Il Congresso nazionale Anpi ha parlato il linguaggio del dialogo e della complessità, mai dell’equivoco. Netto nella condanna dell’aggressione russa e nella solidarietà con il popolo ucraino e la sua lotta. È del tutto logico che ci sia chi si chiede se non sia giusto sostenere anche con l’invio di armi una resistenza a cui si riconosce la piena legittimità. È una domanda che viene spontanea, ma la risposta non può arrivare sull’onda di un’emozione, deve avere fondamento ragionato.
Uno l’ha evidenziato Gianfranco Pagliarulo nella relazione: l’invio di armi configura un atto di cobelligeranza che confligge con l’art. 11 della Costituzione, e insieme con l’esigenza di essere coerenti nella richiesta pressante di un cessate il fuoco e di avvio di veri negoziati. Poi ci sono considerazioni di natura etica: è lecito pensare che, con l’invio di armi all’armata ucraina, l’Occidente punti a una guerra per procura. Se così fosse, si dovrebbe pensare che c’è chi auspica una guerra di logoramento, con costi umani ancora più pesanti di quelli che si stanno pagando. E inoltre una considerazione politica: l’invio di armi denuncia un drammatico vuoto di iniziativa da parte dell’Occidente e segnatamente da parte dell’Unione europea, che sembra sempre più allineata a prospettive belliciste, proprio nel momento in cui dovrebbe giocare la sua autonomia sul terreno della capacità di porsi come promotrice e mediatrice di una pace alla quale non si sono alternative.
COSTITUZIONE. È lo scrigno che racchiude i nostri valori, ha detto Gianfranco Pagliarulo introducendo il 17° Congresso della nostra Associazione. E in nessuno dei tanti interventi degli ospiti e delle delegate e dei delegati succedutisi dal palco è mancato un riferimento al testo che, come disse il Presidente Ciampi, è una Bibbia civile, il breviario laico che deve orientare e motivare ciascuna delle nostre scelte. La drammatica contingenza dell’attualità ha fatto sì che nella sala del Palacongressi di Riccione sia risuonato più volte il richiamo all’articolo 11, con il ripudio della guerra; ma soprattutto si è parlato di Costituzione inattuata nella lettera e nello spirito e in più di una occasione disattesa da una classe politica che appare sempre più impari ai propri compiti e in molte sue componenti lontana quando non ostile ai valori della Carta nata dalla Resistenza.
Eppure, la pandemia ha mostrato in modo inequivocabile la necessità di riprendere i valori fondanti della Costituzione, eguaglianza, rispetto e tutela della dignità della persona, e di farne la base per una nuova socialità non più inquinata dalla corsa sfrenata al profitto e dallo scatenamento degli spiriti animali del mercato senza regole e senza limiti. Persona, lavoro, istruzione, salute sono stati al centro della discussione, insieme al tema della pace: ne abbiamo parlato, appunto, in termini di progetto e di visione, tanto più necessari in un momento in cui l’emergenza bellica ripropone da un lato l’incomprimibile voglia di pensiero unico e oggi si presenta nella forma grottesca di un interventismo insieme salottiero e inquisitorio, e dall’altro sta diventando il pretesto per rinviare a tempo indeterminato l’attuazione di politiche economiche e sociali mirate alla tutela dell’ambiente e alla riconversione ecologica, alla centralità dei diritti e del lavoro, nonché alla rimozione di diseguaglianze intollerabili e che hanno ormai assunto la forma di un costo sociale insostenibile.
ARMI. Armi si, armi no. Ha mille volte ragione chi sostiene che la questione non possa essere vista isolatamente dal contesto dell’aggressione all’Ucraina, ma è inevitabile che se ne parli. Perché comunque il quesito ce lo siamo posto tutti, con sofferenza, e per, chi ha coscienza, con il disagio di discettare mentre altri soffrono e muoiono. Pagliarulo nella relazione al Congresso lo ha detto chiaramente: l’ANPI è una casa dove si discute, non una caserma dove si ubbidisce. Il dibattito congressuale lo sta dimostrando, e soprattutto dimostra che volentieri lasciamo le certezze granitiche agli interventisti da salotto, che riempiono le colonne dei quotidiani e i talk show stillando pagelle dei buoni e dei cattivi e liste di coscrizione, nelle quali, peraltro, i veri amici di Putin, anche quelli che siedono all’estrema destra del governo della Repubblica, non figurano mai.
