Vietato il suolo pubblico di Pavia a chi si ispira a movimenti fascisti e nazisti. E durante le manifestazioni niente saluti romani, bandiere con simboli di ideologie nostalgiche, immagini di stampo razzista e omofobo. D’ora in poi nella città lombarda banchetti, sit-in, presidi e cortei saranno autorizzati dal Comune solo se i promotori sottoscriveranno una dichiarazione d’impegno a non esprimere contenuti contrari alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, alla Costituzione, alle leggi Scelba e Mancino e a qualsiasi discriminazione. Chi infrangerà le norme sarà passibile di una multa fino a 500 euro.

I divieti sono stati introdotti con modifiche a due regolamenti comunali approvate lo scorso 27 aprile in Consiglio e sono frutto della reazione democratica alla notte più buia dal dopoguerra per il capoluogo pavese (la delibera dlc_00021_27-04-2017 delibera 21).

La sera del 5 novembre 2016 (ne abbiamo parlato su Patria ) gli skinhead locali, coordinati dall’associazione culturale Recordari, chiamarono a raccolta decine di militanti di CasaPound e Forza Nuova per commemorare l’anniversario della morte di Emanuele Zilli, attivista missino, scomparso negli anni Settanta cadendo dal motorino.

Un momento della manifestazione neofascista del 5 novembre (da http://immagini.quotidiano.net/?url=http://p1014p.quotidiano.net:80/polopoly_fs/ 1.2656265.1478439264!/httpImage/image.JPG_gen/ derivatives /gallery_800/image.JPG&h=495&pos =top&w=626&mode=clip)

Quel 5 novembre 2016 cadeva di sabato e la città si apprestava a trascorrere un fine settimana di svago e di riposo. I militanti dell’estrema destra, tutti giovanissimi, arrivarono da mezza Lombardia: almeno in duecento da Varese (territorio di Do.Ra), Cremona, Monza. Marciarono per le vie del centro storico, autorizzati da prefettura e questura. Per garantire il corteo nero venne addirittura proibito e caricato dalla polizia il presidio antifascista, pacifico, a cui stavano partecipando con l’ANPI, l’ARCI, sindacati, parlamentari e tantissimi semplici cittadini, anche il sindaco Massimo Depaoli e alcuni assessori. Furono feriti un professore universitario e due ragazzi. Intanto a poche centinaia di metri di distanza, in un silenzio irreale cadenzato dai passi dell’oca, i neofascisti sfilavano sventolando bandiere con croci celtiche, scortati dai blindati della Pubblica Sicurezza. Tensioni, il tentativo di assaltare il circolo ARCI Radio Out, Ponte Coperto chiuso, città divisa in due fino quasi all’alba. Pavia si risvegliò il giorno dopo tappezzata di manifesti – abusivi – firmati “I camerati”.

Allo sgomento e all’indignazione seguì, il 13 novembre, la risposta democratica della cittadinanza con una grande corale mobilitazione. Da tempo, in realtà, l’ANPI e le organizzazioni della società civile riunite nella Rete Antifascista, sollecitavano le istituzioni municipali ad adottare strumenti idonei a contrastare l’aumento, costante ogni anno, dei partecipanti a manifestazioni ispirate a ideologie nazifasciste (nel 2015 un ordine del giorno era stato approvato in Consiglio comunale ma non aveva avuto seguito).

Oggi Pavia è il primo capoluogo in Italia dove vige un regolamento mirato, oltre i semplici atti di indirizzo politico adottati in altre località del Paese. Finora infatti solo in centri più piccoli – come in Lombardia a Nova Milanese e nelle Marche a Chiaravalle, Jesi, Santa Maria Nuova, Monsano – sono state introdotte misure amministrative ad hoc.

Va da sé che non bastano unicamente strumenti normativi locali per contrastare efficacemente il fenomeno neofascista e neonazista divenuto in poco tempo ben più di un rigurgito minoritario (inoltre la magistratura non è univoca nel far applicare le leggi nazionali esistenti). L’esempio pavese dimostra però la possibilità concreta di avere disposizioni attuali e vincolanti al rispetto del dettato costituzionale e delle leggi della Repubblica. Se l’emanazione di regolamenti comunali diverrà una prassi diffusa e virtuosa, forse, come da tempo chiede l’ANPI tutta, anche il legislatore nazionale provvederà.