Brescia, piazza della Loggia, 28 maggio 1974

Pochi giorni prima di quel maledetto 28 maggio, il 12, per l’esattezza, trionfava il No al referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio. Si era difesa con successo una legge che migliorava la vita di tanti cittadini, ma si era anche raggiunto un traguardo simbolico del lungo percorso di emancipazione, partecipazione, laicità e modernità che, attraverso l’acquisizione di una serie di diritti civili e sociali e grazie allo straordinario movimento di lotta di quegli anni, consentiva al nostro Paese di stare al passo con i tempi e confermava che il cambiamento in cui confidavano milioni e milioni di persone, in particolare le giovani generazioni, non era solo una speranza, ma una concreta possibilità.

Circa due settimane dopo, la strage. A Brescia, a Piazza della Loggia, mentre è in corso una grande manifestazione popolare contro il terrorismo neofascista promossa dai sindacati e dal Comitato Antifascista, scoppia una bomba nascosta in un cestino di rifiuti: muoiono otto persone, e centodue rimangono ferite.

È il 1974. Migliaia e migliaia di anni fa.

Il processo va avanti per decenni e decenni fra depistaggi e indagini. Alla fine sono riconosciuti colpevoli alcuni personaggi dell’organizzazione neofascista Ordine Nuovo. Fra questi, il dirigente neofascista Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte. La condanna, per entrambi in appello, è l’ergastolo. È il 22 luglio 2015: quarantuno anni dopo l’attentato terroristico.

Maurizio Tramonte (da http://www.grnet.it/wp-content/ uploads/2017/12/Maurizio-Tramonte.jpg)

Nelle motivazioni della sentenza di appello del Tribunale di Milano, 10 agosto 2016 si legge fra l’altro: “Lo studio dello sterminato numero di atti che compongono il fascicolo dibattimentale porta ad affermare che anche questo processo, come altri in materia di stragi, è emblematico dell’opera sotterranea portata avanti con pervicacia da quel coacervo di forze (…) individuabili con certezza in una parte non irrilevante degli apparati di sicurezza della Stato, nelle centrali occulte di potere che hanno prima incoraggiato e supportato lo sviluppo dei progetti eversivi della destra estrema e hanno sviato, poi, l’intervento della magistratura, di fatto rendendo impossibile la ricostruzione dell’intera rete di responsabilità. Il risultato è stato devastante per la dignità stessa dello Stato e della sua irrinunciabile funzione di tutela delle istituzioni democratiche, visto che sono solo un leader ultra ottantenne e un non più giovane informatore dei servizi, a sedere oggi, a distanza di 41 anni dalla strage sul banco degli imputati, mentre altri, parimente responsabili, hanno da tempo lasciato questo mondo o anche solo questo Paese, ponendo una pietra tombale sui troppi intrecci che hanno connotato la mala-vita, anche istituzionale, dell’epoca delle bombe”

Il 20 giugno 2017 la Corte di Cassazione conferma l’ergastolo. Tramonte fugge in Portogallo, ma nei giorni scorsi viene rintracciato e arrestato, poi estradato in Italia, e infine a Rebibbia.

Si chiude così una pagina, ma ne rimangono aperte tante altre relative al terrorismo fascista di questi anni, gli anni di Brescia, ma prima – il 12 dicembre 1969 – della strage di piazza Fontana, poco dopo, la notte fra il 3 e 4 agosto 1974, della strage sul treno “Italicus” ed ancora, il 2 agosto 1980, del massacro alla stazione di Bologna. Un filo nero che ha attraversato per molto più di un decennio la vicenda del nostro Paese e che in gran parte oggi è rimosso, sconosciuto, nascosto, ignorato. Quel filo porta sempre ed inesorabilmente ai gruppi neofascisti del tempo, ai servizi segreti deviati, alle coperture agli insabbiamenti. Ed è una lezione per l’oggi, quando gli eredi di quei neofascisti rialzano la testa in tutta Italia, anche grazie ad una memoria negata.