L’Assemblea Costituente

Allorché l’Assemblea Costituente affrontò i lavori per la redazione della nuova Costituzione repubblicana dello Stato italiano, alcuni capisaldi dell’impalcatura istituzionale furono ben chiari da subito. Il primo è la netta opzione in favore di una centralità del Parlamento, in quanto organo elettivo e massima espressione della sovranità popolare, consacrata come fondamento supremo dello Stato dall’art. 1 della Carta costituzionale.

Il palazzo di Montecitorio, sede della Camera dei deputati, uno dei due rami del Parlamento

Il secondo è la funzione di garanzia dell’equilibrio dei poteri dello Stato, attribuita al Presidente della Repubblica. Un ulteriore caposaldo, sancito dall’art. 5 è la promozione e valorizzazione dei poteri amministrativi locali. In altri termini, vi è un Parlamento rappresentativo dei cittadini che sorregge il Governo con una maggioranza dei suoi componenti e che formula le leggi come regole di convivenza della comunità nazionale, mentre il Governo dà attuazione pratica alle leggi emanate dal Parlamento; infine, il potere giudiziario cura che tali leggi vengano rispettate.

Il Presidente della Repubblica in carica, Sergio Mattarella (Imagoeconomica)

In mezzo a questo articolato impianto istituzionale sta il Presidente della Repubblica, come garante del corretto funzionamento di tutte le principali istituzioni statali. Egli esercita infatti il controllo preventivo di legittimità sui disegni di legge presentati in Parlamento e, se del caso, può inviare messaggio alle Camere per richiamare l’attenzione su determinati problemi e argomenti. Incarica il Presidente del Consiglio, da lui stesso designato, di formare il Governo, svolge le preventive consultazioni con i partiti politici, e riceve il giuramento dei Ministri nominati. Presiede inoltre il Consiglio Superiore della Magistratura, massimo organo di autonomia del potere giudiziario. In altri termini, il Presidente è organo centrale e parte di equilibrio del nostro impianto istituzionale.

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, spiega in tv la sua riforma presidenzialista (Imagoeconomica, Sara MinellI)

Ma, alla luce delle riforme dell’assetto istituzionale dello Stato annunziate, e già in parte avviate dall’attuale Governo in carica, tale impianto rimarrà inalterato oppure verrà sostanzialmente modificato?

Per rispondere a tale domanda bisogna esaminare alcuni dei procedimenti con valenza e riflessi di natura istituzionale già proposti e fatti approvare dal Governo, e altri in corso di esame e redazione, nonché altri sui quali si discute, ancora, in termini di principi politici e giuridici, di livello costituzionale.

Essi, a nostro modesto avviso, sono costituiti dal recente “decreto siccità”; dal ddl sulla cosiddetta “autonomia differenziata” regionale, e dalla proposta di trasformazione della natura dello Stato da repubblica parlamentare a repubblica presidenziale, o con forma governativa di “premierato”, e cioè con l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri.

Già in precedente intervento su Patria Indipendente mi sono sforzato di dimostrare che autonomia regionale spinta e presidenzialismo sono due facce della medesima medaglia. L’attribuzione alle regioni di numerosissime competenze legislative, svuoterebbe il Parlamento delle sue prerogative, ma introdurrebbe la necessità di una autorità centrale che eserciti un potere assai forte per tenere insieme quelle che si manifesteranno sempre più come pulsioni centrifughe locali.

Il Quirinale (Imagoeconomica)

Dunque come motivare questo maggiore potere politico centralizzato se non con l’elezione diretta del Capo dello Stato? Cioè come nelle repubbliche presidenziali, dove il Presidente non è più garante della unità delle istituzioni, ma è schierato politicamente da una parte e riveste il ruolo di capo della maggioranza politica.

Washington.  Le “truppe” di Trump all’assalto di Capitol Hill

Recenti drammatiche vicende pubbliche avvenute negli Usa e l’uso fatto da Trump delle massime istituzioni statunitensi dovrebbero mettere tutti in allarme rispetto ad una simile situazione istituzionale, anche in uno Stato dove si ritiene che sia nata la democrazia.

Ma, oltre ad essere messo in pericolo il potere legislativo del Parlamento, anche lo stesso decentramento amministrativo dello Stato subirebbe notevoli squilibri, subirebbe disfunzioni.

La Costituzione, nell’affrontare il ruolo e le funzioni degli enti regionali e locali, ipotizza un collegamento armonico ed equilibrato dell’azione amministrativa che, partendo da indicazioni generali provenienti dai ministeri e uffici centrali, si diffonde a vari livelli (regionale, provinciale, comunale) assumendo in tali sedi concretezza amministrativa.

Il tutto in un quadro unitario dell’azione esecutiva dello Stato e in una prospettiva di perequazione delle prestazioni e dei servizi offerti alla cittadinanza.

Ma conferisce alle singole Regioni, in modo distinto e disuguale per ciascuna, vasti poteri legislativi e numerosissime funzioni amministrative significa rompere quel grado unitario di azione amministrativa sopra descritto e accentuarne le spiegazioni.

