Bologna, 10 dicembre 2018. Da sinistra sullo scranno: Anna Cocchi, presidente Anpi Bologna; Carla Nespolo, presidente nazionale Anpi; il professor Gaetano Silvestri; Carlo Smuraglia, presidente emerito Anpi. Foto di Valentina Giunta

Da oltre 70 anni, la dignità umana è l’architrave su cui si regge tutta la civiltà giuridica dell’Occidente. Non a caso, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Una conquista del pensiero democratico dunque, tuttavia niente affatto scontata, affermata con fatica e pagata un prezzo altissimo.

A disegnare la lunga strada dei diritti fondamentali riconosciuti a ogni essere umano è stata la lectio magistralis “I diritti umani nella Dichiarazione universale delle Nazioni Unite del 10 dicembre 1948 e nella Costituzione italiana” che il professor Gaetano Silvestri, presidente emerito della Corte costituzionale e ora presidente della Scuola superiore della Magistratura, ha tenuto il 10 dicembre scorso nella prestigiosa e affollatissima sala del Consiglio metropolitano di Bologna. Oltre cento persone di ogni età, giovani antifascisti accanto ad anziani partigiani hanno partecipato all’incontro conclusivo del ciclo dedicato dall’Anpi nazionale all’attuazione della Carta fondamentale della Repubblica Italiana. Altamente simbolici luogo e data del seminario: il 70° della Dichiarazione Onu e la città dove si cominciò ad onorare l’impegno preso dall’Associazione all’indomani della vittoria del No al referendum, dare attuazione concreta al dettato dei Costituenti.

Il presidente emerito dell’Anpi, Carlo Smuraglia, durante l’intervento a Bologna. Foto di Valentina Giunta

Dopo il saluto di Anna Cocchi, presidente del Comitato provinciale dell’Associazione dei partigiani – che ha riferito anche dell’apprezzamento per l’iniziativa del Consiglio comunale felsineo, espresso con un intervento in Aula della consigliera Simona Lembi – e successivamente del benvenuto, a nome dell’Istituzione metropolitana del consigliere Marco Monesi, a prendere la parola è stato il presidente emerito dell’Anpi, Carlo Smuraglia.

Smuraglia ha ricordato le tappe e i temi del viaggio nello “spirito” clamorosamente disatteso della norma principale del nostro ordinamento: Bologna e l’art. 1 (Repubblica, democrazia, lavoro, sovranità popolare), Pisa sull’art. 3 (libertà e uguaglianza), Macerata e gli articoli 1 e 4 (lavoro), Torino e l’art. 9 (tutela dell’ambiente e del patrimonio artistico e culturale, sviluppo della cultura), Roma e l’art. 2 (solidarietà e doveri), Milano e l’art. 54 (legalità ed etica). Ha poi annunciato che riflessioni, indicazioni e proposte di ben 43 tra oratori, relatori e discussant sono state elaborate da un gruppo scelto di esperti e raccolte in un volume dall’emblematico titolo “La Costituzione, 70 anni dopo” in via di pubblicazione per i tipi della Viella edizioni. «Sarà il punto di partenza di un nuovo impegno, non appena le condizioni politiche lo consentiranno: il momento giusto arriva sempre», ha assicurato il presidente emerito dell’Anpi, confermando ancora una volta la tempra e la determinazione del combattente della Resistenza. D’altronde, «dal 1943 ad oggi avremmo fatto ben poco se, per dirla con Calamandrei, dopo l’8 settembre “una voce sotterranea” non fosse corsa in tutto il Paese e non avesse trasformato la disfatta e l’occupazione in una rinascita per l’Italia».

