La famiglia è realtà – comunità e istituzione – che mi sta a cuore. Per esperienza personale e per formazione culturale. Di più: penso che essa rivesta anche un’alta valenza politica. Sia in quanto agenzia educativa che può e deve concorrere alla formazione di una matura coscienza politica. Sia in quanto soggetto e oggetto delle politiche di welfare. Profilo, questo, negletto in Italia più che altrove, a dispetto dello stereotipo del nostro, quale Paese cattolico, e della diffusa retorica familista.

È proprio a motivo della singolare rilevanza che attribuisco alla questione-famiglia che il congresso internazionale di Verona ha suscitato in me disagio e inquietudine. Per molte ragioni.

Il primo luogo, per l’approccio culturale al tema. Un approccio chiuso, regressivo, illiberale, che vorrebbe rimettere in discussione preziose conquiste civili. Nel programma del congresso, figurano relatori noti per le loro posizioni decisamente oscurantiste. Una impostazione che sembra cancellare il portato di un ricco, fecondo confronto tra culture laiche e cattoliche che si è sviluppato nel nostro Paese a partire dagli anni settanta in tema di diritti. Si pensi solo al nuovo diritto di famiglia scritto insieme da laici e cattolici. Soprattutto da donne politiche, che, pur in forme diverse, avevano partecipato ai movimenti di emancipazione femminile. Anche attraverso contrasti poi risolti in una sintesi avanzata e feconda.

La seconda ragione di disagio sta nel quasi ricercato spirito divisivo che anima i promotori del congresso veronese, intenzionalmente caricato di un sovrappiù ideologico. Si ha l’impressione che, assai più che la famiglia, a loro prema affermare una visione chiusa, gerarchico-patriarcale dell’ordine sociale. Più esplicitamente: di allestire una operazione politica ideata e cavalcata da una destra autoritaria che si inscrive nella deriva – in atto nell’Europa centro orientale, ma anche in Italia per iniziativa della Lega di Salvini – verso le cosiddette “democrazie illiberali”, denominate anche “democrature”. Ossimori cui corrisponde la compressione dei diritti di libertà e delle minoranze. Sono molti gli esponenti politici “sovranisti” europei che interverranno a Verona. È naturale che, nelle nostre società pluraliste, si diano diverse visioni della vita di relazione (coniugali, genitoriali, familiari), ma sarebbe saggio che la legislazione, in tema di diritti civili, fosse il più possibile condivisa, così da assicurare una sua stabilità e affidabilità nel tempo. Onde evitare che, con l’avvicendarsi delle maggioranze politiche, siano intaccati i diritti sensibili che riguardano tanto da vicino la vita delle persone.

In terzo luogo, la strumentalizzazione della religione. Con la pretesa di chiamarla in causa a sostegno di un ordine sociale che appunto ricaverebbe legittimazione dalle radici cristiane. È significativo che nessuna sponda al congresso di Verona sia stata data dai vertici della Chiesa. Il Forum delle associazioni familiari (cui aderiscono 582 sigle cattoliche) non ci sarà. Il quotidiano cattolico Avvenire ha definito Verona “una passerella per il Carroccio”. Del resto, Papa Francesco, cui la famiglia sta sommamente a cuore, al punto da avere dedicato ad essa ben due Sinodi mondiali dei vescovi, ha semmai mostrato un’apertura della Chiesa all’evoluzione del costume e dei modelli sociali e familiari. Non nel segno del relativismo etico, ma certo del rispetto per la libertà delle persone e per l’autonomia delle istituzioni democratiche. Mettendo nel conto qualche resistenza interna alla Chiesa, ma mostrando decisione nel dare una interpretazione del cristianesimo come religione amica della libertà delle persone concrete e rispettosa delle loro scelte.

Infine, il profilo istituzionale. La partecipazione di ben tre ministri al congresso rappresenta una vistosa sgrammaticatura. Gli uomini di Stato – che è la “casa comune” – dovrebbero avere senso della misura e rispetto per il pluralismo delle sensibilità e delle culture. Non imprimere il proprio marchio ideologico su opinioni così palesemente controverse e divisive. Un deficit di senso delle istituzioni intese come patrimonio di tutti, uno spirito di parte che purtroppo è tratto caratteristico di questo governo riscontrabile su molti altri fronti. Fa altresì riflettere che non si tratti di ministri qualsiasi: quello dell’Interno, quasi a marcare una impronta securitaria persino sui temi della famiglia; il ministro appunto della Famiglia che dovrebbe distinguere le sue personali opinioni dal suo ruolo di garante di un pluralismo delle visioni etiche e culturali al riguardo; il ministro della Cultura che, semmai, come si conviene alla cultura, dovrebbe coltivare un orizzonte largo, aperto e inclusivo. L’opposto di un approccio esclusivo ed escludente.

Una ragione in più per elevare la soglia della nostra vigilanza. Come sa bene chi è erede di coloro che hanno conquistato la libertà a caro prezzo, cari amici dell’Anpi, la libertà è un prisma a molte facce (Papa Francesco addirittura predilige la figura geometrica della sfera), che tutte si tengono ed è un bene da riconquistare ogni giorno.

Franco Monaco, giornalista, già presidente dell’Azione cattolica ambrosiana e dell’Associazione “Città dell’uomo”, già parlamentare