Giovedì 26 agosto. È sera quando nelle redazioni dei giornali arriva la notizia del passo indietro del sottosegretario all’Economia Claudio Durigon. Che avesse le ore contate lo si era capito due giorni prima dalle parole del leader del Carroccio, Matteo Salvini, quando aveva dichiarato: “Ho fiducia in lui, parlerò io con Claudio”, a testimonianza di come la strenua difesa del rappresentante della Lega al Mef, portata avanti per ben tre settimane, stesse cedendo. Il premier Draghi non ha mai fatto cenno alla vicenda ma è ragionevole pensare che quel silenzio pesasse come un macigno sul destino del sottosegretario.
Tra i primi a esultare, dopo l’addio dell’esponente dell’esecutivo, l’Anpi. L’associazione dei partigiani aveva avviato una campagna con la richiesta di dimissioni non appena, era il 4 agosto, da un palco elettorale di Latina, sua città natale, Durigon aveva lanciato la proposta di reintitolare il parco Falcone e Borsellino ad Arnaldo Mussolini, fratello minore del duce. Si sarebbe tornati così al 1943, quando con la caduta del capo del fascismo si era liquefatta anche la dedica dell’area verde.
Durigon, in altre parole, avrebbe anche cancellato con un colpo di spugna insieme alla memoria dei due giudici eroi della lotta alla mafia, anche i venti mesi della lotta di Liberazione dal nazifascismo. Inoltre Arnaldo Mussolini non era stato uomo dalla limpida storia, era stato coinvolto nel delitto Matteotti. Se non fosse stato rapito e poi ammazzato, quel 10 giugno 1924, infatti, il deputato socialista avrebbe portato in Parlamento le prove di tangenti pagate al fratello di Benito per concedere ad una compagnia petrolifera l’esclusiva, durata di 90 anni, per la ricerca e lo sfruttamento di giacimenti presenti nel territorio italiano.
“Le dimissioni del sottosegretario Claudio Durigon – ha commentato il presidente Anpi, Gianfranco Pagliarulo – sono un’ottima notizia per la democrazia e l’antifascismo. Da questa vicenda arriva un messaggio netto, inequivocabile: in nessuno modo e da parte di nessuno si può oltraggiare la memoria civile di questo Paese. In nessuno modo e da parte di nessuno si possono ignorare le vittime del fascismo e calpestare figure fondamentali della lotta alla mafia come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Esprimo a nome dell’Anpi – ha concluso il presidente Pegliarulo – grande soddisfazione per l’esito positivo di una battaglia che ci ha visto protagonisti e che ha innescato e premiato una larghissima mobilitazione unitaria in difesa dei valori e dei principi della Costituzione nata dalla Resistenza”.
Già perché questo racconta l’episodio nella sua complessità. Accanto all’Anpi si sono schierati i media, a cominciare dal Fatto Quotidiano (pure mediante una petizione online) e altre associazioni (Libera con Don Ciotti, tra le altre) e i partiti della maggioranza, Pd e M5s (attraverso i leader Letta e Conte oltre ai ministri pentastellati Di Maio e Patuanelli), Leu. Era stata presentata anche una mozione di sfiducia in Parlamento da votare a settembre. Non solo, a chiedere a Durigon di lasciare erano stati perfino alcuni esponenti di FI (il deputato Elio Vito, alla Camera dal 1992) e della stessa Lega (il ministro Giorgietti, pur prendendola molto alla lontana, era stato esplicito: “Un membro del governo di dimette o perché glielo chiede il presidente del Consiglio, o il suo partito, o glielo suggerisce la coscienza”. A intervenire erano state inoltre tantissime personalità della cultura e dell’arte (per esempio, il regista Marco Bellocchio, fresco di Palma d’onore a Cannes).
Mentre l’hashtag coniato dall’Anpi #Durigondimettiti diveniva virale sui social, Salvini le aveva pensate tutte per mantenere al suo posto un portatore di voti nel basso Lazio. Provando ad alzare il tiro, ad attaccare la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, confidando forse nei giudizi negativi di una parte della sinistra, per la continuità con gli esecutivi precedenti nella gestione del dossier immigrazione e soprattutto negli accordi con la Libia, e delle associazioni antifasciste per il suo tiepido contrasto ai movimenti di estrema destra. Forse la mente strategica di Salvini era arrivata addirittura immaginare un baratto tra Durigon e la titolare del Viminale, rea secondo lui di far sbarcare i migranti, di voler accelerare sullo ius soli e pretendere il green pass per i clienti di ristoranti e bar dotati di locali al chiuso (“O comincia a fare il suo lavoro o si faccia da parte”).
Intanto sul caso che ha tenuto banco e riscaldato un torrido agosto a sorprendere era stato il silenzio di Mario Draghi. Tanto che il 19 l’Anpi con il presidente nazionale Pagliarulo aveva preso carta e penna e rivolto una lettera aperta al presidente del Consiglio invitando il premier a procedere con la rimozione del sottosegretario. Perché, come si sottolineava nell’appello, “sono passati troppi giorni dalla vicenda Durigon e continua una larghissima indignazione popolare, democratica e antifascista. È ora di dare un segnale”. E nonostante l’assenza di una dichiarazione ufficiale, Draghi ha fatto la sua parte, facendo capire a Salvini che l’unica soluzione possibile era un’uscita di scena del suo pupillo all’Economia. Così è stato.
Agosto non porta bene a Salvini, è la seconda volta. Due anni fa, nel 2019, le dichiarazioni tra i sorsi di mojito al Papeete Beach di Milano Marittima gli costarono il dicastero dell’Interno. La strategia tesa allora a sfruttare il vento in poppa nei sondaggi per varcare l’ingresso di Palazzo Chigi si rivelò un fallimento e portò alla caduta del governo gialloverde.
Peraltro le strizzatine d’occhio fra esponenti del partito di Salvini e neofascisti non sono affatto infrequenti, basti pensare alla cena del 2015 fra il segretario della Lega e i vertici di CasaPound.
E se qualcuno pensa che si tratta di un precedente passato in cavalleria – in fondo si tratta di un episodio di sei anni fa – è il caso che si ricreda, visto che il 4 settembre alla festa nazionale di CasaPound è previsto un dibattito con la presenza di due parlamentari della Lega.
Nel 2021 dunque chi ha perso, ancora una volta, è Salvini. Perché l’Italia non è il Paese da lui immaginato, non strizza l’occhio a CasaPound, non si tira indietro nell’accoglienza di chi fugge da guerre e povertà. Ricordate il motivetto di una vecchia pubblicità “Du du du du, du du du du”? Ecco, se è fin troppo facile accordarla con le dimissioni di Durigon, il consiglio per Salvini è di tenerla bene a mente.
Ogni qual volta rischi di dimenticare che l’Italia, gli piaccia o no, è un Paese antifascista e solidale e, come insegna proprio la storia della Resistenza, nelle cause giuste sa essere unita. E vince.
Pubblicato venerdì 27 Agosto 2021
Stampato il 05/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/cittadinanza-attiva/du-du-du-du-durigon-al-dicastero-non-ce-piu/