Luiz Inácio Lula da Silva (Imagoeconomica)

«Questa non è una vittoria per me, per il Pt o per i partiti che mi hanno accompagnato. È la vittoria di un immenso movimento democratico che si è formato al di sopra degli interessi politici». Luiz Inácio Lula da Silva, 77 anni, è stato eletto trentanovesimo presidente della Repubblica del Brasile con il 50,90% dei consensi (60 milioni di voti) contro il 49,10% (58 milioni) del suo sfidante diretto Bolsonaro. Nella recente storia costituzionale democratica del Brasile è la prima volta che il presidente uscente non viene confermato e che un presidente viene eletto per la terza volta. Il dato che balza subito agli occhi è il recupero di voti di Bolsonaro rispetto al primo turno e in confronto a Lula: il primo ha aumentato di 7 milioni i suoi consensi, mentre il secondo solo di 3 milioni. Nonostante Lula avesse costruito un ampio fronte, anche insieme a oppositori storici (come ad esempio il neo-vicepresidente Geraldo Alckmin), la sottile differenza tra i due candidati ha mostrato, oltre alla profonda divisione presente nel Paese, l’efficienza della macchina elettorale di Bolsonaro al secondo turno.

Jair Bolsonaro (Imagoeconomica)

La vittoria serrata di Lula su Bolsonaro ha dimostrato che il Partido dos Trabalhadores (Pt) aveva ragione a spostarsi al centro in queste elezioni, attirando consensi come quello di Alckmin (Partido socialista brasileiro, Psb), e di Simone Tebet (Movimento democrático brasileiro, Mdb). Il risultato, tuttavia, non lascia dubbi sul fatto che il sentimento anti-Pt è ancora forte tra i brasiliani. Anche nelle ultime ore della giornata elettorale il presidente uscente ha utilizzato i suoi tipici metodi intimidatori per tentare di influenzare il voto, tanto che la coalizione guidata dal Pt di Lula, ha denunciato un vero e proprio tentativo di impedire il voto ai sostenitori dell’ex presidente – in particolare nelle regioni più povere del nord-est del Paese, feudo del leader di sinistra – in quanto i cittadini non hanno avuto pieno accesso gratuito ai mezzi per recarsi ai seggi, a differenza di quanto previsto dalla legge. Si è reso necessario l’intervento del presidente del Tribunale superiore elettorale (Tse), Alexandre de Moraes, ma solo a poche ore dalla chiusura dei seggi, che ha ordinato alla polizia stradale federale di non proseguire con le azioni di controllo su treni, bus e metro.

La distribuzione del voto a sostegno di Lula durante il primo turno delle presidenziali (wikipedia)

Non è noto se ci siano state persone che non siano riuscite a votare per queste operazioni, ma permangono dubbi sulle intenzioni di queste procedure e in che misura possano aver influito sull’esito finale delle elezioni, anche perché lo stretto margine di vantaggio di Lula ha sorpreso tutti i sondaggi che prevedevano la sua vittoria con una forbice compresa tra il quattro e l’otto per cento. La campagna elettorale più lunga e tesa che abbia vissuto il Brasile si è conclusa con il confronto tra i due leader politici più forti, che rappresentano i valori più agli antipodi che si possano immaginare. Il Brasile ha vissuto tra questi due mondi per diversi mesi, e ancora oggi il clima rimane teso, tanto che dopo un giorno dalla chiusura dei seggi e dalla proclamazione del nuovo presidente, Bolsonaro ancora non aveva ammesso ufficialmente la sconfitta o rilasciato dichiarazioni in merito.

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Inoltre, da domenica notte, camionisti provenienti da varie parti del Paese hanno bloccato alcune delle arterie stradali principali, in segno di protesta per la sconfitta del presidente uscente Bolsonaro, in alcuni casi richiedendo l’intervento delle forze armate. E la mancata condanna di questi atti da parte di Jair Bolsonaro è stata assordante. Si sono contati più di 270 blocchi stradali in 20 Stati del Brasile, principalmente nel sud e nell’ovest, dove il presidente uscente ha ricevuto il maggior numero di voti. È evidente che Lula ha davanti a sé una nuova grande sfida: è chiamato a ripetere la stessa operazione esattamente dopo vent’anni, ricalcando l’impresa di creare una maggioranza parlamentare e ricostruire e riunificare il Paese, come già era riuscito a fare nel 2002.

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«Combattere la miseria è la ragione per cui vivrò fino alla fine della mia vita»

Il primo discorso del neopresidente è stato improntato all’affermazione dei diritti sociali, al ritorno alla difesa dei diritti dei popoli nativi, alla tutela dell’Amazzonia: «Non possiamo accettare come normale che milioni di persone non debbano mangiare o che assumano meno delle calorie di cui hanno bisogno». Il leader progressista ha affermato che è inconcepibile che un Paese come il Brasile, che è una delle più grandi potenze agricole del mondo, il terzo produttore di alimenti e il primo di proteine animali, non possa «garantire che tutti i brasiliani ogni giorno facciano una colazione, un pranzo e una cena».

Pistoia, Bolsonaro in compagnia di Matteo Salvini al monumento ai caduti brasiliani nel novembre 2021 (Imagoeconomica)

Più in generale, e diversamente dal linguaggio provocatorio e minatorio del suo predecessore, tutto l’intervento di Lula ha richiamato il popolo brasiliano alla pacificazione nazionale, con l’auspicio di superare quel clima d’odio di stampo bolsonarista, quel disprezzo protofascista per le istituzioni democratiche che si è insinuato in questi anni nella società e che ha avuto i suoi riflessi nella tornata elettorale con l’estrema destra che ha messo radici nella scena politica brasiliana, definendo una situazione storicamente nuova.