Nel dopoguerra, per l’esperienza di quanto era accaduto in Europa e della fragilità o dell’evanescenza degli statuti ottocenteschi, i Costituenti ebbero chiara la necessità di formulare un testo in cui principi e valori ispirativi non rimanessero vaghi ed astratti come era accaduto con il motto liberté, ègalité, fraternité della Rivoluzione francese (1789). Per questo nella Carta spesso è scritto che la Repubblica garantisce, promuove, agevola, tutela e sono tratteggiati quasi degli “ordini” ai futuri governi (per esempio, la Repubblica rimuove gli ostacoli). Ed è proprio questa parte, la più importante, della Legge delle leggi ad aver subito, fin da subito, i maggiori attacchi: si è provato ad allontanare i tempi di realizzazione degli istituti di garanzia, quali il Csm e la Corte Costituzionale, o di autonomia quali le Regioni; ci fu poi la resistenza passiva della Cassazione (arrivò a interpretare le norme come puramente programmatiche e non immediatamente applicabili); infine le manovre per l’alterazione totale: la Bicamerale, la riforma del 2001 approvata a maggioranza semplice, quella di Berlusconi e ultima quella di Renzi, finite entrambe sotto il taglione dei cittadini. Inoltre c’è il costante tentativo di stravolgimento strisciante di molti Esecutivi, con la negazione o depotenziamento della centralità del Parlamento (l’abuso dei decreti-legge e della fiducia). Oltre a ciò, sempre più spesso lo spirito di un testo ancora capace di rispondere alle esigenze della contemporaneità è stato vanificato oppure offeso. Basti pensare alla rinuncia nel contrasto ai neofascismi o al recente decreto sicurezza, che tradisce l’indole accogliente e solidale del popolo italiano.

Il professor Gaetano Silvestri, presidente emerito della Corte costituzionale e ora presidente della Scuola superiore della Magistratura. Foto di Valentina Giunta

A rendere ancora più evidente e sconcertante quanto della nostra Costituzione non ha avuto adempimento è stata la lectio magistralis del professor Gaetano Silvestri. E un motivato sentimento di orgoglio ha attraversato la sala quando il magistrato ha ricordato che, promulgata il 1° gennaio 1948, la nostra Costituzione anticipò di quasi un anno i contenuti della Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite. Chi leggerà il volume dell’Anpi segnalato da Smuraglia, dove ci sarà anche la lectio di Silvestri, avrà infiniti spunti di riflessione, noi ne possiamo solo fare qualche accenno.

Ha richiamato la Shoah Silvestri per illustrare il percorso che portò alla Dichiarazione Onu: «Entrambi i documenti sono successivi alla fine della seconda guerra mondiale, un periodo in cui l’umanità aveva visto l’“orrore assoluto” di Auschwitz. Non a caso il valore fondamentale correlato ai diritti umani, definiti “uguali e inalienabili”, è la dignità della persona. Essa – recita il Preambolo della Dichiarazione – “costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”».

Se nella nostra Costituzione si parla di diritti fondamentali, «A mio modesto avviso – ha precisato il presidente della Scuola superiore della Magistratura – “diritti umani” e “diritti fondamentali” sostanzialmente coincidono». E appunto sintesi complessiva dei diritti, “punto archimedico” e “assoluto costituzionale” è la dignità (richiamata negli art. 3, 32, 36 e 41) connaturata alla persona umana, che non si acquista per meriti né si perde per demeriti. A maggior ragione nell’epoca presente, con la progressiva integrazione dei diversi livelli di tutela, nazionale, sovranazionale e internazionale perché «sia si parli di diritti umani sia di diritti fondamentali, ci si riferisce a diritti “inviolabili”». Cioè invalicabili da qualunque potere di revisione e che circoscrivono la discrezionalità di ogni legislatore e di ogni interprete.

La dignità umana entrerà espressamente nel testo costituzionale della Repubblica tedesca (1949), vi si fa riferimento nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950); nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e nel Patto internazionale sui diritti civili e politici (entrambi del 1966); è esplicitata nella Convenzione americana sui diritti umani (entrata in vigore nel 1978); è citata nel Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000), ora facente parte integrante dei Trattati.

Franklin D. Roosevelt

Qual è la radice della concezione moderna dei diritti umani/fondamentali recepito anche nella nostra Costituzione italiana? Il celebre messaggio al Congresso sullo stato dell’Unione del Presidente Franklin D. Roosevelt. In barba alle critiche sull’impianto complessivo della nostra Carta accusata di essere stata troppo influenzata dall’ideologia marxista, e nella versione in auge negli anni dell’Assemblea costituente, da quella staliniana.

