Si potrebbe andare a Paestum, per esempio, e svolgere lì la conferenza d’organizzazione delle strutture ANPI del mezzogiorno. Detto fatto. Erano previste 141 presenze. Invece eravamo in 177. Ai delegati delle conferenze provinciali si sono aggiunti diversi invitati che a loro spese hanno partecipato ad una tre giorni di dibattito, di incontro, di prossimità. Da Caserta a Lecce a Reggio Calabria a Cagliari a Enna c’erano compagne (tantissime) e compagni giunti da tutte le province, con il loro carico di esperienza, di generosità, di passione democratica. E tante compagne e compagni del Comitato Nazionale. È la Grande Bellezza dell’ANPI.

Al termine abbiamo contato poco meno di 50 interventi, oltre al lavoro di quattro commissioni (politica, formazione, comunicazione, crescita e radicamento) che hanno fornito un contributo essenziale per tracciare le linee concrete di un vero balzo in avanti.

La schizofrenia dei numeri: nel 2006 gli iscritti all’ANPI nel Mezzogiorno erano un migliaio. Oggi sono circa 14mila. Bene. Gli iscritti all’ANPI in Italia sono oltre 140mila. 14mila su 140mila? Troppo pochi. Da ciò l’urgenza di un cambiamento di passo. Si può fare, perché in tante realtà – per esempio Bari, Napoli, Cagliari – si sta già facendo. Si può fare, perché c’è una domanda di antifascismo, nel tempo cupo che stiamo vivendo, a cui l’ANPI vuole, può e deve dare un risposta. Si può fare perché a Paestum si è rivelata la ragione che ci fa comunità aperta e fortissimamente motivata: la ragione è la condivisione di valori, cioè di un’etica della vita civile e politica che troppe volte sembra messa ai margini, se non del tutto smarrita, nella crisi della democrazia che il Paese sta attraversando.

Si può fare e si farà, quindi, avendone tracciato le linee guida a Paestum nel documento aperto che ha innervato le conferenze d’organizzazione provinciali, nella (bella) relazione del responsabile territoriale ANPI Vincenzo Calò, della segreteria nazionale, nei tanti interventi in cui ardevano le ragioni della Resistenza e dell’antifascismo, nel clima del conoscersi e ri-conoscersi come parti di quella collettività di valori (e di affetti) che si chiama ANPI.

Paestun in un momento di convivialità insieme ai tanti giovani presenti alla Conferenza

Si può fare, quindi. Ma come? Tanti suggerimenti: promuovendo e consolidando il rapporto con gli studenti e gli insegnanti negli istituti scolastici, sviluppando una presenza in tutte le periferie (territoriali, sociali, culturali), intervenendo sui temi che condizionano la vita quotidiana, dalla criminalità alle servitù militari (a cominciare dalla Sardegna), dal premierato all’autonomia differenziata delle Regioni che aumenterà le diseguaglianze sociali, prestando una specifica attenzione alla condizione delle donne, puntando su di una leva di giovani generazioni, sullo sfondo dei punti di sofferenza storici del Mezzogiorno a cominciare dalla disoccupazione, dal lavoro precario, dalla criminalità organizzata e dallo spettro della guerra che sembra bussare alla porta in un rincorrersi furioso di reciproche minacce, di crescita degli armamenti, di bombardamenti e di sangue.

Si può dire tutto ciò in una parola? Sì. Si tratta di immergere l’ANPI nel tessuto popolare e farne un punto di riferimento sociale e civile, respingendo individualismi e campanilismi.

Tutto ciò vuol dire aumentare il numero di sezioni, più sezioni nei grandi Comuni, una sezione in ogni piccolo Comune.

Ma come fare per le sedi? Anche qui, si può fare: sedi collettive, con l’ARCI, Libera, ACLI, altre associazioni.

