Cosa può dare l’Anpi al Servizio Civile? Una domanda, questa, a cui si rischia di rispondere con molta retorica e poca razionalità. C’è indiscutibilmente un bagaglio storico, ma soprattutto memoriale, che l’Anpi ha maturato da ben prima della sua nascita (giugno 1944), poiché i suoi fondatori furono i combattenti e le combattenti che presero parte più o meno attiva alla Guerra di Liberazione (1943-1945) e, quindi, alla Resistenza. I valori e i compiti di cui quindi si è fatta e si fa garante sono inalienabili: la libertà, nelle sue forme di espressione individuale e collettiva; il pluralismo politico e il suffragio universale; vigila sull’applicazione della Carta Costituzionale e coltiva il valore della partecipazione civile all’interno della società, all’insegna della pace sociale e politica a cui si aspirava nel dopoguerra.
È quindi chiaro che all’interno del Servizio Civile il ruolo dell’Anpi si esprime nella condivisione di valori e obiettivi che hanno necessariamente a che fare con la cittadinanza. Inoltre, il programma che propone ai volontari è in linea con le proprie finalità parlando di conservazione dell’archivio dell’associazione e del periodico Patria Indipendente. Ma il Servizio Civile non è – o non dovrebbe essere – un’attività a senso unico, un rapporto docente-discente/superiore-subordinato che si risolve in un rapporto passivo, come in un servizio di leva. Il/La volontario/a ha dei compiti da svolgere ma, in molti casi, si sottovaluta l’apporto che il/la volontario/a può dare al Servizio Civile inteso come impegno nei confronti della società e della socialità. Conseguentemente il suo ruolo diventa marginale. Soprattutto se si pensa a loro come individui alla ricerca di una formazione (?) e di un avvio al lavoro (?) – cose che non dovrebbero essere cercate nel Sc, ma nella scuola e in contratti lavorativi idonei – le loro mansioni li relegano a tuttofare che nel luogo dove operano coadiuvano, a volte, un organico carente.
Quindi, la vera domanda che potremmo porci è: cosa possono dare i volontari e le volontarie al Servizio Civile e, nella fattispecie, all’Anpi?
Lungi dall’essere dei contenitori vuoti da riempire, i/le volontari/e rappresentano un bacino da cui poter raccogliere competenze e visioni del mondo alternative alle generazioni che, tendenzialmente, sono ai vertici delle organizzazioni o che fanno parte dei formatori. Già il fatto che i ragazzi e le ragazze debbano partecipare a un bando e affrontino una valutazione dei titoli e un colloquio conoscitivo, dovrebbe denotare che il volontariato non si configura come uno strumento da utilizzare per supplire a delle mancanze; al contrario il volontariato è l’agire attivo, all’interno di un codice di cittadinanza, di un gruppo di giovani che credono (o dovrebbero credere) che il loro contributo alla vita civile possa concretizzarsi in azioni positive per la collettività.
Gli strumenti a disposizione del/la volontario/a sono le proprie competenze trasversali acquisite nei propri percorsi formativi (scolastici, universitari, professionali, tecnici), grazie ai quali dovrebbe essere riconosciuto/a quale interlocutore/trice degno/a di attenzione. D’altra parte è stato/a selezionato/a appositamente per le sue competenze e per le sue presunte abilità relazionali (potremmo dire, per le sue soft skills). La loro età, tra l’altro, compresa tra i 18 e i 29 anni, si presta ad essere rappresentativa di un paio di generazioni che, proprio per le proprie differenze, possono portare con sé istanze che difficilmente – visto l’astensionismo e le tendenze demografiche italiane – avrebbero spazio in contesti formali.