Il discorso di Roosevelt è del 6 gennaio 1941, in Europa infuria la guerra, gli Stati Uniti d’America vi sarebbero entrati dopo l’attacco di Pearl Harbor del dicembre di quello stesso anno. Gli esseri umani possiedono sin dalla nascita, disse l’inquilino della Casa bianca, quattro libertà fondamentali: la libertà di espressione; la libertà di culto; la libertà dal bisogno; la libertà dalla paura. «Occorre osservare – ha spiegato Silvestri – che libertà e diritti hanno un senso se è perseguita ed affermata l’eguaglianza tra gli uomini. Libertà ed eguaglianza sono due facce della stessa medaglia: si è liberi perché eguali e si è eguali perché liberi. Lo hanno dimostrato tutte le esperienze storiche». Insomma, sia il liberismo senza regole e tutele sociali, sia il collettivismo senza garanzie delle libertà e dei diritti sono in contrasto con le basi stesse del costituzionalismo contemporaneo. Altra notazione: «Nel discorso di Roosevelt alla libertà di espressione e di culto, classiche libertà negative, si affiancano la libertà dal bisogno, classica libertà positiva, e la libertà dalla paura, che implica l’intreccio tra diritti civili e sociali». Roosevelt tornerà sull’argomento nel 1944 con un messaggio al Paese, il celebre Second Bill of Rights. Vi si trovano elencati i diritti sociali, specificati poi nella nostra Carta repubblicana. Tra questi: il diritto a un lavoro utile e remunerativo; il diritto di guadagnare abbastanza per avere cibo, vestiario e svago adeguati; il diritto di ogni famiglia ad una casa decente; il diritto ad una buona istruzione il diritto a cure mediche adeguate e all’opportunità di ottenere e mantenere una buona salute; il diritto a una protezione adeguata dalla paura delle difficoltà economiche derivanti dalla vecchiaia, dalle malattie, dagli incidenti e dalla disoccupazione; il diritto allo svago.

Il passo con l’attualità è breve: «Anche oggi milioni di persone fuggono da guerre, massacri e povertà assoluta – ha articolato Silvestri –. La libertà dalla paura non riguarda soltanto coloro che, nel proprio Paese, subiscono violenze e privazione delle libertà fondamentali, ma riguarda pure quanti non hanno le condizioni minime di sostentamento, anche perché, nei secoli, sono stati depredati, con la violenza, delle loro, anche cospicue, risorse naturali, dalle potenze coloniali. Queste oggi continuano, sotto diverse forme, lo sfruttamento di prima, appoggiando spesso feroci dittature locali, e, nello stesso tempo, pretendono di impartire lezioni di libertà e di democrazia».

I nostri Padri costituenti furono all’avanguardia nella trasformazione in diritto soggettivo dell’aiuto agli stranieri in fuga dalle dittature e dalle guerre: il terzo comma dell’articolo 10 introduce il diritto di asilo, da intendere nella sua accezione più ampia, e trova riscontro, a livello internazionale ed europeo, negli istituti della protezione internazionale e della protezione integrativa.

Infine un’importante puntualizzazione del presidente emerito della Corte costituzionale e un monito a chi invoca la volontà popolare come unica ratio: «Quando è cessato l’orrore della guerra mondiale e dei massacri, l’umanità non si è limitata a dire “mai più”, ma, attraverso le Nazioni Unite e le prime costituzioni democratiche, ha cominciato a sradicare la mala pianta della sovranità intesa come potere assoluto, illimitato, indivisibile. Perché i diritti non siano mere aspirazioni in balia della nuda volontà dei legislatori, è necessario che nessuno concentri in sé tutti i poteri, neppure lo Stato, neppure il popolo». Sono state le tragedie del XX secolo a renderci che occorre difendere la democrazia anche da se stessa: «Hitler andò al governo per mezzo di elezioni e i dittatori del XX secolo, da Mussolini a Hitler fino a Stalin, furono molto amati da grandi masse. Più volte applaudito, Silvestri ha concluso: «La democrazia è possibile solo se le persone sono libere e uguali, se vi sono efficaci mezzi di tutela dei diritti delle minoranze e dei singoli cittadini e se prevale la cultura della tolleranza e del pluralismo. In caso contrario, la democrazia si trasforma in demagogia, la peggiore delle dittature».

Foto di Valentina Giunta

Poi i microfoni si sono accesi in platea. Oltre agli apprezzamenti per gli interventi, il presidente provinciale dell’Anpi di Pisa, Bruno Possenti, ha testimoniato l’interesse di moltissimi giovani per le iniziative promosse dall’Associazione con le scuole.

