadini delle province meridionali d’Italia non hanno mai raccontato le loro storie familiari o tirato fuori dai cassetti lettere, diari o documenti? Il territorio del nostro Mezzogiorno è vastissimo, la massa di ricordi che conserva è considerevole. Occorre rintracciare queste memorie, archiviarle e catalogarle, renderle patrimonio di tutti, perché trasmettere la memoria significa costruire una proiezione sul futuro di tutti.

Fascisti a Napoli (Lombardia Beni culturali)

Oltre a questo, prevalentemente storiografico, a quale altro obiettivo potrebbero concorrere una storia della Resistenza e un’attività dell’ANPI meno nord-centriche?
La necessità di presentare la Resistenza come un fatto non esclusivamente centro-settentrionale è direttamente proporzionale alla necessità di sfatare il luogo comune che al Sud il fascismo sia stata una dittatura all’acqua di rose. Non è stato così, solo che al sud si sono documentati meno e peggio le angherie, i soprusi e le violenze fasciste. L’attuale arretratezza delle nostre regioni rispetto al nord è figlia anche del fascismo: al sud è sempre esistito un notabilato camaleontico, all’occorrenza liberale, fascista, democristiano e via dicendo. È stato un ben preciso e perseguito scopo quello di evitare l’incremento diffuso e democratico della cultura, per mantenere la popolazione in una sorta di stato di minorità. E proprio in merito a questo, noi uomini contemporanei e iscritti ANPI, possiamo darci delle linee d’azione chiare per provare a sanare qualche guaio.

Ci puoi fare qualche esempio?
Ne indico tre. Incentivare la conoscenza, che è di per sé illimitata, possiamo individuare filoni che approfondiscano meglio il noto o che provino a scoprire qualcosa di nuovo. Stimolare la curiosità, che è una parola che deriva da “cura”, ossia avere a cuore, studiare con attenzione. C’è troppa superficialità oggi, si bada solo al prodotto finito senza occuparsi del processo compositivo alle spalle. Costruzione: conoscenza e curiosità portano a costruire cose nuove, idee, forme di aggregazione e condivisione… e queste nuove costruzioni devono essere vive e abitate dai cittadini di oggi, devono essere strumenti utili a comprendere il nostro tempo, non possono limitarsi ad essere musei in cui si contempla un passato che rischia di restare morto, muto. Alla luce di tutto questo appare chiara la necessità, l’urgenza di una formazione permanente ed estesa, rivolta però non solo ai dirigenti dell’ANPI, ma anche ai quadri intermedi, agli iscritti e – più in generale – agli adulti che si occupano di veicolare nozioni e conoscenza, in primis i docenti. Sia i nostri iscritti che, ancor più, gli insegnanti, non possono limitarsi a sapere le cose, devono anche saperle trasmettere. Non tutti sanno farlo, e colmare questa lacuna è fondamentale, altrimenti potremmo pensare di tenere, come ANPI, ottimi incontri nelle scuole ma non saranno sufficienti se non possiamo contare sul lavoro costante e continuo degli insegnanti.

Napoli, la prima persona da sinistra è la vicepresidente del Comitato provinciale partenopeo, Sara Cucciolito

A proposito, e l’ANPI a scuola?
Da quando sono presidente, il lavoro dell’ANPI napoletana con le studentesse e gli studenti è molto cresciuto. Questo è stato facilitato certo dal mio essere stato uomo di scuola, ma anche dalla decisione di smettere di andare nelle classi a “testimoniare me stesso”, ma di andarci invece in modi innovativi, che rendessero protagonisti ragazze e ragazzi, che li ascoltassero. Questo – voglio sottolinearlo – è accaduto anche grazie alle doti e all’impegno di una giovane vicepresidente come Sara Cucciolito.

Con chi si rapporta maggiormente l’ANPI, al sud, per svolgere le sue iniziative?
Rapportarsi con i partiti è difficile, occorre infatti considerare che il grande incremento di iscritti ANPI è dovuto anche al crollo, da qualche anno ormai a questa parte, delle iscrizioni ai partiti. Purtroppo però questo ha fatto sì che si ricreassero anche nell’associazione le varie ostilità e incomprensioni tra correnti partitiche e questo ha generato, e genera, situazioni a volte “bollenti”. Ma accanto al declino del ruolo dei partiti nella società, si registra anche quello dell’Azione cattolica, per questo motivo oggi è più facile anche per l’ANPI incontrarsi e collaborare direttamente col mondo del volontariato. Dal volontariato ho imparato che la frase “i giovani non partecipano, non sono interessati” è una grande bugia, perché se ai ragazzi si propone di partecipare, lasciando però loro anche lo spazio per farlo nei modi più congeniali, allora i ragazzi arrivano, si impegnano e restano, perché il riconoscimento e la ricompensa più grande è l’attivismo in sé. ARCI e Legambiente, solo per fare due nomi fra i molti altri possibili, hanno sempre garantito ottime e facili collaborazioni. Lo stesso si può dire per enti ed istituti di grande prestigio e serietà, come l’Archivio di Stato o il Museo Nazionale di Napoli, che hanno sempre accettato di sedersi al tavolo con l’ANPI in maniera democratica e paritaria, mettendo a disposizione competenza e passione. È, devo dire, davvero la passione l’ingrediente segreto che unisce e consente di raggiungere traguardi ambiziosi: la passione mette insieme realtà diverse, ma la passione è anche quella di tenere alto il vessillo dell’antifascismo. Questo ci tiene uniti e ci coinvolge nell’associazione, spingendoci ad agire e a impegnarci.