EQUIDISTANZA. È una parola risuonata anche nel nostro Congresso, soprattutto dai nostri critici, forse espressione di un timore, forse di un equivoco, ma certamente utile nei titoli dei giornali e dei telegiornali per inventare posizioni che non ci sono e attribuirle a chi non le ha mai sostenute.
Lo abbiamo detto, e lo ripetiamo: la condanna dell’aggressione russa è netta, e inequivoca la solidarietà dell’ANPI con il popolo ucraino. Forse è bene aggiungere un’ulteriore considerazione: la Resistenza al nazifascismo nasce da una scelta, dall’ imperativo etico prima ancora che politico, di collocarsi dalla parte giusta. Nel Dna dell’Associazione erede delle partigiane e dei partigiani c’è questo e non altro. A chi parla di equidistanza, a chi cerca di appiopparcela, consigliamo di rivolgersi altrove: a quelli che fino a qualche mese fa giravano con le magliette con su il faccione di Putin, o a chi diceva che “un Putin vale due Mattarella”, o a chi vantava una gaglioffa amicizia con l’autocrate russo, e oggi tace, confidando nella propensione, tutta italiana, alla smemoratezza. Alle delegate e ai delegati del Congresso ANPI la memoria non fa difetto, e neanche la capacità e la voglia di stare dalla parte giusta.
EUROPA. Se ci sei, batti un colpo! Oggi, di fronte alla crisi ucraina, viene da dire così, ma ovviamente la questione è più complessa. L’Europa, lo ricordava il compianto presidente Sassoli, è un cantiere, un work in progress, di cui ad oggi ancora non si scorge la conclusione. Ma il cantiere non è rimasto fermo. Nell’emergenza pandemica, l’Unione ha mostrato coraggio, ha saputo imprimere una inversione di rotta quando era necessario, con un piano di sostegno alle economie europee – Next generation EU – che ha di fatto, se non diritto, liquidato il patto di stabilità, un meccanismo rivelatosi piuttosto un potente fattore di instabilità, espressione della politica neoliberista che ha prodotto devastazioni sociali e diffuso sfiducia nelle istituzioni democratiche tra le cittadine e i cittadini.
Oggi, nella crisi ucraina, il cantiere sembra nuovamente fermo, e l’Europa appare incapace di trovare un ruolo autonomo e di intervenire attivamente, come attore di pace, per fare fronte a una immane tragedia e prevenirne una ben peggiore. Per essere soggetto effettivo di sovranità, l’Unione europea deve dotarsi di una propria e autonoma politica estera e di difesa, che non può essere delegata di fatto, come oggi accade, alla NATO; e deve dotarsi di una politica estera e di difesa espressa da organi democraticamente legittimati, sulla base di una ormai indifferibile costituzione europea, che incorpori e faccia propri i valori della Costituzione italiana. Occorre riprendere il cantiere e chiudere i lavori in fretta e bene. Prima che sia troppo tardi.
OCCIDENTE. “Sentinella, a che punto è la notte?” (Isaia, 21,11) Per l’Occidente, l’alba sembra molto lontana, e la notte molto profonda. Nell’arco di meno di un decennio, a una crisi economica di proporzioni inedite e devastanti, hanno fatto seguito l’aggravamento della crisi climatica, poi una pandemia che ha sconvolto la quotidianità e cambiato radicalmente i modi di vivere e ora una guerra che stende l’ombra nera sul Vecchio Continente e sul mondo intero. L’Occidente, la società del benessere come l’abbiamo conosciuta fino a poco tempo fa, sta assistendo al logoramento del suo privilegio e al declino della globalizzazione che ne ha costituito la cornice, con tutte le sue nefaste implicazioni: la finanziarizzazione dell’economia, l’esaurimento delle risorse naturali, un massiccio spostamento della ricchezza dal lavoro al capitale, le nuove e sempre più profonde diseguaglianze.
All’inizio del secondo libro del De rerum natura, Lucrezio descrive lo stato d’animo di chi, dalla spiaggia, assiste al naufragio di una nave nel mare in tempesta, e prova due diversi sentimenti: la compassione per la sorte dei naufraghi ma anche il sollievo per essere in salvo sulla spiaggia. “È dolce, quando in un vasto mare i venti ne sconvolgono la superficie, osservare da terra il gravoso travaglio di un altro, non perché sia un piacere gradito vedere qualcuno che sta soffrendo, ma perché dona sollievo scorgere da quali mali tu stesso sia esente”. Per l’Occidente, quella terra, non c’è più. Il numero dei naufraghi aumenta, diminuisce quello degli spettatori del naufragio: guerra, pandemia, povertà non sono più il triste appannaggio dei Paesi poveri, ma lambiscono sempre più da vicino quella parte del mondo che se ne riteneva esente. Il declino non è per forza la fine. Può essere un nuovo inizio, ma un nuovo inizio richiede che la vecchia rotta sia abbandonata senza esitazioni e la nuova sia tracciata con mano sicura e con strumenti di navigazione particolarmente affidabili. Noi ne abbiamo uno, potenzialmente infallibile: la Costituzione, e vogliamo andare là dove essa ci porterà.