(Imagoeconomica)

Non solo infatti si accentrerebbero le differenze tra regione e regione, in nome della dichiarata volontà, in particolare da parte delle Regioni ricche, di trattenere il più possibile le proprie risorse economiche e finanziarie, ma si determinerebbe altresì una preponderanza dell’istituzione regionale rispetto agli altri poteri locali (Comuni e Provincie) che introdurrebbe altri squilibri nei rapporti tra tali enti, che l’autonomia speciale acquistata dalle singole regioni riverserebbe a sua volta, peraltro in modo disomogeneo, sul proprio ambito territoriale, però a discapito degli altri enti territoriali compresi nel medesimo.

Una anticipazione di tale prospettiva si può ravvisare nel recente “decreto siccità”, recentemente convertito e consolidatosi come legge dello Stato. Infatti esso prevede una “cabina di regia” che avrebbe principalmente il compito di svolgere attività di monitoraggio, ma che avrebbe tra le sue prerogative, quale organo di controllo dell’efficienza dei procedimenti, anche quello di attivare i poteri sostituitivi di cui agli artt. 117 comma 5 e 120 comma 2 della Costituzione.

In altri termini un organo amministrativo di natura straordinaria potrebbe intervenire in tutti i procedimenti amministrativi gestiti secondo le leggi vigenti dagli enti locali territoriali, imponendo agli stessi, con scelte discrezionali e sulla base di criteri non ben definiti, gestioni commissariali straordinari e che andrebbero ad interrompere bruscamente ogni tipo di discussione intrapresa democraticamente a livello locale, interferendo pesantemente nella dialettica tra diversi enti e sulle funzioni dei medesimi, e derogando alle loro legittime competenze.

Si tratta di un precedente che anticipa pericolosamente l’avvio di una generalizzata possibilità per il Governo centrale di intervenire su ogni e qualsiasi procedimento amministrativo, magari gestito in concorso di più soggetti pubblici a livello locale, in questa maniera soffocando proprio quel principio di promozione e valorizzazione dei poteri amministrativi locali che l’art. 5 della Costituzione afferma e sancisce.

Ambrogio Lorenzetti, Allegoria del buon governo, 1339

E tale pericolosa introduzione della tendenza a normalizzare e generalizzare gli interventi commissariali imposti dal centro costituirebbe una insidiosa controtendenza rispetto ad un ordinato ed armonioso sviluppo dell’esercizio del potere esecutivo, che certamente trae origine dalle Autorità centrali dello Stato, ma che deve svilupparsi, secondo la già citata disposizione costituzionale, a livello locale tramite la conseguente attività degli enti territoriali, che tuttavia non esclude la dialettica tra gli stessi.

(Imagoeconomica)

Alla luce di tutto quanto sopra non può non ravvisarsi, sia nelle pericolose logiche insite nel “decreto siccità”, sia nel destabilizzante disegno di legge sulle autonomie differenziate regionali, che porterebbe notevoli squilibri all’interno delle principali zone nelle quali è suddiviso lo Stato italiano, l’avvisaglia della necessità, a questo punto artificiosamente indotta per scelta ideologico-politica, di dovere trasformare l’impianto costituzionale dello Stato dall’impostazione parlamentare a quella presidenzialista, invocandosi strumentalmente la necessità che in una simile situazione occorra un potere esecutivo particolarmente forte e potente che sarebbe legittimato dalla elezione diretta o del Capo dello Stato oppure del “Premier”.

Un parlamento reso inutile?

Si tratta in buona sostanza di una serie progressiva di interventi, apparentemente di rango legislativo ordinario, che tuttavia determinerebbero le condizioni per poter procedere alla radicale modificazione dell’impianto costituzionale nazionale, ponendo così nel nulla quei principi e quei valori (Repubblica parlamentare, neutralità del Capo dello Stato, decentramento amministrativo) che sono stati alla base delle scelte del legislatore costituente, il quale aveva ben presente, essendo appena trascorsa una non breve epoca storica di dittatura politica, quali fossero i pericoli di un’involuzione autoritaria delle istituzioni dello Stato.

Approvazione della Costituzione Italiana, in primo piano Alcide De Gasperi, sullo sfondo la partigiana costituente Teresa Mattei

E proprio perché i Padri costituenti hanno compiuto nettissime scelte per scongiurare i pericoli di tale involuzione, noi tutti (forze politiche e governo compresi) dobbiamo il massimo rispetto a tale scelta, ed esigere che chi oggi è chiamato alle responsabilità di governo del Paese debba strettamente attenersi a quei valori, astenendosi da scelte e proposte che si porrebbero in netto contrasto con quei principi che hanno permesso alla nostra comunità di superare l’impostazione autoritaria e centralistica di un regime sconfitto dalla storia.

Pietro Garbarino, avvocato cassazionista, iscritto Anpi e socio di Libertà e Giustizia