Recentemente, l’11 febbraio del 2022, è stato aggiornato l’articolo 9 della Costituzione, uno degli articoli fondamentali, per specificare che “la Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Un aggiornamento nel solco tracciato dalle madri e padri Costituenti e che deve essere letto in connessione con i diritti fondamentali della persona: Lavoro (art.1, art. 4. art. 3, art.li 35-40), Salute (art. 32, art. 41), Istruzione (art. 34). La connessione della tutela ambientale è forte ed evidente anche con l’articolo 3: come sarebbe possibile, infatti, garantire pari dignità sociale ed eliminazione delle diseguaglianze in un contesto ambientale degradato, in una crisi climatica in cui è ormai evidente che i Paesi più ricchi, e all’interno dei Paesi le classi più agiate, sono la causa principale del riscaldamento climatico? E per contraltare le persone meno ricche, che meno contribuiscono al riscaldamento climatico, sono quelle che ne soffrono di più le conseguenze in quanto non hanno i mezzi per affrontare i disastri dovuti a violente e improvvise inondazioni, ondate di calore, periodi di siccità e tutti gli altri effetti del riscaldamento climatico in atto.

Uno dei pannelli che saranno proposti al convegno

Evidente anche la correlazione tra crisi climatica e conflitti. Non solo perché i conflitti contribuiscono ad aumentare le emissioni di gas serra responsabili della crisi climatica e provocano gravissime conseguenze umanitarie e ondate migratorie ma anche perché i conflitti, troppo spesso, sono legati proprio al possesso di quelle risorse fossili che sono la principale causa del riscaldamento climatico. Attuare una transizione ecologica aiuterebbe quindi a rispettare l’art. 11 della Costituzione, ripudio della guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Perché si potrebbero abbandonare le risorse fossili, patrimonio di pochi stati e di poche grandi multinazionali, in favore di fonti energetiche rinnovabili per loro definizione patrimonio condiviso dell’umanità. Il sole splende per tutti, il vento soffia in tutti i Paesi: sono “beni comuni”, proprio come quell’acqua di cui soffriremo la carenza proprio a seguito del riscaldamento climatico.

La crisi climatica porta conseguenze non solo ambientali (sconvolgimento dei cicli climatici attuali, siccità, crescita livello dei mari, ondate di calore), ma anche socio-economiche (carestie, fame, migrazioni, aumento diseguaglianze, danni da eventi climatici estremi, crisi filiera agroalimentare, costi sanitari…). Stiamo andando verso nuove forme di povertà e di sfruttamento, vediamo la nascita di nuovi “proletariati” come il “proletariato dei precari” o il “proletariato energetico”…

Un altro dei pannelli

Non a caso l’Anpi, nel documento elaborato, discusso e approvato dal 17° congresso, ha indicato il cambiamento climatico come primo dei 3 fattori di portata globale. E non a caso gli altri 2 sono la crisi degli organismi di governo sovranazionale e la rivoluzione tecnologica digitale. La crisi dell’Onu è resa evidente dall’incapacità di affrontare il continuo aumento e inasprimento dei conflitti in tutto il mondo. La rivoluzione tecnologica digitale deve diventare opportunità di nuovo lavoro e di contrasto al cambiamento climatico. Orientare il progresso tecnologico verso il contrasto al cambiamento climatico vuol dire creare nuovo lavoro, migliorare la qualità della vita e della salute, contrastare le diseguaglianze, evolvere la filiera alimentare tenendo conto dell’aumento della siccità e favorire lo sviluppo socio-culturale delle comunità. Cambiare l’attuale modello socio-economico basato su sfruttamento del lavoro, eccessivo consumo delle risorse naturali e distruzione dell’ambiente è un presupposto per ridurre le cause di conflittualità.

(Alessia Mastropietro, Imagoeconomica)

La Costituzione come sempre ci indica la strada, ma è l’azione delle istituzioni che deve renderla praticabile e dare ai cittadini gli strumenti per percorrerla. In questo modo si deve attuare la Costituzione. Purtroppo non sempre ciò avviene. Perché le normative sulle energie rinnovabili camminano sempre con lentezza? L’unione Europea già dal 2018, con la Direttiva “Red II”, ha promosso lo sviluppo delle fonti rinnovabili in tutta Europa tra cui anche le Comunità Energetiche Rinnovabili. Com’è che in Italia, a quasi 5 anni di distanza, ancora non è stato pubblicato il regolamento definitivo di attuazione delle Comunità Energetiche Rinnovabili? Questo incomprensibile ritardo frena, di fatto, lo sviluppo di una forma democratica di condivisione dell’energia tra i cittadini che non solo contrasta il cambiamento climatico ma è anche una forma di solidarietà e socialità tra comunità. Com’è possibile che, invece, azioni come ad esempio l’autorizzazione a nuove trivellazioni in Adriatico viaggino molto più velocemente?

Non c’è giustizia sociale senza giustizia ambientale

Queste le ragioni per cui riteniamo che dobbiamo impegnarci per contrastare i cambiamenti climatici e questi i motivi che spingono l’Anpi a incontrare la scienza e i movimenti giovanili per il clima il 15 maggio a Roma, teatro di Villa Lazzaroni, per discutere del recentissimo report sullo stato del clima (Copernicus, EU Commission) che vede l’Europa riscaldarsi già di 2.2 gradi contro il 1.2 gradi medi, e presentare le Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali (CERS). Sono un’opportunità per mettere in pratica le indicazioni emerse dal 17mo congresso nazionale e possono diventare alcuni dei sempre più necessari “semi di pace”. Infatti la visione che si vuole trasmettere delle Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali è quella di una realtà che può creare forme di socialità e risocializzazione, valorizzando l’energia rinnovabile come bene comune e collettivo. Le CERS, quindi, come semi di pace, sia a livello globale (emancipazione dalle fonti fossili e dai colossi energetici, causa di inquinamento, guerre e instabilità) sia a livello locale.

Guido Marinelli, Anpi provinciale di Roma