L’entusiasmo per la rielezione di Lula fuori dall’ambasciata del Brasile a Roma (Imagoeconomica)

Il leader del Pt ha subito indicato la nuova strada dichiarando di voler affrontare, senza tregua, il razzismo, il pregiudizio, la discriminazione, «affinché bianchi, neri e indigeni abbiano gli stessi diritti e le stesse opportunità. Solo così potremo costruire un Paese per tutti, un Brasile egualitario, la cui priorità sono le persone che ne hanno più bisogno. Un Brasile con pace, democrazia e opportunità».

Senzatetto a Recife, zona con la massima disparità sociale tra poveri e ricchi (wikipedia)

Non si tratta di retorica populista, il Programa Bolsa Familia (Pbf) avviato nel 2003 durante il suo primo mandato presidenziale è stato un successo ineguagliabile a livello mondiale. Ma il Brasile che Lula eredita oggi non è quello del 2002: secondo un recente editoriale dello Estado de São Paulo, «la fame è tornata a perseguitare milioni di brasiliani. La nostra immagine internazionale è un disastro. Il quadro fiscale è stato devastato. I programmi di welfare sono stati sostituiti da pretese elettorali. L’inflazione si è ridotta solo a colpi di mazza per contenere i prezzi del carburante. Le politiche pubbliche nei settori della salute, dell’istruzione, dell’ambiente, della cultura e della scienza sono state distrutte per accogliere gli emendamenti elettorali miliardari dei parlamentari».

Bolsonaro in visita alla comunità brasiliana a Orlando, Florida, lo scorso giugno (wikipedia)

Non sarà semplice quindi per Lula portare a termine le sue riforme, soprattutto per la geografia del Congresso (Camera e Senato) sancita dalle elezioni. La coalizione dei partiti raccolta attorno al presidente ha conquistato 122 seggi alla Camera, su un totale di 513. Potrebbe arrivare a 220 se riuscisse ad attirare consensi di altre forze politiche quali Psd, Pdt e Mdb, partiti che hanno leader e settori solidali con il partito del presidente. Anche così, il presidente eletto sarà ben lungi dal raggiungere una maggioranza semplice alla Camera. Di contro, il Partito liberale (Pl) dell’ex presidente Jair Bolsonaro ha consolidato in queste elezioni il numero maggiore di seggi alla Camera, con una crescita di 23 deputati, dagli attuali 76 ai 99 nella prossima legislatura.

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Lo stesso vale al Senato, con un incremento di 14 seggi. Il che dimostra l’influenza del presidente uscente nella composizione del Congresso. La composizione delle Camere del Congresso ha un impatto diretto anche sul governo del presidente eletto, poiché quest’ultimo dovrà negoziare la votazione degli ordini del giorno prioritari volta per volta, nella speranza che le forze di estrema destra rispetteranno le istituzioni democratiche e non adotteranno piani cospiratori per delegittimare il ruolo del presidente. Ne consegue che il terzo mandato di Luiz Inácio Lula da Silva rappresenterà una prova del fuoco per il sistema presidenziale e per il cosiddetto “presidenzialismo di coalizione”.

Debolsonizzare la società brasiliana

Sit-in a sostegno di Lula (wikipedia)

Per il Brasile ora è il tempo della “ridemocratizzazione” delle istituzioni, occorre debolsonizzare la società brasiliana. In altre parole, è urgente avviare una riconciliazione nazionale che vada oltre la mera divisione tra poveri e ricchi, tra destra e sinistra, ma investa nuove categorie di analisi, quali la geografia, la cultura, la religione. Non sarà semplice disarticolare la rete dei movimenti sociali filo-bolsonaristi che si è ramificata in questi anni, dalle forze armate alla chiesa, dalle piattaforme digitali ai mezzi di informazione, dalla giustizia alle imprese economiche, e il decantato “capitale politico” di cui di solito godono i presidenti eletti nel loro primo anno di mandato per l’approvazione di misure dure e/o impopolari sarà notevolmente ridotto in questo terzo mandato, ancor più tenendo conto che Lula affronterà un lungo e difficile passaggio di governo con Bolsonaro. Di certo anche la situazione economico-finanziaria non tranquillizza.

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Si è sgonfiato il boom delle materie prime di inizio secolo che aveva fatto del Brasile il simbolo degli emergenti – la B dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) – garantendogli un posto tra le grandi potenze globali. Poi dal 2014 è iniziato un crollo, dal quale il Paese non si è ancora ripreso: nel decennio terminato nel 2021, il Pil è cresciuto in media solo dello 0,15% all’anno. Il Fondo monetario internazionale stima che il Pil dopo gli incrementi del 4,2 e del 2,8% registrati in questi ultimi due anni, «farà fatica a raggiungere un aumento dell’1% nel 2023».

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Diventa determinante in questo contesto abbattere quel «muro di cemento e disuguaglianza che separava il Brasile in parti ineguali», per dirla ancora con le parole di Lula, oltre a combattere la povertà estrema, la fame, ristabilire il dialogo tra i poteri istituzionali. Questi saranno gli obiettivi principali che da oggi perseguirà il neopresidente. Come ha sottolineato lo storico brasiliano Alberto Aggio in un recente seminario tenuto alla Fondazione Basso a Roma (pochi giorni prima del ballottaggio), Bolsonaro rappresenta l’espressione più brutale e compiuta del “trasformismo negativo”, da sempre presente nel processo di modernizzazione autoritaria che segna il recente percorso del Brasile, contro il “trasformismo positivo” (secondo la definizione del politologo Luiz Werneck Vianna) che ha invece caratterizzato la storia brasiliana a partire dalla ridemocratizzazione del Paese, avvenuta nel 1985 dopo ventuno anni di dittatura.

Andrea Mulas, storico Fondazione Basso