Dal pubblico, tante le domande agli oratori: al di là di una coscienza civile sul diritto all’accoglienza, non c’è necessità di costruire una consapevolezza del dovere alla solidarietà? Ancora: la sinistra non ha forse grandi responsabilità nell’aver dissipato il patrimonio lasciatoci in dote dai Costituenti? Gli attacchi e le aggressioni all’Anpi, sempre più frequenti, non rivelano un distacco dal legame costituzionale anche delle forze politiche storicamente democratiche? La scuola, dove oggi studiano ragazze e ragazzi di ogni nazionalità, non va forse potenziata per fornire strumenti all’inclusione?

A rispondere è stata la presidente nazionale Anpi, Carla Nespolo, nell’intervento di chiusura. Nespolo dopo aver ringraziato il presidente emerito Smuraglia, in particolare per la battaglia del No referendario e per l’accordo con il Miur, e il professor Silvestri per la preziosa relazione, ha voluto sottolineare il compito oggi dell’Associazione dei partigiani e della sua vocazione antifascista: «Il nostro obbligo morale costante è trasmettere alle nuove generazioni la memoria non statica della storia meravigliosa della Resistenza. Ma per onorarla pienamente e rispettare il dettato dei Padri costituenti è necessario tradurre quell’esperienza straordinaria sia in mobilitazione sia, soprattutto, in fare cultura». Piccoli e grandi segnali, per esempio l’abolizione del tema di storia agli esami di maturità, rivelano ancora una volta, ha proseguito Nespolo «che chi esercita un potere arrogante teme la cultura».

Carla Nespolo, presidente nazionale Anpi, a Bologna per l’importante iniziativa. Foto di VG

La Presidente nazionale Anpi ha poi puntato il dito sulla violazione dei diritti umani compiuta dal ministero dell’Interno, impedendo l’approdo nei nostri porti a donne e bambini migranti. E gravissimo il non firmare il patto Onu di Marrakech, allineandosi di fatto con il Gruppo di Visegrad. «Mi indignano le ruspe delle forze di polizia che abbattono le povere baracche di un campo di migranti a Roma – ha continuato la presidente Anpi –. Più ancora però che alcuni appartenenti alle forze dell’ordine ritengano che a quelle persone una bevanda calda sia da vietare. È la radice dell’offesa alla dignità di una persona. Come un insulto è stato chiudere il progetto Riace». Poi la sollecitazione: «Democratici e antifascisti devono insistere nel mettere al centro dell’impegno i diritti fondamentali, proprio quei diritti già elencati da Roosevelt, coscienti che il popolo italiano sa accogliere ed è solidale, come dimostrano le tantissime Riace del nostro Paese». Di fronte a chi vorrebbe chiudere ogni frontiera, i democratici e gli antifascisti devono risvegliare l’orgoglio patriottico. Come fece il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi alla Conferenza di pace di Parigi ricordando il contributo all’Europa libera della lotta di Liberazione italiana, seconda solo a quella balcanica per il sacrificio costato».

Uno scatto con i tre oratori. Foto di VG

E se sono innegabili le responsabilità del mondo democratico, «oggi è necessario ritrovare l’unità di tutti gli antifascisti che trova alimento e forza nella Costituzione, quel magnifico testo che l’Anpi ha strenuamente difeso». Oltre all’unità, ha detto ancora la presidente nazionale dei partigiani «è importante il dialogo tra cittadini comuni nella vita quotidiana. Per smascherare un governo che, facendo credere agli italiani in difficoltà che il nemico è qualcuno più povero di lui, evita di amministrare e per questo continua a creare nuovi nemici. Non è affatto un caso se oggi si cominciano ad attaccare i diritti delle donne».

Infine, Carla Nespolo ha concluso: «L’Anpi non è un partito e non può supplire alle mancanze delle forze politiche, ma sappiamo che opposi alla barbarie è un nostro dovere civile. Lo abbiamo sempre fatto e continueremo, puntando su unità, dialogo e determinazione». Ecco perché l’iniziativa bolognese non è stata il termine di un percorso ma un nuovo inizio come, in diverso modo, fu l’8 settembre.

Bologna, 10 dicembre 2018. Infine una foto di gruppo