La lettera

Nel 1915 il giovane Benito Mussolini andava al fronte della Prima guerra mondiale, assegnato da soldato semplice all’11° Reggimento Bersaglieri, da dove terrà un diario pubblicato sul quotidiano Il Popolo d’Italia, da lui diretto, dove costruirà la narrazione della propria figura da eroe nazionale, ribaltando in toto la sua posizione sulla “neutralità assoluta” sostenuta fino all’anno prima, che gli costerà l’espulsione dal Partito Socialista per indegnità morale.

Durante i mesi in trincea, il soldato Mussolini scrive una carta postale per insultare e minacciare Filippo Turati, uno dei padri del socialismo italiano, augurandogli il suicidio.

Questo il testo: «Dal Fronte, 2 ottobre (1915). Illustre Prudenzio, già: io non sono Zerboglio. Ciò è di un’evidenza lapalissiana. Ma voi non siete che un povero rammollito condannato a subire – per la vostra documentata vigliaccheria – la scimunitaggine lazzariana. A duemila metri sul livello del mare, nelle trincee ex-austriache io mi sento così forte e pieno di vita, che non so se compiangervi come un infelice o disprezzarvi come un coniglio. In ogni caso la fucina dei rinnegati vi darà molto filo da torcere o da impiccarvi. Tante cose». (Benito Mussolini, 7 comp. 11 Bat., Zona di Guerra a on. Prudenzio Turati, Portici Settentrionali 23 – Milano).

“Illustre Prudenzio”. Così Mussolini bollò Turati, di cui fu nemico sin dai tempi in cui entrambi militavano nel partito socialista. «Tutto contribuiva a renderli incompatibili – scriveva nel 2001 Indro Montanelli sul Corriere della Sera –. L’origine, anzitutto. Mussolini era figlio di un fabbro romagnolo dal quale aveva ereditato la concezione della lotta di classe come azione violenta; aveva l’istruzione del maestro elementare; era uomo di posizioni estreme, prima che per ragioni tattiche, per temperamento. Turati veniva da una famiglia della buona borghesia milanese, aveva una notevole cultura e non soltanto di avvocato, e il suo socialismo era di carattere più missionario che barricadiero. Ne conosceva bene la storia e gli sviluppi, i suoi orizzonti erano cosmopoliti e tanto più lo divennero dal momento in cui ebbe come compagna Anna Kuliscioff, un’ebrea russa di alto bordo sociale e intellettuale e di fedelissima militanza socialista. Insomma, e per dirla in parole più semplici: il confronto fra quei due uomini era quello fra il socialismo rivoluzionario, massimalista e piazzaiolo (Mussolini), e quello progressista e riformista che nelle altre lingue si chiamava socialdemocrazia (Turati)».

Il loro scontro non si affievolì mai. Dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti (1924), maggiore esponente dell’opposizione parlamentare al governo fascista, Filippo Turati prese parte alla cosiddetta “secessione dell’Aventino” contro Mussolini, astenendosi in segno di protesta con gli altri gruppi di opposizione dai lavori della Camera, finché un nuovo governo non avesse ristabilito le libertà democratiche. Nel 1926 Turati fuggì in Francia, dove fu a capo della rete di Concentrazione d’Azione Antifascista, un’aggregazione unitaria tra le diverse componenti dell’opposizione antifascista in esilio che condividevano una comune piattaforma di lotta contro il fascismo. Morirà esule a Parigi nel 1932.

Filippo Turati (da https://www.socialismoitaliano1892.it/ 2016/05/19/filippo-turati/)

Il futuro Duce scrive inoltre «non sono Zerboglio», riferendosi ad Adolfo Zerboglio, anche lui socialista riformista che simpatizzerà con le idee socialiste-rivoluzionarie e repubblicane dei fasci italiani di combattimento, ma prenderà le distanze dal partito nazionale fascista, unendosi al gruppo di senatori monarchici e firmando il manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce nel 1925. Decisamente no. Non può essere Zerboglio.

«Si parla spesso delle grandi capacità comunicative degli attuali leader populisti, ma Trump, Boris Johnson, Salvini non hanno inventato nulla – si legge sul sito dell’Istituto internazionale di Storia sociale di Amsterdam –. L’arroganza e le minacce gratuite fanno parte del bagaglio culturale della destra da più di un secolo».

La lettera fa parte dell’Archivio Turati, recentemente riordinato e in corso di digitalizzazione e pubblicazione integrale sul web. Una “riscoperta” di Luciano Governali, ricercatore e archivista della Scuola di Patrimonio culturale del ministero italiano della Cultura, che lavora presso l’Istituto olandese per l’accessibilità delle fonti della storia del lavoro.

«La cartolina era stata già pubblicata da Alessandro Schiavi nel 1947 in “Filippo Turati attraverso le lettere dei corrispondenti”, una selezione realizzata dall’ex segretario di Turati di alcune lettere significative e che rappresenta la prima pubblicazione assoluta di alcune lettere», dichiara il ricercatore, ma «sorprendente è la non rilevanza attribuita finora a un pezzo simile, che è unico nell’archivio. Non ci sono altre prove di corrispondenza fra i due».

L’Archivio Turati è diffuso in diversi istituti tra cui la Fondazione di studi storici Filippo Turati di Firenze, l’Archivio di Stato e la Biblioteca comunale di Forlì, la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano e l’Istituto internazionale di Storia sociale di Amsterdam.

Prima di fuggire in Francia nel 1926, Filippo Turati riuscì a salvare il suo celebre baule, contenente una selezione della enorme mole di corrispondenza che riceveva quotidianamente e che lui stesso catalogava con rigore, ma il passaggio tra collaboratori e familiari nel corso dei decenni ne ha purtroppo determinato lo smembramento.

Mariangela Di Marco