Ecco la risposta alla domanda: quale ANPI vogliamo realizzare? Un’ANPI popolare, frequentata da donne, giovani, gente che lavora, disoccupati, famiglie. Un’ANPI amica e compagna per ogni Municipio e per ogni campanile. Un’ANPI unitaria e radicale, non nel senso di estremista, ma come portatrice del coraggio della responsabilità; un’ANPI in grado cioè – assieme a tante altre associazioni – di contrastare la solitudine sociale oggi dilagante e di ricostruire un’idea di futuro che non sia una minaccia – la paura, la guerra, la disoccupazione – ma una promessa.

In sostanza un’associazione che, con i piedi ben piantati nella concretezza della vita popolare, sappia proporre una visione di cambiamento. Il programma c’è già. Si chiama Costituzione, cioè la Repubblica del futuro.

A partire da quale forza? Dalla forza della memoria: i grandi antifascisti meridionali sotto il ventennio, da Tommaso Fiore a Giovanni Amendola, da Gaetano Salvemini a Antonio Gramsci, solo per fare quattro nomi. Gli episodi di Resistenza che hanno visto fuochi di rivolta nel Mezzogiorno via via che i tedeschi risalivano la penisola. I tanti Martiri, a cominciare dal deputato socialista Giuseppe Di Vagno, assassinato dai fascisti a Mola di Bari nel settembre 1921.

Tanto più ci serve la forza della memoria, quanto più oggi si vuole uccidere la Costituzione del 1948, in particolare da parte di Fratelli d’Italia: questo è il senso della proposta del premierato, cioè l’elezione diretta del Presidente del Consiglio che cancella il modello rappresentativo di democrazia parlamentare presente in Costituzione e lo sostituisce con la “democrazia di investitura”, cioè la democrazia del vincitore.

Se aggiungiamo a questo l’autonomia differenziata, ci troveremo davanti a un mostro istituzionale, un nuovo Frankenstein, che travolge metà degli articoli dei principi fondamentali della Carta. E il prezzo più alto lo pagherà il Mezzogiorno. Il progetto del nuovo Frankenstein si congiunge con la rappresentazione tossica che l’estrema destra fa del fascismo e della Resistenza, rivalutando il primo e attaccando la seconda.

Questo è lo scenario in cui si sta consumando in Italia la crisi della democrazia, mentre in Europa sembra che si stiano rafforzando i partiti dell’estrema destra; è il vento del tempo in cui viviamo, il veleno che sta scorrendo nella società.

Occorre l’antidoto. In tutta l’Italia. L’antidoto è nei valori della Resistenza che hanno ispirato i principi costituzionali: democrazia, libertà, uguaglianza, lavoro, pace, solidarietà. Sono le parole dell’attualità, in particolare nel Mezzogiorno.

L’ANPI non è sola. C’è un tessuto associativo straordinario, ci sono grandi forze democratiche da evocare, c’è una diffusa coscienza civile antifascista che non ci sta a riavvolgere il filo del gomitolo della storia tornando indietro, magari a un regime autoritario o cesaristico. Ma tanto più l’ANPI potrà operare, quanto più sarà sul territorio, popolo nel popolo. Ecco perché dobbiamo pensare ad un balzo in avanti dell’ANPI. È nell’interesse della democrazia avere sezioni ovunque. Serve a tutti moltiplicare i luoghi dell’unità, dell’autonomia, del pluralismo.

Ci tocca. Tocca alla più grande e antica associazione partigiana. Siamo in campo, forse con le scarpe rotte eppur bisogna andare, ma mantenendo saldamente in mano la bandiera della Costituzione antifascista, la bandiera dell’Italia fondata sul lavoro e che ripudia la guerra, la bandiera di Giuseppe Di Vagno, Giacomo Matteotti, i fratelli Cervi, i tanti e tanti dal cui sacrificio sorsero i semi di un Paese libero e liberato. Sono le bandiere che innalzeremo al vento del 25 Aprile, per farne una giornata indimenticabile. Ci tocca. E ne vale la pena.

Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi