L’epigrafe di Piero Calamandrei scolpita in una lapide “ad ignominia” nel palazzo comunale di Cuneo

Alcuni sono sparsi nelle vallate alpine o arrampicati sulle montagne, altri sono in pieno centro città o nei “borghi inermi straziati” da rastrellamenti e rappresaglie nazifasciste. Tutti, cippi, lapidi, targhe, cappelle, stele, cenotafi raccontano del prezzo altissimo pagato nella Resistenza da partigiani, militari e civili durante l’occupazione nazifascista. Pietà l’era morta ricordava Nuto Revelli ma non per chi nell’immediato dopoguerra, con lo stesso sentimento civile che Piero Calamandrei farà incidere nella celebre epigrafe a Cuneo, volle rendere omaggio a quelle donne e uomini nei luoghi dove persero la vita.

Il trascorrere del tempo, le ingiurie del clima, la penuria di fondi per la manutenzione hanno però spesso compromesso molte testimonianze scultoree di vicende drammatiche e insieme di straordinario coraggio e solidarietà. Quelle pietre a perenne memoria, quei luoghi sacri del credo democratico sono di tutti noi come, al di là di legami familiari, i martiri quasi sempre giovanissimi che riscattarono la dignità del nostro Paese.

I presidenti nazionali Anpi Carla Nespolo, scomparsa nel 2020, e Gianfranco Pagliarulo

Ecco perché a partire dal 2019 l’Anpi nazionale, con la presidente Carla Nespolo e poi con il presidente Gianfranco Pagliarulo, ha voluto utilizzare una quota rilevante del contributo destinato dal ministero della Difesa alle associazioni combattentistiche al restauro di “macigni” basamento della Costituzione della Repubblica italiana.

I singoli progetti, nel più ampio programma “Per la valorizzazione dei luoghi della Resistenza in Italia”, arricchito anno dopo anno, sono stati realizzati anche con il sostegno dello Spi-Cgil, l’imprescindibile contributo fattivo di sezioni e comitati provinciali del sodalizio partigiano, e delle amministrazioni locali. Tre anni fa sono stati nove gli interventi di recupero; nel 2020 ben diciannove, con anche nuove istallazioni. E oggi intorno a quei monumenti tornati a vivere, in particolare del Nord, ma pure al Centro e nel Sud, le comunità dei territori possono tornare a riunirsi per celebrare commemorazioni oppure trascorrere una bella giornata camminando e facendo formazione sui sentieri dove nacque l’Italia libera.

Avevano 18 e 16 anni le sorelle Vera e Libera Arduino quando a Torino, il 12 marzo 1945, una squadra di fascisti le prelevò dalla loro casa insieme al padre Gaspare, operaio alle Acciaierie Fiat, e altre persone loro ospiti. Gli uomini vennero torturati e trucidati la notte stessa nei pressi dell’abitazione, le due ragazze uccise lungo un canale. Per il funerale delle giovani, le fabbriche si fermarono e alcuni stabilimenti mandarono una delegazione. Le Sap staccarono i fili degli allarmi per impedire che i repubblichini chiamassero rinforzi, al cimitero tuttavia riuscirono ad arrivare solo le donne.

Sempre in Piemonte, a Loazzolo, minuscolo Comune nel territorio di Asti, un monumento in pietra e una lapide ricordano Giuseppe Moraglio, militare di 18 anni, allievo della Scuola Milano Camalandrana; Armando Olmo “Volpe”, studente originario di Alba, 23 anni; e Anz. Di quest’ultimo di sa appena che era di nazionalità tedesca. Vennero fucilati il 9 febbraio 1945 dai fascisti della divisione San Marco.

Ognuno di quei combattenti aveva superato il rigidissimo inverno ’44, costellato di rastrellamenti, stragi e rappresaglie nazifasciste. Così, un’opera in memoria realizzata dalla sezione Anpi “Manina” di Asti, finalmente restaurata, rende onore alla IX divisione d’assalto garibaldina nata dalla fusione delle brigate 78, 101 e 102 e al primo partigiano del territorio morto in combattimento, Celso Cavagnino.

Ne “l’ arcangelico regno dei partigiani” come Fenoglio definì le Langhe fra l’astigiano e il cuneese, un cippo a Perletto (CN) ricorda ventuno “partigiani immolati perché la patria non avesse a perire”. Il monumento recuperato si trova lungi una strada provinciale, vicino a un ponte sulla Bormida, tra il mare di colline ricche di vigneti, dove i repubblichini compirono un eccidio. Il 12 febbraio ’45, travestiti tesero un’imboscata ai resistenti per tentare di prendere possesso di un aeroporto clandestino, fondamentale per i rifornimenti Alleati alle Divisioni di Giustizia e Libertà e alle Garibaldi. In diciotto caddero combattendo, nessuno volle abbandonare i compagni. I loro nomi ora risplendono, nonostante di due di loro si conosca solamente quello di battaglia.