Proprio il percorso che il Servizio Civile ha dovuto affrontare dalla sua nascita a oggi dovrebbe portare a questa consapevolezza. La sua storia parte dal movimento spontaneo dell’obiezione di coscienza, che si poneva in modo totalmente antitetico al Servizio di leva: non solo come forma di protesta non violenta contro un’istituzione coercitiva, ma anche come autodeterminazione di un individuo che fa della sua scelta individuale un’azione civile supportata da valori morali. Ad oggi, se il Servizio di leva, come era antecedentemente al 2005 (23 agosto 2004, n. 226), non esiste più si deve anche a quel movimento di coscienza che ha portato all’istituzione del Servizio Civile nel 1972 come alternativa al servizio militare e alla sua “universalizzazione” nel 2017. Il percorso dell’obiezione, lastricato da discriminazioni, preconcetti e veri e propri bias penali, ha portato alla luce, quindi, l’esigenza politica di rendere partecipi i giovani in progetti di cittadinanza attiva che non si esauriscano nell’adempimento di mansioni più o meno specializzate, ma che si intreccino nell’elaborazione di idee che – all’interno del progetto di riferimento – si completino con le giornate di formazione generale dettate dalle linee guida del Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale (da adesso Scu).
Come si può notare, il percorso del Scu, nato al di fuori delle istituzioni, è stato completamente riassorbito nelle strutture dello Stato. Quindi, per riassumere, è forse più utile – nel contesto in cui ci troviamo ora politicamente e socialmente – prendere dall’esperienza dell’obiezione proprio questo slancio soggettivo e individuale che porta ciascuno dei ragazzi a volersi spendere per la comunità attraverso le proprie competenze. Questo discorso vale ancor di più anche in virtù del fatto che l’obiezione di coscienza alla leva è ormai un ricordo lontano e molto distante dalle generazioni nate dagli anni ’90 in poi. Infatti, parlando di “obiezione”, oggi la mente va subito alle battaglie mai finite a sostegno dell’Interruzione volontaria di gravidanza: proprio perché sempre presente nel dibattito pubblico, questa “obiezione” – che tra l’altro ha assunto sempre di più connotati negativi – non è mai scomparsa dall’orizzonte mentale di ragazzi e ragazze. Al contrario, da quando i ragazzi nati dopo l’85 non hanno più avuto l’obbligo del servizio di leva, l’obiezione a questo tipo di pratica ha finito di essere prorompente e, semmai, la scelta si è tramutata da avversativa (“non voglio fare il servizio di leva”) in propositiva (“voglio fare il servizio militare”).
Detto ciò, cosa che può sembrare un discorso astratto, come volontaria Scu-Anpi credo di poter calare la teoria di cui sopra, nella pratica e provare a definire ciò che posso dare all’Anpi in questa veste.
Innanzitutto, all’inizio del mio anno di servizio non sapevo quale sarebbe stato l’approccio che l’Anpi stava adottando per portare avanti il suo progetto: fortunatamente il nostro Olp (Operatore locale di progetto) di riferimento si contraddistingue per un alto senso civico del suo ruolo e, pertanto, ha messo subito in chiaro che le nostre mansioni non sarebbero state mai disconnesse dal senso etico dello Scu richiamato sopra. Le aspettative, quindi, sono state pienamente soddisfatte da questo punto di vista poiché nulla di ciò che viene concordato e fatto rimane una semplice mansione o un mero intervento sul patrimonio archivistico dell’Anpi, ma anzi, tutto è preceduto da una discussione sul valore e sul senso dell’atto in sé. Il senso di progettualità e il livello di coinvolgimento che si è creato nel gruppo affondano le radici nella consapevolezza che ognuno è utile nelle forme e nelle modalità attraverso le quali si esprime e, nel rapporto con l’Olp, non riproduce le dinamiche di un tirocinio o di uno stage. Parlando di conservazione della memoria e di iniziative che si iscrivono nelle politiche della memoria – benché queste ultime siano spesso ambigue e contraddittorie – questo aspetto è tutt’altro che irrilevante. In questo contesto di volontariato, congiunto all’interesse personale per il progetto, la mia collega e io ci muoviamo con le nostre competenze, per le quali siamo anche state selezionate.
Dovrebbe essere ovvio che le nostre certificate e specifiche competenze sulla storia contemporanea e la letteratura comparata potrebbero portare valore aggiunto al progetto in sé: e di fatto è così. Eppure non è scontato che lo sia sempre e ce ne siamo rese conto parlando con i nostri colleghi che partecipano ad altri progetti. Ciononostante, anche in questo contesto estremamente stimolante e tutt’altro che avulso dallo Scu, si evidenziano alcune contraddizioni.
La presenza del Servizio Civile all’interno dell’Anpi, a parer mio, risulta marginale rispetto alle potenzialità che potrebbe esprimere: all’interno dell’associazione, probabilmente, non si ha la giusta percezione dell’alto apporto civico che si sviluppa nei progetti e dello specifico apporto di competenze eterogenee di cui siamo portatori come singoli/e volontari/e. Questo fatto, unito alla percezione molto parziale del volontario come individuo da formare in toto (rendendolo anche una figura infantile), può effettivamente indurre nell’errore che l’operatore o l’operatrice siano soggetti passivi di passaggio e che poco o nulla apportino al benessere dell’associazione. In realtà, vedere i volontari come una forza attiva, soprattutto intellettuale, potrebbe portare a riconoscere in loro istanze di un mondo giovanile che cambia di anno in anno e che non può mai essere uguale a se stesso.
In questo contesto è indicativa la presenza di una ex-volontaria che ci coadiuva e lavora con noi attivamente. Altri, come lei, hanno passato a noi il “testimone” del progetto creando continuità e partecipazione che ci hanno portato alla conoscenza del contesto nel quale operiamo. Il fatto che qualcuno rimanga e abbia la voglia di farlo senza che questo comporti un aspetto remunerativo, crea una comunità – seppur piccola (e non è forse questo uno degli obiettivi?) – intorno a un progetto i cui risultati potranno essere fruiti tanto dall’Anpi stesso che dalla collettività. Questo processo potrebbe indurre l’Anpi a ripensare la monolitica categoria dei cosiddetti “giovani” a favore di una presenza costante del volontariato nelle sue strutture, ma con una rappresentanza sempre diversa di anno in anno, di giovani volontari che potrebbero trovare nell’associazione un punto di riferimento per la propria crescita individuale e civica, non professionale o lavorativa. Credo e spero vada in questo senso la nascita di un coordinamento per lo Scu all’interno dell’Anpi che mira a coinvolgere tutte le sezioni locali che – fino ad ora – hanno cercato o sono riuscite a proporre e veder approvati i propri progetti per il Servizio Civile.
Caterina Mongardini
BANDI SERVIZIO CIVILE 2024-2025
A tutte le Strutture Anpi,
Vi comunichiamo che alcune strutture provinciali e quella Nazionale dell’Anpi, anche quest’anno, hanno presentato dei progetti, approvati dal Ministero per lo Sport e i Giovani, che consentono il reclutamento dei volontari del Servizio Civile Universale. I progetti sono reperibili sul sito Anpi nazionale. Ricordiamo a tutte le sedi che fossero interessate che le domande per il bando devono essere presentate dai candidati entro il 15 febbraio 2024. Sul portale di Arci Servizio Civile sono presenti tutte le informazioni in merito. Pertanto, queste settimane sono quelle utili per contattare associazioni, scuole, università per segnalare la possibilità di svolgere il Servizio Civile presso le strutture Anpi di seguito riportate. Le strutture Anpi che fossero interessate a progettare e ad attivare il Servizio Civile per l’anno 2025-2026 possono rivolgersi al Coordinamento del Servizio Civile Anpi, nella persona di Claudio Maderloni (info@claudiomaderloni.it).
Le strutture interessate per l’anno 2024-2025 sono:
Empoli (2 operatori volontari, di cui 1 per i giovani con minori opportunità); Milano (2 op.vol.); Padova (2 op.vol.); Roma – sede Nazionale (2 op.vol.); Roma – sede Provinciale (2 op.vol.); Savona (4 op.vol.); Trieste (3 op.vol.); Udine (1 op.vol.).
Pubblicato martedì 23 Gennaio 2024
Stampato il 06/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/cittadinanza-attiva/anpi-e-servizio-civile-una-strada-da-percorrere-ecco-i-nuovi-bandi/