Patrizia Moretti è la madre di Federico Aldrovandi, ragazzo di diciotto anni massacrato e ucciso da quattro poliziotti, a Ferrara, all’alba del 25 settembre 2005. Pur condannati in via definitiva, dopo una grande e sofferta battaglia per arrivare alla verità, gli agenti sono tuttora in servizio. Nelle scorse settimane, la Corte dei Conti ha ulteriormente ridotto l’entità del risarcimento che devono versare allo Stato: dai 467mila euro originari a testa, potranno limitarsi a versare cifre tra i 16 e i 67mila.
Il processo per l’uccisione di Federico si è concluso e nonostante una condanna piuttosto blanda è più grave quanto è successo dopo. Cioè la negazione di tutto: delle condanne penali inflitte e soprattutto della condanna civile delle istituzioni per l’omicidio, da parte di quattro poliziotti, di un ragazzo che se ne tornava tranquillamente a casa. Quanto scritto nelle sentenze non ha oggi alcun effetto civile e sociale. Quei poliziotti sono tornati in servizio come se niente fosse. È dunque il niente la conclusione di questa tragedia. Che ovviamente, per me, non sarà mai, mai finita.
Cosa spera possa succedere?
«Spero che la mia vicenda, quella della famiglia Cucchi ancora in corso, le altre centinaia accadute e che accadono, possano trasformarsi in un patrimonio positivo per la democrazia. Ma questi fatti si devono conoscere, come quelli del nostro passato. Da bambina vivevo con mia nonna, la vedevo piangere quando passava un aereo a bassa quota. Si tappava le orecchie e tremava, non capivo, però lo ricordo bene. I miei nonni hanno vissuto la violenza del fascismo e la guerra. La Costituzione per loro ha rappresentato la reazione a quel periodo terribile. Mi ritengo fortunata per averne ricevuto la memoria diretta. E il dettato costituzionale è stato sempre anche per me un punto di riferimento quotidiano. Un bagaglio di valori che nella vita, in ogni azione, in tutto ciò che mi è accaduto, ho sempre cercato di rappresentare. Spero di esserci riuscita. Ma sono sempre più preoccupata».
Qual è il timore?
«In questo nostro tempo c’è una negazione dei principi meravigliosi scritti nella Costituzione. Le morti e i maltrattamenti sono nella nostra storia, non vanno negati, perché sono proprio le derive che temo moltissimo, un abuso di potere analogo al fascismo, costato la vita a tante persone. Allora la nostra storia prese la via di un’involuzione di guerre e atrocità che in pochi immaginavano».
Nella nuova inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi che chiama in causa cinque carabinieri, dopo la nomina dei periti da parte del Gip, la sorella Ilaria ha dichiarato di aver paura…
Non so chi siano i periti ma se Ilaria ha timore, vuol dire che lo sta vivendo. E se lo vive lei, ci credo: tutto quello che sente Ilaria mi appartiene. Sarò sempre dalla sua parte. Sono e resterò sempre dalla parte di Ilaria, Rita e Giovanni Cucchi. Sono vicina al loro cuore, al di là del giudizio che non posso esprimere su persone che non conosco.
In tribunale, unico tra gli indagati, si è presentato il carabiniere ritratto nella foto postata da Ilaria su Facebook. La decisione di pubblicare quello scatto ha suscitato tante polemiche e Ilaria è stata pure denunciata. Ha sostenuto anche quella scelta. Perché?
Non si può capire nel profondo cosa si prova guardando in faccia le persone che ti hanno portato via un figlio o un fratello. E nessuno dovrebbe mai provare il nostro dolore. Non so cosa avrei fatto al posto suo. Ma credo che ciò che sente Ilaria sia al di sopra del giudizio di chiunque. Bisogna rispettarla. Il dolore è atroce perché misto alla rabbia. Non riesci a trovare vie d’uscita: speri nella giustizia e in un processo giusto, invece è difficilissimo ottenerli. Saltano fuori tutta una serie di tutele contrarie al vivere civile. A loro è consentito sparare fango su chi hanno ucciso. È questo che accade. Le famiglia Cucchi, Uva, Ferulli continuano a vivere vicende simili alla mia. La vittima diventa il “mostro”, sempre. Ed è difficilissimo uscire da questo meccanismo: sono intoccabili. E se esprimi un’opinione sugli assassini diventi un bersaglio, come Ilaria.
E come lei…
A chi tocca, tocca.
Si aspettava di trovarsi di fronte questi muri, all’inizio della sua vicenda?