RESPONSABILITÀ. Nel Congresso, si è parlato molto anche di responsabilità dell’ANPI verso il Paese: una responsabilità che è cresciuta insieme all’autorevolezza di una associazione che vede aumentare i suoi iscritti, anche perché è capace di prendere posizioni coraggiose e, quando il momento lo richiede, di andare controcorrente, salvo ritrovarsi poi circondata di nuovi e più ampi consensi.
Una responsabilità accresciuta da una crisi della politica che le più recenti vicende confermano in modo palmare, con l’allarmante espansione dell’area dell’astensionismo che ha accompagnato le ultime consultazioni elettorali e con le inconcludenti e scomposte fibrillazioni che hanno preceduto la rielezione del Presidente Mattarella, esito felice di una vicenda in sé ben poco commendevole. Nel dibattito congressuale, mi ha colpito, tra l’altro, una osservazione di un delegato: “Un tempo ci battevamo per mandare gli operai a scuola. Oggi ci sono studenti muoiono sul lavoro, per una legge (scellerata) approvata da un governo di centro-sinistra.” Quando l’area della povertà si allarga a dismisura, quando la precarietà del lavoro ruba il futuro dei più giovani, quando le morti sul lavoro si moltiplicano, quando la devastazione dell’ambiente appare inarrestabile, occorre fermarsi e riflettere, per comprendere insieme quanto sia necessario un rinnovamento profondo, una inversione di rotta che metta mano a una nuova narrazione. Abbiamo il lessico e la sintassi, e non ci stancheremo di ripeterlo: sono quelli della Costituzione.
NEOFASCISMO. Nel 2022 ricorre il centenario della marcia su Roma. Non è escluso che gruppi e gruppuscoli neo fascisti cerchino di approfittarne per promuovere grottesche manifestazioni nostalgiche. Dobbiamo prepararci a un bel po’ di folklore, ma anche a quanti riproporranno la trita narrazione del fascismo come dittatura bonaria, come facciata un po’ pagliaccesca dietro la quale si celava una società sostanzialmente quieta e consenziente, purtroppo trascinato dalla cattiva compagnia nazista nella scelleratezza del razzismo e nell’abisso della guerra.
I gruppuscoli neofascisti sono da tempo alla ricerca di uno spazio politico: prima della pandemia, cercando di sfruttare le paure generate da una crisi economica che ha ampliato l’area della marginalità sociale e della povertà, attivando, per conquistare consensi, le campagne contro gli immigrati e i rifugiati, all’insegna dell’insulso slogan “prima gli italiani”; successivamente cercando di infiltrare la protesta contro le misure restrittive per il contenimento della pandemia, all’insegna del complottismo e di una idea di libertà come sopraffazione dell’altrui diritto e negazione di ogni principio di solidarietà, secondo un disegno eversivo che ha condotto in uno stesso giorno all’assalto alla sede centrale della CGIL e all’irruzione nel Policlinico di Roma, nell’ottobre dell’anno passato.È stato un episodio di squadrismo inequivocabile, un tentativo di fare un salto di qualità nel ricorso alla violenza nella lotta politica. Di fronte all’allarme e alla denuncia, non è mancato chi ha discettato sulla differenza tra fascismo storico e neofascismo, mentre è mancato del tutto lo Stato democratico, che anche dopo il voto del Parlamento, ha indugiato e indugia incomprensibilmente nell’adottare le improcrastinabili misure di scioglimento di organizzazioni che sono da tempo fuori e contro la legalità democratica.
Violenza, squadrismo, sopraffazione, sono nel dna del fascismo. Ma laddove il manganello non arriva, si ricorre ad altre armi, prima fra tutti, la manipolazione della memoria e della storia, per la quale occorre però il supporto di forze politiche legittimamente rappresentate in Parlamento e che si prestino a fare da sponda ai gruppuscoli neofascisti, in un contesto di equivoci rapporti lungo una frontiera mobile caratterizzata da scambi politici e simbolici che favoriscono una presenza pervasiva e velenosa dei contenuti e degli emblemi del nazismo e del fascismo negli organi rappresentativi della Repubblica. Esemplare a questo proposito è il modo strumentale con cui la destra tratta le drammatiche vicende del confine italo sloveno nel ‘900. Mozioni dei consigli regionali con maggioranze di centro destra e da ultimo anche proposte di legge nazionale ripropongono una sistematica alterazione della storia, sanzionando o invocando sanzioni, con modalità che configurano un attentato alla libertà della ricerca, nei confronti di chi non si conforma al paradigma genocidiario, proposto come unica chiave interpretativa degli eventi. Storici seri e autorevoli, di diverso orientamento politico, impegnati a spiegare e non certo a sminuire la gravità del grande dramma che si è protratto in tutta la prima metà del 900 nell’area dell’Alto Adriatico, sono accusati di negazionismo o di riduzionismo, diventando oggetto di campagne denigratorie, soltanto perché non danno spazio a una narrazione che piega la storia all’esigenza della propaganda politica. Ma il revisionismo storico non ha fatto breccia, e nessun serio lavoro di ricerca sostiene le rumorose e vacue campagne dell’estrema destra. La verità non è di casa da quelle parti e per quanto si cerchi di celarla, in un modo o nell’altro, rispunta sempre fuori.
PACE. Non una delle parole ma la parola chiave, dunque, del nostro Congresso. Una parola semplice, che ha un significato univoco: il ripudio della guerra, del conflitto armato – come recita appunto l’art. 11 della Costituzione – con il suo strascico di dolore e distruzione, e, di conseguenza, la regolazione pacifica delle controversie internazionali e l’affermazione del primato del diritto sulla forza. Eppure, mai come in questo drammatico momento, della guerra in atto si moltiplicano i distinguo e le prese di distanza da posizioni coerentemente pacifiste, e le voci della trattativa e del dialogo sono ancora sopraffatte dalle irresponsabili esibizioni muscolari e dalle ancora più irresponsabili evocazioni di scenari bellici globali che si moltiplicano specialmente nei Paesi occidentali, proprio quei Paesi che avrebbero dovuto essere in prima fila per imporre un vero confronto tra le parti, il cessate il fuoco e il ritiro dell’aggressore russo dall’Ucraina. Imprecare contro il tiranno non serve a fermare i carri armati, ma solo a rinfocolare pulsioni belliciste che comprovano il disorientamento dei governi e la debolezza politica dell’Unione europea, avvelenano l’opinione pubblica e possono in ogni momenti debordare dalle parole a fatti drammaticamente irreversibili.
Nella stampa e nella televisione nostrana si è affermata e si continua ad affermare invece una preoccupante tendenza ad arruolare tutti coloro che cercano di mantenere una linea coerente di difesa della pace e di sostegno al dialogo nelle file di una presunta quinta colonna putiniana (che va cercata, quella vera, nei partiti del centro-destra italiano!); a quanti hanno espresso dubbi sull’invio di armi alla legittima resistenza ucraina, in quanto potenziale manifestazione di cobelligeranza in contrasto con una opzione coerente di pace, si chiedono abiure e si fa “l’analisi del sangue” alla ricerca di tracce di antiatlantismo e di bolscevismo di ritorno. L’ANPI poi viene addirittura accusata di rinnegare gli ideali della Resistenza, in forza di improbabili paragoni storici, soltanto perché reclama con forza l’adozione di una vera politica di distensione internazionale!
Ancora una volta, è necessario rifarsi alle parole del Pontefice, alla sua invocazione di una pace senza aggettivi, per la fine dell’aggressione russa all’Ucraina e per la deposizione ai piedi del diritto dei popoli di ogni nazionalismo, di ogni manifestazione di violenza, di qualsiasi insensata corsa al riarmo. Sono parole di speranza, che qualcuno ascolta con insofferenza e qualcun altro ha censurato, relegandole nelle ultime pagine dei giornali o nei servizi “brevi” dei notiziari televisivi. Ma sono anche parole destinate a riemergere e a imporsi all’opinione pubblica e agli uomini di governo, con la forza persuasiva della ragione, per la semplice constatazione che non c’è oggi alcuna alternativa credibile al dialogo e alla trattativa e che questa strada va perseguita fino in fondo. Senza esitazione e senza equivoci.
Pubblicato mercoledì 6 Aprile 2022
Stampato il 11/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/cittadinanza-attiva/lessico-congressuale/