Il discorso in Tv del Presidente del Consiglio la sera di mercoledì 4 marzo non ha colto l’Italia del tutto impreparata. Davanti ad una inquietante progressione dei contagi nonostante i provvedimenti assunti nelle scorse settimane, era evidente l’urgenza di scelte rigorose e non limitate ai territori dove si è diffusa l’infezione. Con questo ritmo di proliferazione del virus, il sistema ospedaliero potrebbe in breve tempo collassare. Comprensibile perciò una scelta draconiana, anche considerando lo sgomento causato dall’l’incertezza. Incertezza nelle capacità di espansione del virus, nei rischi di decesso, nella percentuale di guarigioni. Né è definita esattamente la sua natura: si tratta di un particolare – per quanto grave – tipo di influenza, o, come dicono negli ultimi giorni gli esperti, è altro? O si può trasformare, nelle sue continue mutazioni, in qualcosa di peggio? E’ perciò naturale che l’incertezza abbia tracimato in qualche caso in paura che, come ha scritto il Manzoni, fa paura: Renzo “atterrito dal suo terrore”. Come sempre, troviamo una bussola di comportamento nella Costituzione; art. 32 : “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Dunque il governo ha ottemperato ad un obbligo di tutela e di salvaguardia, nella piena consapevolezza del disagio che i provvedimenti assunti causeranno nella vita quotidiana di tutta la popolazione e dei loro pesanti effetti dal punto di vista del lavoro, della produzione e dell’economia. Fino ad oggi il Paese ha affrontato con razionalità un’inedita emergenza. C’è da aspettarsi che nella nuova fase che si apre con i recentissimi provvedimento del governo i cittadini, nonostante il Grande Rallentamento della vita delle città e l’improvviso mutare delle abitudini comuni, rispondano con comportamenti consoni e responsabili.
Dispiace che in alcuni casi nelle scorse settimane nel mondo della politica alcuni, a corrente alternata, abbiano drammatizzato accusando il governo di sottovalutare la situazione, ovvero – spesso gli stessi – abbiano accusato il governo di assumere decisioni troppo drastiche mettendo il pericolo la stabilità del sistema economico e produttivo.
Non è mai troppo tardi per diventare responsabili: si prenda atto che il morbo è presente su scala mondiale, in particolare in estremo Oriente, in Europa e in Iran, e si prenda altresì atto che, assieme alla Cina, l’Italia è il Paese che più e meglio di ogni altro ha saputo fino ad oggi rispondere a tale emergenza. In altre parole, è il momento in cui l’intera società deve unirsi davanti ad un nemico sempre invisibile ed ancora in parte oscuro. Mai in passato, quanto meno nel dopoguerra, l’Italia si era trovata davanti ad un’emergenza di questa natura. Né il disastro nucleare di Cernobyl’ del 1986, né la fuoriuscita di una nube di diossina a Seveso dieci anni prima, né le più perniciose influenze, come l’asiatica alla fine degli anni 50, avevano causato provvedimenti così radicali ed un allarme sanitario così generalizzato.
Non basta peraltro la riconoscenza dovuta nei confronti degli operatori e delle strutture sanitarie che stanno facendo il massimo, e spesso anche di più, per contrastare l’epidemia. Occorre aggiungere due considerazioni. La prima: il sistema sanitario nazionale, nonostante i tagli pesantissimi subiti da decenni favorendo così la sanità privata, si è confermato una eccellenza mondiale; in queste settimane di passione è stato protagonista esclusivamente il sistema pubblico, mentre il sistema privato, che pure ha iniziato a manifestare una qualche disponibilità, si è dimostrato irrilevante ai fini del contrasto al virus. Logica vorrebbe che in futuro si faccia tesoro della lezione restituendo dignità, priorità e finanziamenti al sistema sanitario nazionale pubblico. La seconda: la divisione del sistema sanitario in tanti sottosistemi quante sono le Regioni si è dimostrato spesso un intralcio alla tempestività ed all’efficacia dell’intervento istituzionale. Ciò conferma l’opportunità di mantenere e rafforzare la natura nazionale del sistema sanitario pubblico, contrastando un’idea di autonomia differenziata che non decentra ma smembra servizi pubblici essenziali.
La ricaduta sull’economia di questa drammatica vicenda sarà molto pesante, perché l’Italia già prima della diffusione del virus era sull’orlo della recessione. Ciò che va evitato ad ogni costo è che si apra uno scenario simile a quello del 2011, vale a dire il governo Monti e i drastici provvedimenti che ne seguirono. Il che coinvolge immediatamente l’Unione europea e il governo italiano, dal quale è ragionevole attendersi provvedimenti antirecessivi immediati a sostegno dell’economia e dell’occupazione attraverso il volano dell’intervento pubblico. Lasciamo ai fans del liberismo l’illusione della capacità del mercato di autoregolarsi. E’ il momento che le istituzioni prendano finalmente nelle proprie mani la guida del sistema economico anche attraverso le leve pubbliche. In sostanza, un secondo 2011 non sarebbe sostenibile.
In questa difficile situazione di allarme sanitario e sociale il mondo dell’associazionismo democratico, a cominciare dall’Anpi, può e deve fare la sua parte, adeguandosi alle disposizioni delle istituzioni, operando perché alla comprensibile paura si sostituisca la ragionevole consapevolezza del rischio, manifestando in ogni circostanza vicinanza e comprensione verso i cittadini più sfortunati, vittime del contagio, combattendo in ogni modo qualsiasi forma di moderna “caccia all’untore”, cinese, tedesco o italiano che sia. Ancora una volta si può battere un nemico grande e pericoloso a partire dall’unità del popolo, dalla solidarietà fra generazioni, dal sostegno alle istituzioni democratiche. Ha proprio ragione il Presidente della Repubblica: “Niente ansia. Uniti ce la faremo”.
Pubblicato venerdì 6 Marzo 2020
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