Niente affatto. Non avrei mai potuto immaginare che ci avrebbero fornito indicazioni assolutamente false. Il questore ci raccontò che Federico era morto da solo, senza che nessuno lo toccasse. Esattamente come per Stefano Cucchi dissero che era caduto dalle scale. Certi rappresentati delle istituzioni sapevano che era una balla, sapevano esattamente cos’era successo, c’erano. Ai familiari invece si dà una versione diversa e poi è durissimo arrivare alla verità. Al questore all’inizio avevo creduto, pensai a un infarto. Ma in poco tempo è emersa la violenza subita da Federico. Eppure la negazione di una cosa ovvia è proseguita per anni e il processo è stato durissimo e lunghissimo. Ora altre famiglie lo stanno vivendo sulla loro pelle. Non si riesce a venir fuori da queste paludi di coperture e insabbiamenti. Si fa un’enorme fatica ad avere qualsiasi informazione sull’accaduto. Così se restiamo nell’ignoranza non possiamo difenderci, gli altri sono più forti. Sicuramente le istituzioni non volevano la morte di un ragazzino di 18 anni, però è successo. E non c’è stata finora alcuna azione volta ad impedire che accada di nuovo.
Chi e come dovrebbe intervenire?
Prima di tutto è difficile arrivare alla verità. Ottenere giustizia lo è ancor di più, proprio per quel vortice di negazione, che arriva fino ai livelli alti della catena di comando. È lì che la politica dovrebbe intervenire. Non si tratta solo di introdurre il reato di tortura, per esempio, ma di intervenire culturalmente sul valore della vita umana, sul rispetto per l’altro, sulla negazione sì, ma della violenza. Invece è negata la giustizia. I testimoni ricevono pressioni, anche a livello sociale. Ho potuto contare sul sostegno delle persone comuni. A mancare è chi esercita il potere e lo rappresenta, i vertici. E non ho visto alcun cambiamento. Aspetto ancora.
Parlava della Costituzione come riferimento nella vita di tutti i giorni…
Gli ordinamenti e gli assetti politici a molti sembrano spesso questioni lontane e astratte. Non è così. Il welfare, la sanità, l’istruzione, la moralità delle informazioni sono aspetti fondanti del vivere civile. È molto attuale in questo il valore rappresentato dall’ANPI: non c’è futuro senza memoria, la storia che abbiamo costruito deve essere il nostro trampolino di lancio. Le vicende dolorose vissute dai Padri costituenti, come dai nostri nonni, devono rappresentare il patrimonio sul quale costruire la nostra storia di oggi. Il loro impegno è costato talmente tanto in termini di sofferenza che non possiamo dimenticarlo e dilapidarlo. E dobbiamo ricordare che siamo umani. Dobbiamo migliorare non peggiorare, con la violenza non avremo una società migliore. E cercare di essere più solidali gli uni con gli altri. Per me la Costituzione è soprattutto rispetto reciproco per tutti, il rispetto porta anche all’equità sociale. E i soldi che spettano allo Stato, che spettano ai cittadini, devono essere utilizzati per il benessere civile. Cioè la salute, la scuola e anche un sistema delle pene volto al miglioramento di chi ha commesso reati. Federico non aveva fatto mai niente di male ed è stato vittima di un abuso di potere. Dobbiamo cambiare le cose. I valori della Costituzione vanno oltre l’orientamento politico, hanno guidato la vita di tante persone e devono continuare a farlo, perché sono i princípi fondamentali per la vita degli esseri umani. Ma sono preoccupata per le modifiche alla Costituzione.
Cosa la impensierisce in particolare?
Sono preoccupata perché la rappresentanza popolare non mi sembra garantita; la presa di distanza dalle guerre e dagli abusi di potere, così come lo stato sociale, non mi sembrano assicurati; i principi stessi alla base della Carta non mi appaiono tutelati dalle riforme. La questione va al di là di chi occupa le posizioni di governo in questo momento. Temo che le riforme – è una mia sensazione molto forte e chiara – si traducano in un allontanamento dalla democrazia. È una questione politica nel senso del vivere civile, ripeto, non partitica. Vorrei che la nostra quotidianità avesse la possibilità di essere espressa di più nella politica rispetto a questi ultimi anni. Libertà è essere dentro le cose. Le premesse di queste riforme, invece, mi sembra vadano in senso contrario al desiderio dei cittadini di maggiore rappresentanza. Per esempio, il Senato non viene abolito ma sostituito nei suoi componenti da un’espressione del potere stesso. Serve un dibattito il più possibile ampio e pubblico, capace di coinvolgere soprattutto le giovani generazioni. Non ho cultura giuridica, ma studierò il testo della riforma e mi informerò in vista del referendum. Ciò che sceglieremo è troppo importante.
Pubblicato martedì 2 Febbraio 2016
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