A Bene Vagienna (CN), il Monumento commemorativo dell’eccidio del 9 agosto ’44, collocato nel primissimo dopoguerra dal Comune di Fossano. Di cui era originario il tenente di Cavalleria nei “Lancieri di Novara”, Andrea Paglieri, già pluridecorato e Md’O VM alla memoria per il suo operato durante la Resistenza che, dopo essere stato catturato e torturato dalle brigate nere, condivise la sorte con altri due partigiani.

Anche nei luoghi dove si trova l’ultima dimora dei combattenti della lotta di Liberazione molti monumenti hanno subito il degrado del tempo. Ma grazie ai progetti realizzati con il contributo del ministero della Difesa, ad Alessandria nel Cimitero urbano, al Campo della Gloria, l’area e il busto dedicati ai Caduti della Resistenza irraggiano tutta la loro imponenza.

In Lombardia, a Valsaviore, provincia di Brescia, la sezione Anpi “Sentiero 54ª Brigata Garibaldi” ha reso nuovamente fruibili le istallazioni collocate lungo il percorso che da Cevo arriva a Saviore. Era una mulattiera utilizzata da contadini e pastori per raggiungere alpeggi e le malghe. Lì i partigiani, aiutati dalla popolazione, allestirono il comando. L’itinerario permette ora di illustrare quanto accade (una strage di civili e un raduno partigiano divenuto leggendario, tra gli altri episodi). Dopo la “ricostruzione” tramite il contributo statale, le iniziative con il museo locale della Resistenza coniugano formazione, soprattutto per le nuove generazioni, alla promozione del turismo, essenziale in periodo covid.

Era ormai sepolto dalla boscaglia il Monumento alla Resistenza nell’Oltrepò nel Comune di Montecalvo Versiggia (Pavia), adesso cittadini e amministrazione locale possono ritrovarsi e commemorare le ricorrenze civili e ricordare dieci vittime, fra partigiani e civili, di una delle zone martoriate dai nazifascisti. Le rappresaglie alimentavano i “fuochi dell’Oltrepò”, i roghi di interi paesini dove i partigiani trovavano rifugio e ospitalità.

A Cassano Valcuvia (Varese) se la passava molto male, per gli alti costi di manutenzione, il Sacrario ai Caduti del Monte San Martino. Era stato fortemente voluto dall’Amministrazione provinciale e riunisce i resti quarantaquattro partigiani, molti militari e molti ancora senza un nome.

Facevano parte del “Gruppo Cinque Giornate” ed erano guidati dal tenente colonnello Carlo Croce, che aveva combattuto nella campagna di Russia ed era stato testimone delle violenze contro la popolazione locale. Morirono in una delle prime battaglie dopo l’armistizio, nel novembre ’43, dimostrando un eccezionale eroismo, o vennero giustiziati dopo la cattura.

Nel Veneto a San Donà del Piave (VE), stava quasi per crollare la cappella funeraria dove riposa Silvio Trentin, partigiano di Giustizia e Libertà e padre di Bruno, anche lui combattente della Resistenza e futuro segretario nazionale Fiom e segretario generale Cgil. Silvio Trentin (già deputato) fu uno dei docenti che non giurò fedeltà al regime e per questo dovette lasciare la cattedra ed espatriare in Francia. Tornerà nel 1943, contribuirà alla nascita delle prime formazioni resistenti venete, catturato morirà nel 1944 per conseguenze della prigionia.

Si poteva tollerare che a Fonzaso (Belluno), il Sacello di Frassenè, in memoria di una strage di civili compiuta presumibilmente dalle SS nei giorni della Liberazione del Paese, il 25 e il 26 aprile 1945, fosse stato inghiottito dalla vegetazione? Restaurato, il recinto sacro alla coscienza democratica rende almeno in parte giustizia a dieci poveri contadini costretti, prima di essere freddati ai piedi del Col di Bianco, a portare nella locale caserma il cadavere di un soldato nazista morto in uno scontro a fuoco con i partigiani. La frazione di Frassenè sarà saccheggiata e incendiata.

Nella provincia bellunese è stato il Comune di Cesiomaggiore a volere il recupero di una stele, nel segno della fraternità fra popoli. In mezzo ai boschi, a Ponte Rumian, località che prende il nome da un torrente, il 22 febbraio 1945 morì un partigiano sovietico della Brigata Antonio Gramsci. Con i fondi ministeriali, l’Anpi ha potuto far restaurare la colonna in pietra e proteggerla con un’area pavimentata.

