Dettaglio di un dipinto del pittore olandese Hieronymus Bosch (1453-1516)

Non sempre la violenza è fascista, ma il fascismo è sempre violento, ha affermato Gianfranco Pagliarulo nella sua relazione all’ultima riunione del Comitato nazionale Anpi.

V’è di più: uno dei tratti distintivi del fascismo sta nel fatto che esso rappresenta il concentrato di molte forme di violenza (fisica, morale, psicologica), e che ne pratica le differenti gradazioni (terrorismo, guerra, sterminio). In primo luogo, per il fascismo la violenza costituisce lo strumento costante, privilegiato, la regola e non l’eccezione, della lotta politica.

Sia quando si trasforma in regime, sia quando opera come movimento o partito che si prefigge l’eversione dell’assetto istituzionale della democrazia rappresentativa, il fascismo ricorre di norma alla violenza, talvolta con l’obiettivo della eliminazione fisica degli avversari, talaltra a fini di intimidazione e di coercizione, oppure a scopo dimostrativo.

Benedetto Petrone

A questa fattispecie va ascritto l’assassinio del giovane operaio comunista Benedetto Petrone, di cui si parla in altra parte di questo giornale.

La squadraccia uscita la sera del 28 novembre 1977 dalla federazione provinciale del Msi di Bari per dare una lezione ai “rossi” era determinata a uccidere; in un quadro segnato dalla vittoria dei No al referendum abrogativo della legge sul divorzio, dall’avanzata elettorale del Pci nel biennio 1975-1976 e dall’ingresso di quel partito nella maggioranza di governo, i fascisti intendevano manifestare a chiare lettere la loro volontà di opporsi con ogni mezzo allo spostamento a sinistra degli equilibri politici, e avevano scelto di farlo in una città tradizionalmente considerata come una loro roccaforte.

1922, marcia su Roma. I roghi degli squadristi

Ma va pure notato, più in generale, che nel fascismo l’esercizio sistematico della violenza come strumento di lotta politica deriva dall’odio fondamentalista, dal culto della forza, da un darwinismo d’accatto, da una visione rozzamente tribale del conflitto sociale, che sono tratti tipici della sua ideologia.

Le molte facce della sua natura intrinsecamente violenta si rendono evidenti allorché il fascismo conquista il potere.

In alto, combattenti della resistenza etiope uccisi dalle truppe di occupazione italiana (1937). Foto sotto: Gli otto partigiani impiccati dai nazisti, con la fattiva collaborazione della Rsi, a Pratomaggiore di Vignola il 12 febbraio 1945

Basti pensare alla drastica limitazione delle libertà individuali e alla soppressione dei diritti civili; alla capillare manipolazione delle coscienze attuata attraverso la censura, la pedagogia autoritaria impartita nelle scuole, gli apparati della propaganda; alle guerre coloniali e al disumano trattamento inflitto alle popolazioni delle terre occupate; alla discriminazione delle minoranze etniche; alla persecuzione antisemita e al ruolo avuto nell’Olocausto; alla scellerata partecipazione al conflitto mondiale a fianco delle Germania nazista.

Certo, il veleno della violenza non sarà mai completamente espulso dal corpo dell’umanità, sebbene sia ragionevole sperare di ridurne la diffusione e la virulenza con l’antidoto dell’educazione, con il superamento delle diseguaglianze, con la cura delle patologie del disagio sociale e del disadattamento, con la lotta alla marginalità.

Milano 12 dicembre 1969. L’Italia sta vivendo “l’autunno caldo”, una grande stagione di mobilitazioni operaie e studentesche. Quel venerdì, sono circa le 16,30, un ordigno di elevata potenza esplode nel salone centrale della Banca nazionale dell’Agricoltura. Diciassette persone restano uccise. Ottantotto ferite

Ma la violenza fascista si può debellare, non dimenticando che essa trova terreno fertile nelle situazioni di crisi, nei periodi in cui un vecchio ordine collassa e un nuovo ordine fatica a imporsi, e punta ad amplificare le ansie, l’insicurezza, le paure di cui si nutre, in un perverso circolo vizioso.

Dal momento della sua nascita, la Repubblica ha conosciuto una interminabile sequenza di aggressioni, assassinii, cospirazioni, stragi riconducibili alla “galassia nera”; e duole constatare che non sempre ha saputo fare fronte con fermezza alla violenza neofascista, perseguirne con decisione i responsabili materiali, gli ispiratori e i mandanti.

Città italiane a ferro e fuoco per le proteste contro le misure anticovid

In queste settimane, l’emergenza economica e sociale provocata dalla pandemia apre nuovi spazi allo squadrismo, come molti, recenti episodi stanno a testimoniare; i gravi pericoli che ne rivengono per la convivenza civile e per la tenuta stessa della democrazia non devono essere sottovalutati, e richiedono una pronta, risoluta risposta da parte di tutti gli antifascisti, ma anche ‒ e in primo luogo ‒ della politica e delle istituzioni. Non è ammissibile che alcuni partiti blandiscano e giustifichino i violenti.

È necessario che le autorità di pubblica sicurezza e la magistratura applichino con rigore la lettera e lo spirito delle leggi Scelba e Mancino: le prime attivando adeguate misure di prevenzione e di contrasto alle esibizioni provocatorie e alle azioni facinorose dell’estremismo di destra, la seconda accelerando l’iter dei processi alle formazioni e ai gruppi imputati di ricostituzione del disciolto partito fascista, ma soprattutto evitando interpretazioni minimalistiche e capziose delle norme vigenti (sconcertano, a esempio, i numerosi casi in cui l’apologia di fascismo è derubricata dai giudici a esercizio della libertà d’opinione). È anche indispensabile che alla scuola sia restituita appieno la sua funzione di luogo preposto alla trasmissione della conoscenza storica e alla formazione del senso critico.

Foto Imagoeconomica

E ancora, occorre che venga negata ogni legittimazione alle associazioni, ai circoli, alle palestre che mascherano dietro l’attività sportiva e ricreativa l’obiettivo di fare proseliti alle differenti declinazioni del suprematismo, e fungono spesso da canali di reclutamento degli adolescenti e dei giovani alle organizzazioni neofasciste. Infine, è della massima importanza che dal sistema dell’informazione sia bandito qualunque atteggiamento di benevola indulgenza o di malcelata simpatia verso le bande neofasciste, che si smetta di raccontare i loro raduni e le loro liturgie commemorative come innocue, folcloristiche cerimonie di nostalgici, e di presentare le loro imprese teppistiche come espressioni di esuberanza goliardica.

Chiamare le cose col loro nome, rappresentare la realtà dei fatti, individuarne gli attori e ricostruirne la dinamica, chiarirne l’effettivo significato, è il contributo che il giornalismo può ‒ e dovrebbe ‒ dare all’isolamento e alla neutralizzazione della violenza fascista, e insieme alla eradicazione del fascismo: perché violenza e fascismo costituiscono un binomio indissolubile.

Ferdinando Pappalardo, italianista, vicepresidente nazionale e componente del Comitato nazionale Anpi, presidente Comitato provinciale Anpi Bari