Il cammino del restauro resistente fa tappa in Friuli-Venezia Giulia. A San Pier d’Isonzo (GO) è inserito tra i beni culturali della Regione il Monumento al partigiano. Eretto nel 1978 dall’Anpi locale, in omaggio ai caduti combattenti e ai civili morti nei campi di concentramento, raffigura un ragazzo in ginocchio con la testa flessa all’indietro e il volto rivolto al cielo su base cilindrica con l’iscrizione a fare da piedistallo. Particolarmente compromessa era proprio la scultura bronzea. Nella città di Gorizia protagonista è una targa collocata dal consiglio di fabbrica nel 1975 di un cotonificio oggi dismesso. Racconta la “battaglia delle fabbriche”: alla fine dell’aprile ’45, mentre i cetnici si ritiravano distruggendo, e uccidendo cinquanta civili, a reagire furono gli operai della Safog e della Selveg. Morirono in cinque, uomini dalle tradizioni politiche diverse uniti dalla volontà di proteggere gli stabilimenti produttivi. Non è stato facile ottenere dalla giunta il permesso di spostare la lastra, che finalmente però potrà essere ricollocata dall’Anpi locale.

Quasi polverizzata a Zerba (PC), in Emilia Romagna, la Stele in memoria dell’eccidio di Cerreto rende oggi pienamente omaggio, nel luogo dove caddero, a quattro partigiani, tre italiani e uno polacco, crivellati dai mitra fascisti nell’agosto ’44. A conferma di un riconoscersi insieme nella lotta per la libertà. Il recupero, che ha permesso anche di restituire l’identità ai due caduti rimasti a lungo “sconosciuti”, è siglato dai Comuni di Zerba, Casalnoceto e le Anpi di Genova, Milano e Viguzzolo.

E consumato dal trascorrere delle stagioni era a Jesi (AN), nelle Marche, il maestoso Monumento ai Martiri “XX Giugno”, sette giovanissimi resistenti, seviziati e torturati tanto da divenire irriconoscibili. Si trova dove avvenne l’esecuzione: davanti villa Armanni, in contrada Montecappone. Restaurato dal Comune, il complesso scultoreo, realizzato dall’artista Massimo Ippoliti, è stato inaugurato nella sua seconda vita con una solenne cerimonia alla presenza di rappresentanti dell’associazione dei partigiani, dei familiari e dell’istituzione locale. Che ha inoltre conferito alla memoria di quei ragazzi la benemerenza civica “A perenne ricordo del sacrificio di tanti giovani di diverse parti d’Italia”.

Ad Ascoli Piceno, la Provincia è decorata con MdO VM, sono state riparate e ripulite tre 3 stele dedicate a partigiani caduti durante i lunghi mesi della lotta contro l’occupante, una realizzata dall’Anpi locale. Nuova di zecca è invece la targa in memoria di quattro avieri, tutti MdA VM, caduti in scontro con un’autocolonna tedesca il 12 settembre ’43. Scoperta alla presenza delle istituzioni, delle autorità militari, dell’Anpi locale e di altre associazioni combattentistiche con i medaglieri, la pietra marmorea contribuisce ad aggiornare una pagina di storia da trasmettere alle nuove generazioni, testimoniando come in tanti scelsero immediatamente da che parte stare, fin dai giorni dello “sbandamento”.

Attraverso i progetti “Per la valorizzazione dei luoghi della Resistenza in Italia” realizzati con i fondi del ministero della Difesa, arriviamo a Roma, città MdO VM per la lotta di Liberazione, in particolare al Quadraro, quartiere altrettanto decorato con la massima onorificenza. Nel Parco XVII Aprile 1944, un’opera in cemento bianco dell’artista Valentina Cavadini evoca il famigerato e drammatico rastrellamento dei nazisti di Kappler, il 17 aprile ’44, di oltre un migliaio di civili. Deportati nei lager, in pochissimi riuscirono a tornare. Preso di mira più volte da “ignobile e vile vandalismo”, e sfregiato addirittura non appena restaurato dall’Anpi e dal Settimo municipio capitolino, alla vigilia dell’inaugurazione. Dunque intervento doppio. Ma si è eredi dei partigiani e reagisce: “Tanto ormai c’abbiamo il calco”, rassicura il restauratore.

Ci conduce infine a Napoli, il viaggio dei restauri nel Paese che volle riscattarsi dall’ignominia nazifascista. Nella città delle Quattro giornate, MdO VM, ben dieci targhe nel centro abitato tornano a raccontare l’insurrezione popolare di donne e uomini che, tra il 27 e il 30 settembre 1943, cacciarono le forze tedesche della Wehrmacht appoggiate dai fascisti.

Altri progetti sono in via di completamento e saranno restituiti alla cittadinanza. Documento e arte insieme, li ritroveremo ai loro posti, rinnovando una volta di più l’impegno antifascista di memoria attiva dell’Anpi, serrata intorno a targhe, sculture, stele, sacrari: un unico monumento in realtà, che “si chiama ora e sempre Resistenza”.